“Lucia di Lammermoor” al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2017-2018
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano, tratto dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott
Musica Gaetano Donizetti
Lucia LISETTE OROPESA
Sir Edgardo di Ravenswood JAVIER CAMARENA
Lord Enrico Ashton ARTUR RUCINSKI
Raimondo Bidebent ROBERTO TAGLIAVINI
Lord Arturo Bucklaw YIJIE SHI
Alisa MARINA PINCHUK
Normanno ALEJANDRO DEL CERRO
Orquesta y Coro Titulares del Teatro Real
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Andrés Máspero
Armonica a bicchieri Sascha Reckert
Regia David Alden
Scene Charles Edwards
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Adam Silverman
Produzione della English National Opera
Madrid, 28 giugno 2018

Donizetti al Teatro Real di Madrid equivale negli ultimi anni a sicuro successo, soprattutto grazie alle intelligenti scelte di direttori e cantanti. Dopo Roberto Devereux e La Favorite anche Lucia di Lammermoor, nei fasti del Real sin dal 1851, raggiunge un ottimo livello di qualità musicale per merito di Daniel Oren e della coppia protagonista Lisette Oropesa a Javier Camarena. La bravura degli interpreti vocali permette infatti al direttore di presentare Lucia nella versione integrale, con tutti i tagli della tradizione riaperti, le cadenze e la strumentazione originali (quindi l’armonica a bicchieri per la scena della pazzia nel III atto), le cabalette con ripresa e inserimento di variazioni e abbellimenti. Il rispetto delle forme originali e della loro articolazione restituisce un melodramma ovviamente strutturato sui “numeri chiusi”, ma di cui il direttore esalta tutta la ricchezza ritmica, poiché riesce a trasformarli in congegni dall’imprevedibile sviluppo (il celebre duetto finale del I atto, per esempio, risuona più drammatico che languido, perché su di un tempo lento le frasi si susseguono quasi spezzate e frammentate, salvo legarsi in clausola per guizzi rapidi del ritmo). La concertazione e la direzione di Oren, del resto, sono straordinarie: ogni pagina regala all’ascoltatore colori nuovi e dinamiche sempre variabili, su di un pedale di fondo dato dal suono del corno, lontano ma costante come un presagio di morte (geniale corrispondenza musicale con cui Donizetti interpreta le immagini conduttrici del libretto di Cammarano). Più che sulla grandiosità il direttore si concentra sulle trame armoniche della partitura, evidenziando l’atmosfera romantica e l’ambientazione sonora scozzese del romanzo di Scott. Altra sua intelligenza consiste nel permettere un agone di puntature e sopracuti tra i due protagonisti, che al termine di ogni numero acutizzano l’emozione del pubblico. Non stupisce che anche dopo il concertato che precede il finale II, il sestetto «Chi mi frena in tal momento?» sia salutato da una prolungata ovazione. Lisette Oropesa è un soprano di grande valore, che purtroppo canta assai raramente nei teatri italiani (fu Gilda all’Opera di Roma nel dicembre 2016; debutterà al Rossini Opera Festival di Pesaro in Adina il mese prossimo); al Real di Madrid esordì in Rigoletto nel dicembre 2015, proponendo una voce che non era quella di un soprano leggero ordinario. Questa produzione di Lucia conferma un ulteriore sviluppo delle sue qualità: il timbro è suggestivo, per essere più forte che angelicato, delicato ma con qualche zona d’ombra che si adatta bene ai colori fondamentali dell’orchestra. Il vibrato è molto bello; decisamente pregevoli i trilli e gli acuti, preciso il fraseggio; è in alcuni momenti dell’emissione che deve ancora perfezionare la tecnica, soprattutto negli attacchi e nelle note basse, bisognosi di un maggior sostegno. Nella grande scena del III atto la Oropesa trattiene le inflessioni smodate ed enfatiche per concentrarsi sull’espressività delle singole frasi; molto corretta l’enunciazione della cadenza grazie a un buon dominio del fiato, sebbene si profili con evidenza insistente il modello d’impostazione callasiano. Finalmente libero da qualunque tentazione imitativa è invece Javier Camarena: squillante, energico, virile sin dal recitativo del I atto, porge un Edgardo dalle modulazioni elegiache e dalle mezze voci perfette. Questo tenore riesce a contemperare tutti i tratti più lirici e belcantistici del personaggio con il carattere di fondo, violento e passionale; se si volesse instaurare un confronto con modelli del passato non sarebbe azzardato il richiamo alla voce di Giuseppe Di Stefano, ma aggiornata al gusto di oggi, e in più con tutti i pregi della coloratura e del virtuosismo. Esemplifica tale capacità plurilinguistica del cantante la frase «Tu delle gioie in seno, io… della morte!», cui segue un «Tu che a Dio spiegasti l’ali» cantato a mezza voce, con dizione sempre nitidissima, del tutto commovente. Camarena accetta inoltre (e vince) la sfida del declamato più impervio di tutta l’opera, poco prima della stretta del finale II, allorché canta tutte le parole del passaggio «Ah! di dio la mano irata / ti disperda», riferito alla stirpe iniqua e abominata degli Ashton: contributo non piccolo alla coerenza drammaturgica dell’intera scena. Artur Rucinski è un baritono polacco dalla voce salda e ferma, sebbene negli acuti perda a volte un poco di smalto; in particolare nel I atto si compiace di ampie puntature, dimostrando una buona padronanza nella tecnica del legato e un uso apprezzabile del portamento. Roberto Tagliavini è un Raimondo perfetto, sempre dignitoso ed elegante; da alcuni anni questo artista si presenta sulla scena internazionale come uno dei pochi bassi eredi della grande tradizionale vocale italiana, capace di imporsi subito all’attenzione per il congiunto di armonici e di espressività. Un cameo l’Arturo di Yijie Shi, tenore dalla tecnica e dalla preparazione meritevoli di ben altri ruoli. Un po’ aggressiva, anche nella vocalità, l’Alisa di Marina Pinchuk; molto buono il Normanno di Alejandro del Cerro, cinico e spavaldo fino alla fine. Ottima, come sempre, la prova del Coro del Teatro Real preparato da Andrés Máspero. L’apprezzamento del pubblico madrileno, alla fine dell’opera, si trasforma in ovazione quando rientra Lisette Oropesa e l’intera platea si alza in piedi, proseguendo le acclamazioni per Daniel Oren e Javier Camarena.
