Maria e Biki (parte seconda)

Nel tempo , disegnare e realizzare abiti per Maria Callas divenne per Biki e Alain un rito sempre più affettuoso ed esaltante. Ma anche consolatorio, scandito sui ritmi della felicità della diva e su quelli delle sue disillusioni. Raso color miele con profili di zibellino per la serata in onore di Charles De Gaulle all’Opéra di Parigi, tutto leopardo per un abito lungo da sera, velluto cremisi per un concerto, raso nero per  rispondere al volere di chi voleva che lei mettesse in risalto la sua figura di donna sofisticata, grandi cappe per avvolgere le spalle, scollature con immense maniche a farfalla per stupire gli americani, cuoio nero in un mantello foderato di zibellino per i pomeriggi viennesi. E spesso Biki e Alain si producevano in un idea, nuovissima, come una lunga coda “quadrata” che un creatore di moda come Yves Saint Laurent ammirò fino a dire pubblicamente: “Ah, che meraviglia, vorrei averla inventata io…”
Gli abiti di Maria facevano scalpore, incantavano le folle, erano oggetto di innumerevoli articoli sulla stampa di tutto il mondo. Biki sentiva di aver realizzato il proprio sogno di bambina, e soltanto adesso riusciva a comprendere quanto il suo stesso sogno fosse stato grande e perfetto. La vocazione per il colore, la sua inclinazione per l’eleganza, la sua passione per il teatro, il senso pratico che la portava a dare forma concreta a ogni sua ispirazione si realizzavano oggi in un unico riflesso: pensare a un’opera d’arte da far indossare a una stella, senza timore di sfidare i confini delle mode e senza altri concreti limiti. Si trattava di un sogno che Biki riusciva a realizzare anche come atto di gratitudine alla fiducia di chi questo sogno aveva alimentato. Biki non pensò mai di fare le cose solo per se stessa. “Le dedicherò al Signore che ha voluto darmi un po’ di talento e ai compagni fedeli della mia vita”, pensava. “A mia madre Fosca, a mia nonna Elvira, a Puccini, a Toscanini, a tutti quelli che hanno avuto fiducia in me.” E tornava poi a ripetere un antico ritornello: “Fermarsi non bisogna e in altre terre e in altre culture cercare ispirazione”.
Con lo scorrere degli anni, il guardaroba della Callas si arricchì di fantastici modelli, costruiti in tessuti preziosi e colori superbi, dal rosso fuoco al turchese, al giallo oro, al profondo nero. “Come porta gli abiti Maria Callas, nessuna mannequins potrà mai eguagliarla”, raccontava Biki alle amiche. “E come porta i foulard!… Con regalità, legato intorno al collo con una disinvoltura inimitabile…”
Venne poi per Maria Callas il giorno di Aristotele Onassis.
Biki, devi venire in mio soccorso“, telefonò un giorno Maria da Parigi. “Dovrai prepararmi un guardaroba intero per partecipare a una crociera organizzata dal miliardario Aristotele Onassis sul suo yacht Cristina.”
“Bene, mi fa piacere. Allora la prima volta che verrai a Milano passerai a vedere i disegni.”

“Ma c’è fretta, perché la crociera parte il 22 luglio…”
“Non abbiamo nemmeno quindici giorni, allora… Ma che cosa pensi di avere bisogno?”
“Di tutto, amica mia, di tutto, dagli abiti da sera ai costumi da bagno…”
Biki non si scompose. Raccolse la sfida. Comprendeva che il guardaroba doveva essere all’altezza di una crociera. La cantante si lasciò consigliare, guidare da Biki e Alain che riuscirono, in tempi record, rinforzando lo staff delle lavoranti, rimanendo in piedi anche la notte, a realizzare il più bel guardaroba da crociera che una diva avesse mai posseduto. Per il giorno, completi pantalone resi eleganti da corte gonne, aperte sul davanti, che si dovevano indossare sopra, abiti lunghi, scollatissimi, con stole importanti, prendisole sofisticati, costumi da bagno che mettevano in risalto la nuova silhouette di Maria, abiti da giorno leggeri come nuvole, e foulard, cappelli e accessori..
Con il passare degli anni, la felicità di Maria si appannò. Quando andava a trovare Biki, anche sotto i veli del pudore, mostrava le sue ferite. All’interno dell’atelier, lo specchio a tre ante rimandava luci e ombre, e l’immagine di due donne che trovavano il modo di guardarsi negli occhi avendo l’illusione di evitarlo.
Maria a piedi scalzi, vestita di quei tagli di stoffa che stavano per diventare un elemento di seduzione per tenere viva l’Attenzione di Aristotele, offriva all’amica uno sguardo eccessivamente tranquillo per essere genuino. Biki in ginocchio, per misurare quanto fossero calibrate certe lunghezze, le rimandava occhiate affettuosamente indagatrici. Nel riflesso luminoso e crudo si moltiplicavano le confessioni mute di uno spirito che stava smarrendosi. Quale felicità stava sfuggendo a Maria, di quale soccorso aveva bisogno?
A Biki toccò anche di vestirla per le sue ultime apparizioni in pubblico, negli anni ’70, per le sue estreme concessioni del canto di un cigno che orgogliosamente stava decidendo di ritirarsi dalle scene. Era iniziata per Maria Callas l’epoca dell’espiazione e della solitudine. Nella sua casa di Parigi, dove negli ultimi anni della sua esistenza viveva con l’unica compagnia della cameriera Bruna e dello chauffeur Ferruccio, pagava il suo tributo al dolore, rifaceva i conti con un destino che tutto le aveva dato e tutto le aveva tolto.