Il Metodo di Enrico Caruso

 Come sviluppare la voce naturale di Pasqual Mario Marafioti
a cura di Ludovico Valoroso
effequ editore

pgg.261 – € 14,00
La prima impressione che, man mano che c’inoltriamo nella sua lettura, suscita il libro di Pasqual Mario Marafioti, intitolato ‘Il metodo di Enrico Caruso’,  è di incredulità:  vi si descrive infatti lucidamente un mondo del canto fatto di studenti ossessionati dall’idea di dover allenare atleticamente i muscoli per diventare macchine vocali perfette, di cantanti dalla carriera della durata di quattro/cinque anni (giusto il tempo per distruggersi la voce…), che si riciclano come prestigiosi (e perniciosi) maestri di canto, di pianisti e critici musicali che, semplicemente per aver imparato quattro parole del gergo dei cantanti, incominciano a pontificare in materia di tecnica vocale, di impresari che vogliono ad ogni costo guadagnare e di aspiranti cantanti che vogliono ad ogni costo ‘arrivare’…..
Insomma un quadro perfettamente realistico della situazione del canto dei nostri giorni, ma con un piccolo particolare: che il libro, incredibilmente, non è stato scritto oggi, ma più di novant’anni fa !  L’autore, Pasqual Mario Marafioti, era infatti un foniatra, amico di Caruso, ed essendo appassionato di canto, a un certo punto si propose di individuare le cause della decadenza della scuola di canto del suo tempo (niente di nuovo sotto il sole…) e di riformarne l’insegnamento. La soluzione del problema viene trovata in una nuova concezione del canto, opposta a quella foniatrico-meccanicistica (tuttora in voga !) e che Marafioti chiama “canto naturale”.
E’ una felice combinazione  che a proporre il concetto di canto naturale sia stato un foniatra come Marafioti e che a fare da emblema e incarnazione di questo tipo di canto, Marafioti abbia scelto Caruso. Proprio a causa dell’aberrazione meccanicistica tuttora imperante nella didattica vocale, succede infatti che ogni riproposta del principio di naturalezza nel canto provochi una reazione che si esprime con i soliti luoghi comuni e le solite frasi fatte, che vanno dal “se fosse così, allora tutti canterebbero subito” al “nessuno vuole più sacrificarsi per imparare la tecnica vocale e pretende di cantare come gli viene…”
Il fatto che a proporre questa concezione sia invece un foniatra, con una forma mentis razionale e scientifica quindi, contribuisce non poco a eliminare questi pregiudizi, il più nocivo e falso dei quali è quello che si esprime con l’equazione  naturalezza = casualità = mancanza di tecnica. In effetti quello che la gente dimentica è che non esiste solo una naturalezza di primo grado, già data, ma anche una naturalezza di secondo grado, da scoprire e fare propria, e  che entrambe contribuiscono a creare la vere tecnica vocale. Pensare, al contrario, che la tecnica sia l’acquisizione di una serie di espedienti meccanici ‘esterni’, applicati come protesi alle zone anatomiche ‘strategiche’ del canto (la “maschera”, il “diaframma” ecc.), porta direttamente a quel tipo di canto rigido, semigridato, costantemente spinto e privo di sfumature e di dinamica, che caratterizzava la maggior parte delle scuole di canto dei tempi di Marafioti e, purtroppo,  anche dei nostri…
La seconda felice combinazione, ai fini della divulgazione dei principi di questo tipo di canto (che Marafioti chiama ‘fisiologico’, ma che si potrebbe anche chiamare ‘eufonico’, all’italiana’, a risonanza libera ecc.) è che a rappresentarlo sia stato chiamato un cantante come Enrico Caruso.  Se infatti fosse stato scelto come modello, invece di Caruso, Tito Schipa (che ugualmente avrebbe avuto i titoli per rappresentarlo), sarebbe stato facile per i fautori di quel particolare tipo di canto declamatorio e a risonanza forzata, chiamato ‘affondo’ (basato su una costante spinta muscolare e sull’assunzione di posizioni rigide e prefissate), obiettare che la tecnica vocale belcantistica (ossia il ‘canto naturale’ di Marafioti)  ha come esito un suono genericamente morbido, ma privo di potenza drammatica, insufficiente insomma per affrontare il grande repertorio lirico a cavallo tra Ottocento e Novecento, per il quale sarebbe  necessaria (secondo loro) una diversa tecnica vocale, una sorta di tecnica ‘turbo’, in grado di superare la barriera orchestrale. Ebbene, questo falso storico, fatto circolare ancora ai nostri giorni dai fautori dell’affondo, è smentito da un semplice dato di fatto: Enrico Caruso, cantante dalla voce potente e drammatica per antonomasia, seguiva principi tecnico-vocali belcantistici (come provano i suoi scritti di tecnica vocale) ed è stato chiamato a impersonare i grandi ruoli tenorili delle opere del verismo dagli stessi autori di queste opere; cantanti come Mario Del Monaco, invece, sono storicamente cantanti post-veristi, mentre il maestro di canto di Del Monaco, Arturo Melocchi, inventore del famigerato affondo, è stato (non a caso) espulso dal conservatorio di Pesaro a causa della pericolosità del suo metodo; questo per decisione ufficiale (documentata) proprio di uno dei grandi compositori del verismo e cioè Umberto Giordano.
