“La Traviata” chiude la stagione lirica di Sassari

Sassari, Ente Concerti Marialisa De Carolis, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2013
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti da La dame aux camelias di A. Dumas figlio, libretto di Francesco Maria Piave. Revisione a cura di Mario Parenti.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valery FRANCESCA DOTTO
Flora Bervoix CHIARA FRACASSO
Annina EMANUELA GRASSI
Alfredo Germont ALESSANDRO SCOTTO  DI LUZIO
Giorgio Germont SIMONE DEL SAVIO
Gastone MATTEO DESOLE
Barone Douphol GIANLUCA MARGHERI
Marchese D´Obigny SALVATORE GRIGOLI
Dottor Grenvil FRANCESCO SOLINAS
Orchestra e Coro dell´Ente Concerti “Marialisa de Carolis”
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del Coro Antonio Costa
Regia e luci  Henning Brockhaus
Scene Josef Svoboda
Costumi Giancarlo Colis
Coreografia Valentina Escobar
Allestimento di proprietà della Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi Riproduzione scene Benito Leonori
Sassari, 6 dicembre 2013

Secondo un noto sito, che si occupa di statistiche legate al mondo del teatro musicale, La Traviata sarebbe l’opera più eseguita al mondo. Vedendo il tutto esaurito nel nuovo Teatro Comunale di Sassari, che chiude la 70esima stagione lirica organizzata dall’Ente Concerti Marialisa de Carolis, si ha facilmente il riscontro di una popolarità che non conosce cedimenti: per l’occasione anche il loggione, finalmente agibile, ha fatto registrare un pienone da grande occasione.
Sentendo al volo i commenti del pubblico dopo lo spettacolo si percepisce che stanno sicuramente cambiando le ragioni di tanto immutabile successo: spariscono o sono anziani i vecchi appassionati e il nuovo pubblico affronta il melodramma con uno spirito tra la curiosità, la “naiveté” (“a me è piaciuta la voce grossa del tenore: quello che fa il padre…”) e la spontaneità (“bella: l’opera meno stupida che fino adesso abbiamo visto…”). La storia dell’amore vissuto dallo scrittore Alexandre Dumas figlio con la giovane mantenuta Alphonsine Rose Plessis, e descritta nel suo La signora delle camelie, mantiene intatta per il grosso pubblico un forte fascino dovuto alla presenza dei numerosi “topoi” drammaturgici: amore incondizionato e contrastato, passione e nobiltà, prostituta generosa e redenta ecc. È comunque impossibile negare che l’immortalità data da Verdi all’opera è dovuta soprattutto al suo genio teatrale, alla capacità di incidere in maniera sintetica e indelebile con semplici elementi musicali. La proiezione della parola scenica in Traviata non è solo un argomento di analisi musicologica, ma concreto e tangibile procedimento costruttivo che, scardinando le vetuste convenzioni belcantistiche, diventa forma. “Amami” è cellula inscindibile di parola e suono, il semitono ascendente per il “Piangi” di Germont diventa quasi dolore fisico, assumendo un rilievo formale che forse, nella musica italiana, non si sentiva dai tempi dei grandi madrigalisti.
Proprio il rilievo del tutto particolare, in questo caso dato al palcoscenico dalla scenografia storica di Josef Svoboda progettata nel 1992 per lo Sferisterio di Macerata, diventa protagonista nell’allestimento sassarese: un grande specchio inclinato incombe sulla scena creando prospettive inusuali e riflettendo dei tappeti-fondali che interagiscono visivamente con i personaggi, insieme a pochissimi elementi di arredamento scenico. L’effetto è sorprendente e affascinante nella sua semplicità: il risultato moltiplicatorio arricchisce notevolmente la scena grazie anche ai bei costumi di Giancarlo Colis e lo scorrimento dei vari tappeti crea spesso dei quadri suggestivi. Bella, per esempio, la comparsa del prato durante il duetto tra Violetta e Germont e di grande efficacia la prospettiva dei tavoli da gioco nel finale del secondo atto. Evidente, oltre all’aspetto decorativo – scenografico, anche l’invito metaforico a visioni differenti e a un approfondimento attento nei vari elementi psicologici del dramma. Ovvio anche il taglio anti naturalistico e quasi onirico che ambiguamente mescola il piano rappresentativo e quello reale creando, nel finale dell’opera, un deciso cambio di prospettiva: lo specchio si rialza perpendicolarmente rispetto al palcoscenico e, grazie ai fari che illuminano la platea, compare il pubblico riflesso nel fondale. L’illusione è rotta, gli spettatori si specchiano realmente nella replica della propria esistenza, con un’enfatizzazione dell’effetto straniante che provocò la buona società all’epoca di Verdi nel vedersi rappresentata con le proprie ipocrisie e contraddizioni su un palcoscenico. Superbo: ma la platea a semicerchio, nei posti esterni, rendeva visibile soprattutto le pareti laterali disadorne del teatro, i loggionisti riuscivano a vedere solo parzialmente lo specchio e i vari movimenti al buio nei cambi di scena, nell’impossibilità di avere un’oscurità totale, sono purtroppo diventati movimenti in penombra.
La regia di Henning Brockhaus segue coerentemente la logica dell’allestimento: c’è ovviamente poco spazio per la verosimiglianza e il realismo e i personaggi sembrano galleggiare in un’atmosfera sospesa o provenire da uno spazio fantastico, con un’estrema cura della gestualità scenica. Bella la scena finale, grazie anche all’età degli interpreti: lo specchio riflette ormai nient’altro che il nudo pavimento. Violetta, senza trucco e in camicia, e Alfredo appaiono semplicemente per quello che sono: due ragazzi che vivono un amore e una sorte più grande di loro.
Il direttore Francesco Lanzillotta ha ben condotto l’opera puntando soprattutto all’essenziale: tempi ben quadrati, una buona tenuta del palcoscenico e una certa cantabilità. La concertazione talvolta però è apparsa poco mobile nelle dinamiche e nell’agogica: specialmente nelle parti di accompagnamento si avvertiva una certa rigidità che non contribuiva all’espressione generale. Tanto più che quando si sono sentite adeguate sfumature nei ribattuti, e una differenziazione negli accenti dei tanti movimenti ternari della partitura, il miglioramento è stato evidente. L’ha ben assecondato l’Orchestra dell’Ente che, al di là di qualche trascurabile incidente, ha mostrato la buona personalità delle sue prime parti e una fusione, al termine della stagione, notevolmente migliorata.
La freschezza dei due interpreti principali, Francesca Dotto e Alessandro Scotto Di Luzio, ha dipinto una coppia scenicamente abbastanza disinvolta e vocalmente accattivante ma, inevitabilmente, talvolta acerba. La Dotto ha una buona tecnica, un registro acuto facile e dà il meglio di sè nel primo atto dove le colorature sono precise, limpide e sicure: sfavillanti le puntature di tradizione, chiare e ben intonate. Nel secondo e terzo atto, col procedere dell’opera, si sente francamente la mancanza della corda drammatica che Verdi desiderava tanto nelle sue interpreti: il registro medio – grave risulta un po’ opaco e in difficoltà nel dipingere completamente il personaggio. Sono comunque evidenti le buone doti espressive e il duetto con Germont è comunque il momento più elevato di tutto lo spettacolo, dove l’accentuazione prosodica e le sfumature dinamiche sono spesso di classe grazie anche a un partner in grado di assecondare e approfondire buona parte delle infinite sottigliezze del ruolo, con innegabili momenti di autentica commozione. Il Germont di Simone del Savio, applauditissimo nei ringraziamenti finali, è l’unico del cast ad avere un colore pienamente adatto alla parte: morbido ed espressivo nel registro medio, ha anche mostrato delle belle mezze voci ben appoggiate sul fiato. L’espressività attoriale non è stata proprio pari a quella vocale e il registro acuto è apparso a tratti faticoso, però nel complesso il personaggio è apparso ben tratteggiato e definito. Alessandro Scotto Di Luzio è chiaramente l’interprete più acerbo dei tre protagonisti: l’attore è troppo preoccupato della parte e il cantante è poco espressivo in un ruolo che non può non permettersi ogni frase cesellata fin nei minimi dettagli e sfumature. La vocalità chiara e leggera ha facilità e la tecnica è discreta: evidente però che costruire un personaggio richiede un maggiore approfondimento. La Traviata è un’opera con tre soli protagonisti e tanti comprimari: alcuni di questi se la sono cavata decisamente bene. Chiara Fracasso ha ben centrato la figura di Flora Bervoix e tra gli uomini ha spiccato il Gastone di Matteo Desole: bella vocalità, ottima precisione musicale e recitazione brillante. Anche Gianluca Margheri, Francesco Solinas e Salvatore Grigoli hanno mostrato una buona vocalità e una certa presenza scenica mentre Emanuela Grassi ha avuto alcuni problemi tecnici e vocali nella parte di Annina. Dopo la bella prova di Cavalleria Rusticana è stato un po’ sotto tono il coro dell’Ente preparato da Antonio Costa: preciso ma squilibrato per una certa carenza nelle batterie gravi, accentuata talvolta dalla tendenza a forzare gli acuti nel resto del coro. Gli applausi alla fine hanno salutato un’opera e la conclusione di una stagione lirica che quest’anno si è mossa su terreni sicuri e, complessivamente, con un buon successo di pubblico. E il pubblico adesso preferisce sentirsi raccontare sempre le stesse favole… Foto di Sebastiano Piras