Marcelo Alvarez: “20 Years on the Opera Stage”

Umberto Giordano: “Un dì all’azzurro spazio” (“Andrea Chénier”); Ruggero Leoncavallo: “Che più mi resta” (“Chatterton”); “Testa adorata” (“La Bohème”); Umberto Giordano: “Amor ti vieta” (“Fedora”), Rugero Leoncavallo: “Vesti la giubba” (“Pagliacci”); “O mio piccolo tavolo” (Zazà”); Pietro Mascagni: “Mamma, quel vino è generoso” (“Cavalleria rusticana”); Giacomo Puccini: “Non piangere, Liù”, Nessun dorma” (“Turandot”); “Ch’ella mi creda” (“La fanciulla del West”); Antônio Carlos Gomes: “Quando nascesti tu” (“Lo schiavo”); Fromental Halévy: “Rachel, quand du Seigneur” (“La Juive”); Francesco Cilea: “L’anima ho stanca” (“Adriana Lecouvreur”); Riccardo Zandonai: “Giulietta, son io” (“Giulietta e Romeo”); Jules Massenet: Ô souverainô jugeô père (“Le Cid”). Marcelo Alvarez (tenore); St. Petersburg State Symphony Orchestra; Constantine Orbelian (direttore). Registrazione: San Pietroburgo, aprile 2014. T. Time 54’38’’. 1 CD Delos DE 34720 0 13491 34722 6
A guardare l’impaginato di questo disco di Marcelo Alvarez sembra di fare un salto indietro di 80 anni: 15 tracce, tutte dedicate al repertorio dei grandi tenori del primo Novecento, scelte per celebrare 20 anni di carriera. Un recital improntato perlopiù al verismo: tanto Leoncavallo (da “Chatterton” a “Pagliacci”, passando per “Zazà” e “La Bohème”), un po’ di Puccini (“Turandot” e “La fanciulla del West”) e poi il Cilea di “Adriana Lecouvreur”, un doppio Giordano (“Andrea Chénier” e “Fedora”), il Mascagni di “Cavalleria”. Non mancano una puntata nel repertorio del compositore brasiliano (per nascita, ma europeo per stile) Antônio Carlos Gomes e due incursioni in ambito francese, con Halévy e Massenet. Scelte che testimoniano a che punto sia arrivato il percorso artistico del cantante argentino, che debutta da tenore lirico leggero come Elvino in una “Sonnambula” veneziana del 1995, per poi approdare negli anni a ruoli di tenore lirico spinto e drammatico. Si ascolta il disco e si capisce che la decisione non è stata azzardata: il peso vocale è quello giusto. Quasi sempre: in qualche traccia (vedi “Vesti la giubba”, “L’anima ho stanca”, “Nessun dorma”) si gradirebbe forse una voce più robusta. Ma le note ci sono tutte. E che note. Ovunque si apprezza il timbro ancora strepitoso e comunicativo, lo squillo naturalissimo negli acuti. Voce perfetta per gli slanci melodici di alcuni brucianti ariosi: basti ascoltare “Amor ti vieta”, “Ch’ella mi creda” o la breve aria “Che più mi resta” da “Chatterton” (per inciso, prima impresa operistica di Leoncavallo), ma anche brani più elaborati come “O mio piccolo tavolo” da “Zazà” (sempre di Leoncavallo) e “Quando nascesti tu” da “Lo schiavo” di Gomes.

A voler fare le pulci, si potrebbe dire che dove, oltre ad un’abbondante vena melodica, è richiesta anche una qualche capacità di affabulazione narrativa (è il caso di “Un dì all’azzurro spazio” da “Andrea Chénier”), il canto di Alvarez si fa meno convincente ed emerge il limite di un fraseggio a volte troppo generico. Si potrebbe anche obiettare che un canto spianato e qualche vocale troppo aperta di marca verista siano talvolta fuori luogo (prestate orecchio a “Rachel, quand du Seigneur” da “La Juive” di Halévy e farete fatica a immaginare che quell’aria fu scritta per Adolphe Nourrit). E visto che qualche mezza voce a rischio ingolamento c’è, si potrebbe nutrire qualche dubbio sulla capacità di Alvarez di alleggerire infallibilmente il suono. Ma il bilancio si chiude in positivo, quando si ascolta un “Mamma quel vino è generoso” dalla “Cavalleria” di questo calibro: il timbro spontaneamente giovane si attaglia perfettamente al personaggio, disegnato col canto e con parchezza di effettacci come singulti e voci spezzate. Discorso simile per “Giulietta, son io”, l’aria di Romeo da “Giulietta e Romeo” di Zandonai, dove peraltro il nostro sfoggia note gravi assai solide.
Con Alvarez, in questa impresa discografica, la St. Petersburg State Symphony Orchestra, guidata da Constantine Orbelian, direttore americano d’origini russo-armene, di casa all’etichetta Delos. Buoni impasti sonori, correttezza d’intonazione, fraseggio strumentale composto (anche troppo): bel servizio alla voce solista, che si giova non poco della presa di suono piuttosto alonata, ma non fastidiosa. Nel libretto, introduzioni (rigorosamente in inglese) ad ogni singola aria e note di Bruce Zemsky, manager di Alvarez, sinceramente affettuose nel celebrare una carriera segnata da intelligenza e buon senso.