Nella riproposizione dei grandi principi tecnico-vocali del belcanto, cioè di un tipo di canto che, se è giusto, deve essere sempre emesso liberamente, con facilità, senza il minimo sforzo, anche cantando fortissimo e a ‘piena voce’, sta il grande merito del libro di Marafioti.  I problemi incominciano quando Marafioti si sposta dall’ambito teorico a quello più specificamente tecnico-vocale. E’ qui che si rendono visibili i limiti del suo libro. Questi limiti paradossalmente sono dovuti proprio a ciò che è alla base della chiarezza e della razionalità del testo e cioè dall’essere Marafioti un foniatra e non un cantante. La sua conoscenza del canto è in effetti solo esterna oltre che fortemente condizionata dai suoi pregiudizi scientifici, che spesso diventano presunzione vera e propria. Questa presunzione si esprime in vari modi, il primo dei quali è rappresentato dal seguente sillogismo, costruito su due premesse vere e una conclusione falsa:
1)- cantare liberamente è cantare in modo naturale (vero).
2)- cantare in modo naturale è cantare rispettando le leggi fisiologiche (vero)
3)- ergo chi conosce la fisiologia, cioè il foniatra, è il più indicato per educare la voce (falso).
In effetti proprio nel suo sforzo di porre al primo posto la figura del foniatra nell’educazione della voce, Marafioti cade in una serie di evidenti contraddizioni e affermazioni non veritiere. Innanzitutto non bisogna dimenticare che il principio di naturalezza nel canto non è qualcosa che sia caduto improvvisamente dal cielo o che sia stato scoperto dalla foniatria: storicamente esso infatti è sempre stato il cardine della scuola di canto italiana, tanto che lo troviamo riproposto come vero e proprio leit motiv nei più importanti trattati di canto dal Settecento al Novecento. Ora quando Marafioti teorizza che per rifondare la didattica del canto non è possibile rifarsi alla scuola del belcanto perché si tratta di una tradizione solo orale, ma che bisogna far riferimento alla moderna ricerca scientifica in ambito vocale, dimentica due fatti fondamentali:
1)- che in realtà di quegli insegnamenti ci è rimasta testimonianza scritta nei trattati di canto storici, primo tra tutti il trattato di Giambattista Mancini;
2)- che molti degli inconvenienti da lui  lamentati (ad esempio l’approccio muscolare e pseudo-atletico al canto) sono la conseguenza diretta proprio dei metodi foniatrici applicati al canto. Dal colpo di glottide al controllo diretto della laringe e del palato molle alla mitizzazione del ‘diaframma’ innumerevoli sono i feticci introdotti nel canto dalla ‘scienza’, col risultato di togliere al cantante quel senso di libertà e di facilità, giustamente esaltati da Marafioti e messi in relazione col canto naturale di Caruso e altri cantanti della tradizione italiana. A riconoscerlo indirettamente è lo stesso Marafioti quando, criticando la tecnica vocale tedesca pesantemente ‘muscolarizzata’, precisa che essa è nata e si è affermata come sistema di canto “fisiologico”.
