Maria Callas. Un trattato di canto (seconda parte)

16 settembre 1977/16 settembre 2017  – A quarant’anni dalla morte della grande cantante.
Il canto d’agilità
I suoni cosidetti “picchiettati” che, prodotti con leggerissimi colpi di glottide, costituiscono quasi il tessuto connettivo del canto “fiorito”  Sette-Ottocento, sono diventati nel 900′ appannaggio dei soprani di “coloratura” o “leggeri”. Purtroppo, l’agilità di queste interpreti costituiva anche il loro limite perchè i personaggi rimanevano a due dimensioni.  In “Quando rapito in estasi” e nella cadenza della pazzia della Lucia la Callas rimane un modello per pienezza di suono e precisione dell’agilità legata e picchiettata.

La Callas ha segnato una svolta nel canto d’agilità non solo in Lucia di Lammermoor ma anche, per citarne alcune, nelle arie di Lakmé, Faust, Armida, Semiramide e Rigoletto. In quest’ultima opera, poi, in particolare nel terzo atto appare evidente come Verdi volesse un soprano dalla natura drammatica che quasi primeggi con la forza (possiamo parlare di agilità martellata, ossia suoni emessi quasi appoggiando con potenza diaframmatica imprimendo a ogni nota un particolare accento) sulle voci di Maddalena (contralto) e Sparafucile (basso). Questo brano è emblematico per farci capire che i soprani chiamati ad intrepretare Gilda non erano soprani “leggeri”, ma voci che potevano usare le risonanze di petto dal mi bemolle basso, al do centrale. Lo accenna il Garcia nel suo metodo, riferendosi alla Malibran, la quale cantava Sonnambula e Norma anche se veniva classificata come un mezzosoprano o addirittura un contralto.

Intervalli e Salti
Anche questa particolare tecnica richiede una non comune pazienza da parte dell’esecutore. I “salti legati” sono dovuti alla più assoluta immobilita dell’apparato “oro-faringeo” e allo stesso tempo al più completo rilassamento, indirizzando la produzione della nota inferiore da legare alla superiore, senza ombra di portamento al retrobocca, proiettando le vibrazioni sonore nella cosidetta “maschera”, una sorta di “boomerang” del suono spinto indietro per essere poi rimbalzato in avanti. A questo proposito bisogna tener conto che, termine come “cantare in maschera”, è da  considerarsi del tutto immaginario, in quanto non va a indicare un suono che si forma in corrispondenza delle ossa facciali anteriori, dal momento che questa è una sensazione, un effetto, non una causa. Nel Guglielmo Tell la Callas esegue tipi di salto di ottava. Nella prima strofa dell’aria “Selva opaca” la cantante lega il salto alle parole “alla calma il mio cor s’aprirà” in modo tecnicamente perfetto. Nella seconda strofa  la Callas lega lo stesso salto d’ottava sulla parola “esso sol le mie pene udirà” ricorrendo al legato di portamento, con uno di quegli esempi della sua grande classe interpretativa. Infatti ella, dove la rappresentazione quasi statica della foresta e dei monti (prima strofa) richiede un canto contemplativo, valorizza al massimo il mezzo tecnico a fini espressivi. Nella seconda strofa allorchè si comincia a realizzare il soggettivismo del personaggio, che chiede alla luna “al cui dolce riflesso”di additarle ove Arnoldo s’aggira, la Callas adopera con finissima intuizione il “portamento”, espressione di un particolare momento interiore.
Il Trillo
È fra tutte le “fioriture” la più difficile e si può considerare per i cantanti quasi un dono connaturato, essendo quasi impossibile realizzarlo attraverso il solo esercizio. Il Tosi e il Mancini sono d’accordo nel dire che l’attuazione del “trillo” è quasi sempre attitudinale; lo conferma il Garcia allorchè narra che la Pasta non riuscì per ben dieci anni ad eseguire correttamente un trillo.
Il trillo può essere “preparato” con una nota inferiore, assumendo talvolta l’aspetto di un gruppetto, oppure eseguito direttamente sul suono reale; quest’ultimo è, per il cantante, di più difficile esecuzione, dal momento che esige la massima flessibilità dei muscoli laringei, senza alcuna preparazione iniziale. Appare più “facile” il trillo preparato, con l’alternanza delle due note in crescendo di velocità con un controllo dei centri nervosi che comandano l’attuazione del trillo, per coordinare il movimento di alternazione. Nel repertorio della Callas troviamo molti grandissimi esempi di esecuzione di trilli. Uno tra i più importanti è quello delle battute seguenti il “Caro nome” del Rigoletto. Un trillo preparato e tenuto a lungo, risolto su una nota tenuta in diminuendo.