Si potrebbe parlare di una Lucia molto più godibile all’udito che non alla vista, se questo non ritornasse ingiusto nei confronti delle ambizioni del librettista, che sin dall’Avvertimento allude alle «severe leggi drammatiche» e alle conseguenti modifiche del romanzo originale dell’«Ariosto scozzese». Cammarano e Donizetti, insomma, vollero conservare un’atmosfera letteraria e narrativa decisamente romantica, basata su opposizioni fondamentali che tuttora possono risultare attuali e ispirare il lavoro dei registi. Lucia si piega ai doveri famigliari, «ma sordo alla ragion resiste il core», come ella stessa chiosa con un endecasillabo di rara efficacia; «Di ragion la trasse amore» è poi il lapidario commento del Coro, enunciato tre volte per spiegare a Edgardo la tragedia della sua amata. Un contrasto che avrebbe potuto tradursi in molteplici realizzazioni, se nello spettacolo non fosse stato del tutto ignorato. David Alden è un regista che il pubblico madrileno conosce per alcuni titoli importanti (Alcina e Otello), ma questa Lucia nata per la English National Opera non rappresenta certo il suo capolavoro: l’allestimento è grigio, oscuro, ambientato in interni scalcinati e cadenti, punteggiato di poche luci radenti e fredde. I costumi di Brigitte Reiffenstuel sono molto accurati, personalizzati soprattutto per i personaggi maschili: Edgardo in kilt, Enrico in redingote nera, Arturo in abito nuziale bianco, con mantello dal collo di pelliccia (elegantissimo e glamouroso, se non fosse destinato ad affogare nel sangue di lì a poco). L’alternanza di grande spazio vuoto o di prospettiva angolare non basta a caratterizzare le scene di Charles Edwards, anche perché il piccolo palcoscenico che si pone di fronte agli spettatori è utilizzato assai poco: quasi teatro privato di casa Ashton, si limita a ostentare il sangue sparso da Lucia e il torso senza vita, già orrendamente mutilato, di Arturo. L’apporto della regia non risulta più marcato neppure nella recitazione dei personaggi, visto che agli sfortunati amanti provvedono soprattutto le capacità personali di soprano e tenore, mentre Enrico è presentato come un sadico perverso, che alterna momenti di crudeltà gratuita (quando strazia le bambole e i balocchi della sorellina) ad altri di disgustosa ubriachezza (quando ingaggia il duello con Edgardo nella scena della torre). L’idea del “teatro nel teatro” andrebbe sempre verificata sulla base dell’attinenza drammaturgica, che nel caso di Lucia pare davvero minima: Alden costruisce uno scenario rialzato con sipario chiuso, da cui fa capolino Edgardo nel I atto, senza che però si sviluppi nulla di propriamente “teatrale”, tanto più in un’ambientazione priva di pubblico interno. Nel III atto, mentre Lucia è in preda al delirio, il sipario finalmente si apre per rivelare ai parenti il luogo del crimine e il cadavere dello sposino, tradendo così la cautela del teatro classico (ma anche del melodramma di primo Ottocento) di occultare il delitto, collocandolo al di fuori della scena visibile; al contrario, Alden ritiene che in Lucia di Lammermoor debbano coincidere il numero musicale più celebre e complesso di tutta l’opera con la rappresentazione di un cadavere sanguinolento e del suo assassino (ancor più sanguinolento), proprio come all’inizio di un telefilm di bassa pretesa artistica. «Dio, perdona un tanto error», è il verso finale dell’opera …   Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid