“Lucia di Lammermoor” al Teatro Petruzzelli di Bari

Bari, Teatro Petruzzelli
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in due parti libretto di Salvatore Cammarano
Musica di
Gaetano Donizetti

Lord Enrico Ashton CHRISTIAN SENN
Lucia Ashton ELENA MOSUC
Sir Edgardo di Ravenswood IVAN MAGRI’
Lord Arturo Buklaw MURAT CAN GUVEM
Raimondo  MARIANO BUCCINO
Alisa ELENA TRAVERSI
Normanno  MAURO SECCI
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Antonio Pirolli

Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia Gilbert Deflo
Scene e costumi Willam Orlandi
Disegno luci Roberto Venturi
Coreografie Fredy Franzutti

Allestimento scenico del Teatro delle Muse di Ancona e Teatro Massimo di Palermo
Bari, 8 novembre 2017
L’allestimento del capolavoro di Donizetti coprodotto dal teatro delle Muse di Ancona e dal Massimo di Palermo potrebbe definirsi Lucia in Black, tanta è la predominanza del nero nelle scene e nei costumi ideati da William Orlandi. Questa cappa plumbea – peraltro congrua rispetto ai toni cupi richiesti dalle didascalie originali del librettista Cammarano (in linea con quel romanticismo gotico che oramai aveva preso piede negli anni ’30 anche nel nostro melodramma) – seguiva l’idea del regista Gilbert Deflo che ha voluto rendere la vicenda di Lucia contemporanea all’epoca di Donizetti, mutarla cioè in un dramma borghese con al centro una donna vittima delle imposizioni di un regime familiare patriarcale. L’ambientazione nella Scozia di fine Cinquecento è un depistaggio; in realtà Lucia di Lammermoor si pone agli occhi di Deflo esattamente come La traviata (a depistare lì era l’ambientazione nel 1700). In entrambi i melodrammi le convenzioni sociali stritolano l’amore libero di due amanti che sono legati da un vincolo non sancito dalla Chiesa. Non è un caso che le due eroine, Lucia e Violetta, cedano ai ricatti dei loro aguzzini nel momento in cui realizzano che il loro legame affettivo non è riconosciuto dalla società: «I nuziali voti che il ministro di Dio non benedice, né il Ciel né il mondo riconosce» tuona il precettore Raimondo, condensando in poche parole il nucleo tematico dell’intera storia, e Lucia afferma «Cede persuasa la mente…»; la stessa cosa dice Germont padre: «Per voi non avran balsamo i più soavi affetti poiché dal Ciel non furono tai nodi benedetti» e Violetta in quel suo annuire «È vero!…» ha già compreso la sua fine. La catastrofe è determinata in Lucia dalla salvaguardia dell’onore del fratello, in Traviata da quella della sorella di Alfredo. Due fratelli che compromettono, in nome dell’ordine costituito, la realizzazione di un amore puro e utopistico in quanto proiettato oltre le convenzioni sociali. Per Deflo e Orlandi – abituati da anni a lavorare insieme per le regie operistiche – l’Inghilterra della Lucia non è dunque quella di Walter Scott (1771-1832) ma quella di Jane Austen (1775-1817); da qui si spiegano le fogge e i colori dei costumi dominati dal nero che parevano uscire da alcune pagine di Ragione e sentimento o di Orgoglio e pregiudizio. Le scene, tutte rigorosamente nere, ricreavano invece la solennità monumentale di Landriani, Bertoja, Liverani e dei grandi scenografi di primo Ottocento, puntando inoltre sulla suggestione della luce proveniente dai laterali, fascio luminoso allusivo a un “altrove” liberatorio. Piuttosto scialbe e convenzionali si sono dimostrate le coreografie (non richieste dal libretto originale) di Fredy Franzutti che animavano la scena della festa di nozze di Lucia e che comunque hanno avuto il merito di dare una nota di vivacità a un allestimento claustrofobico. Ciò che è davvero mancato in questa regia è stata la gestualità: i cantanti sembravano infatti ingessati in pose convenzionali, a tratti irrelate rispetto ai contenuti del testo intonato. In particolare la scena della pazzia non è stata in grado di comunicare al pubblico l’orrore che la domina. Elena Mosuc ha cantato la parte di Lucia per ogni dove e forse è giunta a una saturazione (più che comprensibile) che le ha impedito di trovare la giusta misura attoriale e, purtroppo, anche vocale. Una tensione latente si è infatti avvertita nell’esecuzione della coda di Verranno a te sull’aure e all’inizio della scena di follia, in particolare nella zona acuta che col tempo ha perso la sua brillantezza (gli attacchi degli acuti tradiscono incertezze nell’emissione) ma non l’intrinseca morbidezza e sinuosità (squisiti i suoi filati), aumentata da una tendenza al vibrato largo e alle variazioni di intensità sulle messe di voce. Monocromo per colore vocale e recitazione l’Edgardo di Ivan Magrì, tenore catanese che ha esuberanza e carattere ma che deve perfezionare i piano e le sfumature dinamiche ed evitare di essere crescente nella zona acuta. Ottima la prova del baritono Christian Senn che ha sfoggiato un bel timbro ricco di armonici, una compostezza impeccabile nel fraseggio (che gli deriva dalla dimestichezza mostrata anche nel repertorio barocco) e una presenza scenica adeguata al personaggio chiave di Enrico, tormentatore e tormentato, carnefice ma anche vittima delle circostanze politiche. Molto buona la prova del giovane Mariano Buccino che se nell’Aida data al Petruzzelli lo scorso settembre aveva mostrato qualche pecca, con il Raimondo di questa Lucia ha raggiunto una prima tappa importante della sua carriera. Aiutato dalla rigidezza statuaria impostagli dal regista si è infatti tutto concentrato sulla voce che ha dimostrato una rotondità e una pienezza notevoli. Molto buona anche l’Alisa di Elena Traversi che ha voce di squisita eleganza. Piuttosto deboli quanto a volume ma corretti e dignitosi i due tenori di fianco l’Arturo di Murat Can Guvem e il Normanno di Mauro Secci. In continua crescita il Coro del Petruzzelli, preparato da Fabrizio Cassi, composto per gran parte da giovani talenti locali che speriamo presto possano interpretare singoli personaggi nelle prossime produzioni. Un poco distratta la direzione di Antonio Pirolli che si è voluto mantenere su una medietas interpretativa, tralasciando di stagliare appieno i colori strumentali della partitura donizettiana. Questo atteggiamento routinaire non ha certo aiutato a rinnovare la capacità di seduzione di un capolavoro così noto e non è un caso se il pubblico sia parso piuttosto annoiato. Foto Immagina