La “Norma” a Catania

Siamo nel marzo del 1950 a Catania , dove Maria tornerà anche l’anno seguente, nel marzo 1951 come astro fulgente delle celebrazioni per i 150 anni della nascita di Bellini, interpretando Norma e Elvira dei Puritani. La Simionato ha sempre ricordato che, rientrando con lei in albergo dopo il trionfo tributato dal pubblico catanese, la Callas le chiese: “Come giustifichi questo successo, perché vanno in delirio? Io non lo capisco. Se dovessi spendere duecento lire per andare ad ascoltarmi, non le pagherei!”. All’epoca, l’ingresso al loggione della Scala costava seicento lire, dunque la sfiducia in sé di questa grande artista, era profonda.
Nelle immagini che vedrete potrete riconoscere tra i colleghi Mirto Picchi nella parte di Pollione, Jolanda Gardino in quella di Adalgisa e Marco Stefanoni nel ruolo di Oroveso. Purtroppo di quelle recite non ho al momento alcuna recensione da poter allegare alle immagini, la prima che ho in mio possesso e che riproduco di seguito quella che Teodoro Celli scrisse all’indomani delle recite di Norma nel teatro scaligero.
GIUDITTA PASTA VINSE IL TERREMOTO.
LA CANTANTE MARIA
CALLAS HA DATO UNA MAGISTRALE INTERPRETAZIONE DI “NORMA” CRONACA MUSICALE DI TEODORO CELLI
Tratto dalla rivista “OGGI”del 31 gennaio 1952
Da qualche anno, ormai, il soprano Maria Callas Meneghini passava per i teatri lirici italiani riscuotendo nelle più diverse opere di repertorio calorosi successi; ma alla Scala ancora non s’era presentata. Per la verità: era comparsa in una ripresa di Aida, due anni fa, in occasione d’una “serata di gala” per l’inaugurazione della Fiera campionaria, tuttavia non aveva entusiasmato né persuaso. Quest’anno tuttavia la sovrintendenza scaligera s’è decisa a presentare Maria Callas come elemento di primissimo piano: le ha affidato la parte della protagonista nei Vespri siciliani, opera inaugurale della stagione, e quindi l’ha “provata” in una delle parti più impegnative del repertorio ottocentesco, quella della Norma di Bellini. Nei Vespri la Callas s’è fatta ammirare; pur tuttavia nell’animo degli ascoltatori permaneva una certa diffidenza, poiché si trattava d’un’opera poco nota, a proposito della quale non era possibile stabilire paragoni con altri interpreti del passato. Ma con Norma la Callas ha vinto, crediamo definitivamente, la ritrosia e la diffidenza del pubblico ambrosiano. Ha riportato una vittoria nettissima quanto più impervia e impegnativa è la realizzazione del personaggio belliniano. Si sapeva che Norma, era uno dei cavalli di battaglia della Callas; non si voleva credere però che questo soprano potesse così intelligentemente e con tale musicalità disegnare il difficile personaggio. Ora i dubbi sono stati fugati dall’impeto degli applausi.Non che la sua voce – sia ben chiaro – abbia caratteristiche “naturali” di particolare bellezza, anzi, ciò che a tutta prima induce in diffidenza chi ascolta questa cantante è il timbro piuttosto stridulo di alcune note e la discontinuità della gamma. La Callas non ha una voce egualmente vellutata e limpida in tutti i registri, le note basse sono di scarsa intensità e il “ponte” fra il registro medio e quello acuto è per lei spesso pericoloso da varcare.

Potremmo dire, insomma che ella è paragonabile a un concertista di piano o di violino che usufruisca di un cattivo strumento, intonatissimo, certo, ma dal suono noncompletamente gradevole. Sennonché la Callas, per naturale intelligenza affinata da lunghi e fruttuosi studi, sa “suonare” stupendamente l’imperfetto strumento avuto in dono dalla sorte; conoscendone i naturali difetti e avendo meditato il modo di sopperirvi, ella e’ capace di compiervi le più audaci acrobazie vocali, che appunto così spesso s’impongono a chi affronti la monumentale parte dell’eroina del capolavoro di Bellini. E, ciò che più conta, la Callas impegna la propria “scuola” vocale, la propria bravura di “concertista” del canto, Norma la Callas ha vinto, crediamo definitivamente, la ritrosia e la diffidenza del pubblico ambrosiano; ha riportato una vittoria nettissima che ha tanto maggior valore quanto più imperviaper interpretare il personaggio: si dedica, insomma, alla ricerca dell’a”accento” più intenso, che sia quello artisticamente vero, rivelatore delle passioni del personaggio di Norma.

E qui è bene ricordare agli idolatri del “bel suono”, del canto inteso unicamente come piacevole vellicamento del timpano, della melodia come mera soddisfazione edonistica, quanto Bellini stesso, in una sua famosissima lettera rivelava circa il proprio modo di comporre.“Io studio attentamente”, scriveva il catanese, “il carattere dei personaggi, le passioni che li predominano e i sentimenti; poi invaso dagli effetti di ciascun di loro immagino esser divenuto quel desso che parla; e chiuso quindi nella mia stanza comincio a declamare la parte del personaggio del dramma con tutto il calore della passione, e osservo intanto le inflessioni della mia voce, l’affrettamento e il languore della pronuncia in questa circostanza, l’accento insomma e il tuono dell’espressione che dà natura all’uomo in balia delle passioni, e vi trovo i motivi e i tempi musicali adatti a dimostrarle”.Dunque anche il “lirico puro”Bellini mirava al dramma e cercava di realizzarlo mediantel’accento musicale più proprio. Il merito dell’interpretazione di Maria Callas è consistito proprio nella quasi constante e felice realizzazione dei diversi “accenti” belliniani. Fra i tanti momenti grandemente efficaci citeremo quello dell’ultimo atto, per l’intensità con cui questa interprete, pur sfornita d’un registro basso sufficientemente voluminoso, ha saputo attaccare la disperata e aggressiva frase “In mia mano al fin tu sei…”. Fino a quel momento la Callas aveva costretto gli ascoltatori scaligeri all’ammirazione: di lì in poi li ha spinti all’entusiasmo. Certo, vi sono nella Norma parecchi momenti in cui l'”accento” belliniano è talmente pacato, attenuato, puramente sereno, che la melodia si snoda illuminata da un chiarore estatico ed immobile. Sono i momenti in cui la Callas, come e’ intuibile, persuade meno. E’ il grande momento di “Casta diva”, per il quale occorrerebbe davvero una voce quanto mai levigata, eguale e pura. Una voce capace di compiere miracoli, come sembra ne compisse quella della prima Norma, Giuditta Pasta, a stare almeno a quanto racconta il Monaldi: “La sera del 2 dicembre 1834 Giuditta Pasta cantava Norma al Comunale di Bologna. Una folla immensa era accorsa a teatro per ascoltare le divine melodie belliniane. Giuditta Pasta aveva appena cominciato a innalzare il canto sublime alla “Casta diva” allorché una forte scossa di terremoto preceduta da un lugubre rombo fece tremare spaventosamente il teatro. Il terrore fu immenso; però non uno spettatore, nonostante la paura, abbandonò il proprio posto. Cessato il fenomeno, trascorsi brevissimo intervalli, Giuditta Pasta riprese il dolce canto, e dieci minuti dopo, nell’onda della musica di Bellini, nessuno rammentò quasi più l’ansia provata poco prima”. La voce della Callas non saprebbe compiere, crediamo, simili miracoli. Ma, considerando ciò che questa interprete sa complessivamente dare nel corso dei quattro atti, e contando anche sulla scarsa frequenza dei terremoti, possiamo egualmente dichiararci soddisfatti.