Inoltre è da rilevare che, per quanto velate dall’educazione, le obiezioni al concetto di “Cultura scientifica della voce” (questo il titolo originale del libro) come base dell’educazione vocale sono presenti sia nella lettera del baritono storico Victor Maurel, sia in quella dello stesso Enrico Caruso, dedicatario del libro, entrambe scritte in risposta all’invio del libro da parte di Marafioti e pubblicate nel testo.   Più specificamente Maurel prende le distanze da Marafioti, stabilendo la distinzione tra una “scienza della voce”, che si occupa delle patologie vocali, e una “scienza del canto”, intesa come educazione vocale, che però non c’entra nulla con la scienza tout court ed è di esclusiva pertinenza di cantanti e maestri di canto, che hanno praticato in prima persona il canto. Da parte sua anche Caruso nella sua lettera si premura di chiarire di “aver sempre sentito che a ispirare e guidare la sua arte  c’era qualcosa di naturale”, che è come dire che questa guida non è da ricercare nella scienza….. Ma la dimostrazione della falsità della tesi secondo cui la conoscenza scientifica della voce costituirebbe il miglior antidoto contro le impostazioni vocali errate, è fornita involontariamente dallo stesso Marafioti là dove, parlando delle cavità di risonanza, cita “la maschera, composta da tutte le cavità, i seni frontali e dalle ossa mascellari superiori e frontali”. Ora la moderna ricerca scientifica ha riconosciuto recentemente che queste cavità, lungi dall’essere cavità di risonanza, sono, al contrario, cavità di assorbimento del suono. Non solo: indagando più a fondo, si scopre che a ‘inventare’ e a esaltare la funzione di queste presunte cavità di risonanza, la famosa ‘maschera’ insomma, inducendo con ciò gravi squilibri tecnico-vocali in conseguenza delle spinte muscolari attuate nel cercare di portare il suono in questo ‘luogo magico’ immaginario, non sono stati i cantanti, ma i foniatri di fine Ottocento…
Ma tutti questi rilievi critici avrebbero ancora un’importanza marginale, se non fosse per un fatto molto più grave, riscontrabile nel trattazione di Marafioti: quello di non resistere alla tentazione di farsi maestro di canto e spingersi a interpretazioni del tutto arbitrarie della tecnica vocale italiana storica, alcune delle quali sono state smentite recentemente proprio dalla scienza, altre dai trattati di canto storici del belcanto e altre addirittura dallo stesso Caruso.  Incominciamo da queste ultime, più paradossali in quanto contenute in un libro, dedicato a Caruso, che ha per oggetto la tecnica vocale di Caruso !
A proposito di respirazione, Marafioti teorizza che il respiro del canto è “il respiro normale” e che è uno sbaglio “prendere un respiro prima di incominciare, per poi cantare sul fiato” (!), per cui “bisogna prima usare l’aria già esistente nei polmoni.” Qui Marafioti commette uno sbaglio evidente, che è quello di stabilire l’equazione respiro naturale = respiro del parlato. In questo modo Marafioti contraddice clamorosamente tutta la tradizione della didattica belcantistica, Caruso compreso, il quale in un passo del suo scritto di tecnica vocale (citato dallo stesso Marafioti nel suo libro !) scrive invece, in conformità con i principi belcantistici, che “in primo luogo i polmoni devono riempirsi completamente” e che “una nota emessa coi polmoni mezzi vuoti perde metà della sua autorevolezza.” L’errore che qui commette Marafioti è di confondere la respirazione naturale profonda (che è l’elemento  che trasmuta il parlato in canto) con la moderna respirazione ‘atletica’, basata sull’attivazione diretta del diaframma e dei muscoli addominali, che è la modalità respiratoria introdotta nel canto proprio dalla didattica foniatrica ed è una delle cause principali delle tensioni negative, che tolgono libertà al canto.  L’ampiezza dell’inspirazione in effetti non è affatto sinonimo di rigidità muscolare (a meno che il cantante non si senta in dovere di trattenere l’aria prima di attaccare il suono), ma è al contrario la causa di quella distensione preliminare profonda del corpo, che crea lo spazio del canto e la rotondità del suono (da cui l’accenno di Caruso all’ “autorevolezza” che così acquisisce il suono). Privato del ‘fattore di trasmutazione’ rappresentato dal vero respiro, che è naturale come quello del parlato ma non è superficiale come quello del parlato, il principio belcantistico del “si canta come si parla”, che secondo Marafioti “è la base del canto”, non è sufficiente da solo a creare il canto e il massimo a cui può dar luogo, è il banale parlato intonato.
