“La danza mi ha insegnato a trovare la bellezza”. Intervista a Candida Sorrentino

Bellezza raffinata e mediterranea, Candida Sorrentino è una delle vincitrici dell’edizione 2017 degli “Oscar della Danza” GBopera Magazine. La incontriamo dopo le prove del “Gala Nureyev”, previsto per il 28 e 29 luglio prossimi, in occasione del doppio anniversario per gli ottant’anni dalla morte e i venticinque dalla nascita del “Tartaro volante”. Lavoratrice instancabile, ha fatto della propria caparbietà un punto di forza, coniugando le doti e la bellezza con un lavoro intenso e ininterrotto, che l’hanno portata a diventare solista stabile del Corpo di ballo del Teatro di San Carlo di Napoli.
Quali sono stati i tuoi inizi nello studio della danza?
Ho iniziato a Torre del Greco, mia città di provenienza, presso la scuola privata di Alba Buonandi, dove sono rimasta fino all’età di quindici anni. Poi il Maestro Zarko Prebil (purtroppo scomparso) mi notò durante uno stage e mi indusse a iscrivermi alla Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo. Gli sono infinitamente grata,  perché lui vide in me già una danzatrice e mi permise di affrontare in maniera diversa lo studio. Nella mia scuola c’era moltissima disciplina, e questo mi ha aiutata molto, ma grazie al suo giudizio incoraggiante la mia famiglia si rese effettivamente conto che avevo davvero delle doti per questo lavoro. Non che mi abbiano mai ostacolato, ma certo i miei non appartengono a quella categoria che farebbe di tutto per vedere la propria figlia sul palcoscenico. La Signora Anna Razzi in soli due anni mi mise in grado di sostenere audizioni, ancor prima  di diplomarmi. Infatti vinsi subito il concorso per il corpo di ballo, alla fine del settimo corso, e per tutto l’ottavo facevo il doppio del lavoro, in Compagnia e a scuola, senza nessun giorno di riposo.
Un lavoro molto duro che sei riuscita a conciliare anche con gli studi…
Sì, perché quando si ha un carattere perfezionista si fa tutto allo stesso modo, non c’è differenza. Le notti insonni durante il periodo del liceo (ho frequentato il liceo classico “Gaetano De Bottis”) e poi ho conseguito la laurea triennale in Scienze della Comunicazione all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Tutto con sacrificio, ma quando si ama qualcosa questo si dimentica e, se ci ripenso, mi chiedo come abbia fatto.
Quali sono state le tue esperienze esterne al San Carlo?
Molte, perché ho sempre partecipato a diverse audizioni e ne ho vinte tante, ma quando ho potuto ho scelto sempre Napoli. Poi ci sono stati anni con pochissime produzioni, qui, e allora ho danzato a Verona, Firenze, Roma, Milano, Torino, al Bolshoj di Mosca col grande Vladimir Derevianko, che mi volle al suo fianco per la “Musa” di Paganini. Credo che sia importantissimo uscire e mettersi alla prova, guardarsi intorno per vedere soprattutto quanti sono migliori di noi e imparare tutto quello che un maestro non può dare, perché ci sono cose che solo il singolo individuo sa adattare a se stesso.
Cosa vorresti che il pubblico conoscesse di te, oltre a quello che può percepire vedendoti danzare?
La disciplina del mio lavoro, l’instancabilità, la dedizione assoluta e il fatto di essere stata apprezzata dai grandi proprio per questo, perché sono qualità innate che ho avuto la fortuna di avere e che non si esauriscono. Proprio Derevianko mi disse una cosa che non dimenticherò mai: “Voglio te perché cento volte cadi e cento ti rialzi”. E questo è uno dei complimenti più belli che abbia mai ricevuto.
Ti trovi al culmine della maturità artistica come danzatrice, che pensi della tua danza, adesso?
Sono in un momento in cui, per fortuna, il Corpo di Ballo ha fatto un salto di qualità e il nostro Direttore Giuseppe Picone, generoso nel donarsi a noi, ci dipinge addosso i ruoli e cerca di dare a ognuno lo spazio che merita. Siamo di rientro dalla tournée a Pechino, in cui abbiamo portato in scena la sua Cenerentola, ma anche negli anni immediatamente trascorsi siamo potuti volare in Asia e non sono poche le occasioni di andare in trasferta. Cosa che fino a non molto tempo fa appariva impensabile. È importante uscire dalla propria cultura e confrontarsi: a Pechino mi ha molto colpito l’immediatezza comunicativa della nostra danza occidentale di fronte a un pubblico diverso in tutto. Io interpretavo una delle sorellastre, ruolo creato per me, e vedevamo che il pubblico rideva sonoramente e di cuore. Ed è lì che mi ha fatto una certa impressione questa cosa, perché ho avuto davanti agli occhi la dimostrazione di quanto la danza sia fortemente comunicativa, al di là di ogni barriera linguistica e diversità culturale.
Cosa ti ha insegnato la danza?

A cercare e trovare la bellezza in tutte le cose, ma anche a superare la mia grande timidezza: in scena sono come vorrei essere nella vita. Senza la danza probabilmente sarei stata una persona che avrebbe avuto difficoltà a relazionarsi.
Pensi che la danza possa avere un alto valore formativo nell’educazione di un giovane, al di là della professione?
Ne sono certa. La danza insegna a gestire la disciplina in ogni ambito e, come ho detto prima, a vedere le cose con occhio diverso perché insegna a ricercare bellezza, che è un modo di vedere la vita.
In quali ruoli ti senti di più a tuo agio?
Nei ruoli del  repertorio romantico e in quelli drammatici di grande impatto comunicativo. Al di là di come mi vedo io, però, ho imparato che è molto importante l’occhio esterno, perché i danzatori non sempre riescono a percepire ciò che è meglio per loro. Bisogna avere l’umiltà di lasciarsi guidare, a volte, e si può scoprire che magari un ruolo in cui non si credeva di riuscire funziona bene, o il contrario.
Con quali coreografi ti piacerebbe lavorare?
Su tutti, Jiří Kylián e Patrice Bart.
Rifaresti tutto allo stesso modo?
Decisamente sì. Non ho mai avuto ripensamenti, mai momenti di crisi che, per carità, possono capitare a tutti, ma la danza è una passione che è nata con me. A volte rischio di non essere compresa, perché passo per quella che esagera, ma io vivo questa passione e questo lavoro nella maniera più naturale e assecondo i miei sentimenti.
Cosa vedi nel tuo futuro?
Nel prossimo futuro sicuramente ancora tanti anni di bella danza. Poi mi vedo dall’altro lato della sala, per donare il mio bagaglio di conoscenze e di esperienze alle nuove generazioni.