Altri importanti esempi, li troviamo in Hamlet ( pazzia di Ofelia): qui la Callas esegue una nota trillata, forte e piano, quasi senza preparazione e presa di fiato tra i due segni dinamici. Degno d’interesse il trillo sul registro basso-medio, quasi contraltile, nell’aria “Arrigo! ah parli a un core” (I Vespri Siciliani).
Estensione della voce – Tenuta del fiato – Registro acuto – 1
L’estensione della voce della Callas è divenuta proverbiale. La cantante riuscì a toccare il mi sovracuto nella famosa aria delle campanelle della Lakmé e a scendere al fa diesis sotto il rigo in “Arrigo! ah parli a un core”: dunque circa tre ottave di estensione. La voce della Callas sfuggi alle catalogazioni così come i suoi studi musicali (resta l’informazione del sodalizio con Elvira De Hidalgo, celebre soprano di coloratura). La Callas esordì ad Atene nel 1938, all’età di 15 anni, come Santuzza. Nel 1940 la ritroviamo a cantare Suor Angelica, probabilmente scolastica, con la De Hidalgo al pianoforte. In quello stesso anno la cantante greca canta come Beatrice nel Boccaccio di Suppè, ruolo di soprano leggero. Non è quindi chiaro il ruolo della De Hidalgo, considerando che la cantante iniziò a insegnare al Conservatorio di Atene nel 1939. Fu dunque un lasso di tempo alquanto breve, malgrado si sia detto che fu la cantante spagnola a scoprire la propensione alla coloratura della Callas. È anche un po’ strano che le opere che videro la Callas esordiente furono  titoli non certo d’agilità (Tosca, Gioconda, Parsifal…). Un dilemma di scarsa importanza, così come il presunto “fenomeno Callas”, impressionò men che tutti la stessa cantante. Non dimentichiamo che era un vezzo italiano quello di catalogare i cantanti in categorie, Oltralpe, quello operato dalla Callas aveva già avuto luogo e costituiva un uso piuttosto ricorrente: ad esempio Lilli Lehmann amava alternare ruoli drammatici ad altri di coloratura, così come Zinka Milanov registrò il IV atto di Rigoletto sotto la direzione di Toscanini. In Italia invece si era radicato un certo tipo di tradizione che, all’apparire della Callas andò in “crisi”. Non fu facile per il giovane soprano greco farsi rispettare e amare dal pubblico e dalla critica; basti leggere le cronache del tempo.
La Callas ne fu molto meno impressionata e cantò con la sua voce qualsiasi ruolo le venisse richiesto, cosa che ai giorni d’oggi è quasi una regola con tutti i pro e i contro. Un argomento questo che ha generato e genera sicuramente un ampio dibattito tra i melomani.  I cantanti che affrontano i più disparati ruoli vocali, passando con facilità dal canto oratoriale a quello da camera o lirico, non preoccupandosi del peso specifico della voce, sono quasi tutti stranieri. Un aspetto questo che, guardato con attenzione, si collega anche alla formazione presente all’estero.  Abbiamo mai aperto un volume di “lieder”? Cosa dice l’autore? “Lieder per voce e pianoforte”. Interpretando famosi cicli di Mahler, ci si rende conto che un cantante deve essere allo stesso modo tenore, baritono, basso. Nel canto antico succedeva lo stesso e i grandi trattati di canto parlano spesso di tecniche diverse: Matilde Marchesi si batteva affinchè si potessero eseguire le grandi creazioni vocali ricorrendo a tecniche diverse. Volendo dunque collocare la tecnica della Callas in una precisa situazione storica, la possiamo indirizzare verso quella enunciata dai trattatisti del passato. Con questa cantante cade per la prima volta nel XX sec. il concetto di voce bella. La Callas, riallacciandosi all’antica tradizione italiana, ha saputo piegare il suo strumento vocale a quella tecnica secondo cui una voce può e deve essere di volta in volta di colore chiaro, scuro, gutturale, nasale, rauca, priva di sostegno o vibrazione, non per una ideale resa della vocalità in generale, ma perchè possa assurgere alla dignità di interprete. Non sappiamo se alla Callas fossero noti i trattati di canto e le più diverse speculazioni, né sarebbe lecito liquidare il suo mondo tecnico affermando che si trattò di “istinto musicale”.
Non siamo molto propensi a credere al miracolo operato da  una De Hidalgo o da  un Tullio Serafin:  basti, ad esempio, ascoltare come la Callas, diretta da Serafin, inizia e conduce  il concertato “Qual cor tradisti” (Norma) e poi, sulla stessa idea musicale, sentire il pur volonteroso Franco Corelli. Comprenderemo mai perchè Serafin riuscì ad operare il presunto miracolo con la cantante greca e si accontentò invece dello stile del celebre tenore?


La Callas nella Turandot offre un notevole saggio di tenuta di fiato sulle parole “Quel grido e quella morte” non dimenticandosi soprattutto di articolare alla perfezione la parola “morte” ribattuta sulla stessa altezza del suono (la potete ascoltare nella precedente puntata). Altro stupefacente esempio è dato dalla Callas in vocalizzo cadenza a mezzavoce per gradi cromatici tratto dalla scena finale dell’Anna Bolena, all’inizio dell’aria “Al dolce guidami” in cui è quasi impossibile avvertire l’esatto punto in cui la cantante respira pur non interrompendo la linea di canto. Ancora nell’Hamlet la Callas esegue una scala cromatica ascendente sino al mi sovracuto. (Fine seconda parte)