Questa incapacità di Marafioti di distinguere tra loro due tipi di respirazione naturale (quella superficiale del parlato e quella profonda del canto) è l’errore che dopo di lui faranno molti altri studiosi del canto, tra cui la Rohmert, ed è la conseguenza di una presunzione: non prendere in considerazione certe affermazioni di una chiarezza incontrovertibile, contenute nei trattati del belcanto, e questo perché pregiudizialmente sono state giudicate erronee. Volendo ricorrere a dei paragoni, creare il canto col solo elemento del parlato, come ‘utopizza’ Marafioti, è esattamente come sperare di creare l’acqua col solo idrogeno o il pane senza usare il lievito…Questa è la situazione in cui si pone Marafioti nel momento in cui esclude dal canto la respirazione belcantistica ‘a pieni polmoni’ (o, meglio, ad ampi polmoni…)  Ecco che allora, per spiegare in qualche modo il mistero di un parlato che a un certo punto si trasforma magicamente in canto, Marafioti è costretto ad arrampicarsi sugli specchi e tirare fuori teorie insostenibili (se non risibili) proprio dal punto di vista scientifico. Una di queste è la teoria secondo cui l’italiano sarebbe la lingua del canto per eccellenza, in quanto “già naturalmente posizionata”, e quindi la ‘lingua didattica’ del canto, a differenza di altre lingue, come l’inglese, che invece sarebbero lingue “deteriorate” per quanto riguarda il modo di articolazione delle consonanti e di produzione delle vocali. Come se esistessero lingue naturali, di serie A, e lingue ‘degradate’, di serie B, o come se la creazione di una nuova lingua, ad esempio lo spagnolo dal latino, non presupponesse una lenta modificazione e introduzione di nuovi suoni rispetto alla lingua originaria, processo in assenza del quale l’italiano e lo spagnolo sarebbero rimasti latino…. Partendo da questa mitizzazione totalmente antiscientifica dell’italiano, l’articolazione secondo Marafioti dovrà riportarsi a questa purezza originaria e ideale, e in questo modo potrà nascere il canto… Questo luogo comune che vuole l’italiano la lingua del canto per antonomasia, in quanto lingua più vocalica che consonantica rispetto alle altre, è smentita da una semplice considerazione: se fosse vero questo criterio, la lingua del canto non sarebbe l’italiano, ma il giapponese, che ha le stesse vocali, lo stesso rapporto vocali/consonanti, e per di più non conosce né le doppie consonanti né il raddoppiamento sintattico dell’italiano.
Ma il ragionare per luoghi comuni e pregiudizi di Marafioti non si ferma purtroppo qui e procede verso altri aspetti della tecnica vocale con una faciloneria che lascia stupefatti. Cosa pensare infatti dell’affermazione secondo cui l’educazione della voce dovrebbe procedere dalle note più basse perché “le fondamenta di un palazzo costituiscono il vero supporto di tutta la sua struttura” ?  Se queste sono le argomentazioni ‘scientifiche’  grazie alle quali si dovrebbe assegnare il primato alla foniatria nella didattica vocale, è molto meglio tornare alla didattica ‘empirica’… Basta infatti cambiare metafora e dire che l’educazione vocale basata sulle note più basse dell’estensione rappresenta non le fondamenta della voce, bensì il suo bunker sotterraneo o la sua tomba (entrambi ugualmente collocati in basso…), e subito ci avviciniamo di più alla verità, che è quella da sempre proclamata dalla didattica belcantistica, ovvero: la voce non si costruisce partendo dalle note gravi, ma dalle note centrali, altrimenti si introduce nella voce una corposità in eccesso, scambiata per ‘volume’, che farà da zavorra alla voce e le impedirà di volare (metafora più consona alla vera realtà del canto rispetto alla metafora architettonica di Marafioti…)
In sintesi l’esito paradossale dell’impostazione di Marafioti è che, partendo da un ideale tecnico-vocale belcantistico, identificato con Caruso, alla fine ci si ritrova a condividere molte delle credenze dei fautori dell’affondo, se non per quanto riguarda la respirazione, sicuramente per quanto riguarda il  consiglio di “enfatizzare la pronuncia parlata” nonché l’idea (folle) secondo cui lo spazio di risonanza delle note gravi sarebbe quello da cui nasce e si sviluppa anche lo spazio delle note acute.
L’ultima gravissima e arbitraria deviazione operata da Marafioti dalla strada indicata dalla didattica del belcanto, è la sua negazione dell’esistenza del passaggio di registro. Anche in questo caso è incredibile come questa negazione sia basata unicamente sul proprio personale e arbitrario ‘ipse dixi’, ignorando una tradizione secolare che afferma il contrario. E anche in questo caso è clamoroso il doppio paradosso in cui Marafioti cade: la teoria del registro unico, infatti, è negata non solo da tutti i trattati canto del Settecento e dell’Ottocento, Garcia compreso, ma è smentita esplicitamente dallo stesso destinatario e presunto ispiratore del libro di Marafioti, Enrico Caruso, e, last but not least, dalla moderna ricerca scientifica, che in anni relativamente recenti ha addirittura chiarito il preciso meccanismo laringeo che ne è alla base.
In conclusione, si può dire che il principio di naturalezza nel canto, messo meritoriamente al centro della didattica vocale da Marafioti, rappresenta un fattore fondamentale di sviluppo della voce. Esso rischia per altro di rimanere qualcosa di sterile e solo teorico nel momento in cui non si ha l’umiltà di rispettare in toto le indicazioni tecnico-vocali tramandateci da quella scuola di canto (da cui è scaturito questo stesso principio), ma ci si affida con l’entusiasmo del neofita (o dell’apprendista stregone..) alle ipotesi di una ‘scienza del canto’ che, a quasi due secoli di distanza dalla sua nascita, ha già accumulato una serie di clamorosi abbagli: dalla ‘maschera’ all’affondo al cosiddetto voicecraft….