Opera di Firenze: “La Bohéme” (cast alternativo)

Opera di Firenze – Stagione 2016-2017
“LA BOHEME”
Opera in quattro quadri
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa ispirato al romanzo Scene della vita di Boheme di Henry Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì VALERIA SEPE
Rodolfo LEONARDO CAIMI
Marcello JULIAN KIM
Musetta LAURA TATULESCU
Colline GIANLUCA BURATTO
Schaunard FABIO PREVIATI
Benoît/Alcindoro SALVATORE SALVAGGIO
Parpignol CARLO MESSERI
Sergente dei doganieri VITO LUCIANO ROBERTI
Un doganiere ANTONIO CORBISIERO
Venditore ambulante LEONARDO SGROI
Figurante speciale LUIGI BENASSAI
Orchestra, Coro e Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Lorenzo Mariani
Scene e costumi William Orlandi
Luci di Christian Pinaud

Firenze, 22 novembre 2016

Questa Boheme fiorentina utilizza una messa in scena di William Orlandi, con la regia di Lorenzo Mariani, nata da qualche anno e già vista in vari teatri d’Italia.
Le recite intrecciano due cast con un terzo tenore nell’ultima recita, e due direttori, il veterano Daniel Oren e il giovanissimo Francesco Ivan Ciampa.
Io ho assistito ad una replica che vedeva impegnato Oren con il secondo cast.
L’accoppiata di titolo e direttore ha avuto come risultato un successo di vendite come di rado si è visto ultimamente; il pubblico era numerosissimo, variegato e anche molto soddisfatto, e ha manifestato in maniera evidente e rumorosa la sua partecipazione e il suo entusiasmo.
L’evento, un’opera tra le più amate, di grande presa emotiva, affidata alla direzione di Daniel Oren, direttore di fama mondiale, che ha uno speciale legame con il teatro fiorentino e una congenialità ampiamente dimostrata e unanimemente riconosciuta al mondo pucciniano, aveva già sulla carta i numeri per suscitare un interesse diffuso; la prova dei fatti è stata una grande conferma, un risultato artistico di alto livello e insieme uno spettacolo popolare nel senso più positivo del termine, ovvero accessibile a tutti, capace di comunicare bellezza ed emozione senza intellettualismi.
A questo risultato hanno concorso tutte le forze in campo: la concezione della messa in scena, in perfetto accordo con la visione del direttore d’orchestra, ha teso a sottolineare gli aspetti affettivi, la tenerezza reciproca, il legame di amicizia, la bontà che trabocca dal cuore degli squattrinati personaggi, esteriormente scapestrati, nichilisti, dalla vita disordinata, ma intimamente pieni di solidarietà e di pietas.
È una Boheme di buoni sentimenti, anzi sfacciatamente sentimentale, agli antipodi rispetto a certe riletture tese a sovvertire una tradizione interpretativa ritenuta sdolcinata, patetica mettendo in primo piano il gelo, lo squallore, la solitudine della morte; questa messa in scena al contrario abbraccia la tradizione, segue fedelmente il testo e lo illustra con semplicità, alternando la gaiezza chiassosa degli episodi brillanti con la tenerezza dell’amore nascente, la malinconia dell’addio e il pathos violento dell’epilogo tragico.
La direzione di Daniel Oren, estremamente interessante, originale, mai banale, è il grande punto di forza di questa produzione, il quid che ha reso memorabile uno spettacolo altrimenti solo fresco e piacevole.boheme-2
Il direttore israeliano ha dimostrato una capacità di illuminare con sapienza e partecipazione ciascun episodio, per mezzo di un fraseggio di grande respiro e libertà, con scelte dei tempi personali, con sottolineature dinamiche e agogiche incisive, sempre coniugando il tutto con una notevolissima bellezza sonora, in questo sostenuto dalla magnifica Orchestra del Maggio, capace di seguirlo in ogni indicazione con la massima levigatezza e pulizia.
Il filo conduttore scelto e perseguito coerentemente è, come dicevo, il calore, il pathos, l’intensità del sentimento, al quale il fraseggio si abbandona con candore e senza complessi; Oren non ha paura dell’effetto né dell’eccesso, è sicurissimo della sua visione e la porta a compimento con una sincerità e una verità che non possono non coinvolgere e commuovere.
Tra i tanti passaggi che meritano di essere ricordati potrei citare il modo in cui l’arrivo della primavera si traduce in suoni, con una progressione e un crescendo di intensità abbagliante nell’accompagnamento al canto sulle frasi di Mimì che conducono al “primo bacio dell’Aprile”; oppure il valzer di Musetta, condotto su un tempo lentissimo, veramente languido e seducente; l’intensità del climax raggiunto, sempre con suono perfettamente compatto e tondo, senza ombra di volgarità, nella frase che culmina nel “ricordo d’amore” di Mimì; la dolcezza – nel tempo, nelle dinamiche, nei colori – dell’introduzione e poi tutto l’accompagnamento orchestrale del duetto “o Mimì tu più non torni” che valorizza meravigliosamente la delicatezza della scrittura. Queste sono alcune delle mille occasioni in cui Oren fa poesia; sarà poesia popolare, facile forse: il direttore sembra non farsene un problema, il pubblico ne è catturato.
C’è tanto sentimento e pathos, ma anche spirito, freschezza, humour in questa Boheme. Faccio un solo esempio: la pompa e la solennità autoironica che rendono la morte di Lorito veramente gloriosa come la morte di un Socrate, per il tempo e la tinta tragica che poi in un attimo sfumano nei lazzi, dal momento che nessuno presta attenzione alle gesta di Schaunard avvelenatore di pappagalli.
Il cast – secondo cast – di questa Boheme è omogeneo, giovane, compatto; tutti bravi attori, tutte buone voci, senza nessuno che emerga in maniera particolare. È un cast ottimo per realizzare quella dimensione corale, quella “comunanza di sentire” che, come ci ricorda Cesare Orselli nel saggio accluso al programma di sala, è il carattere distintivo di Boheme, opera non di protagonisti assoluti ma di ambiente, a partire dal titolo.
Nel quartetto maschile Julian Kim, Marcello, ha la voce più notevole, sicura e sonora, è un attore spigliato e canta con proprietà; purtroppo qualche acuto estremo è spinto e fibroso.
Leonardo Caimi, Rodolfo, ha un timbro piuttosto bello, ottime intenzioni, è corretto, espressivo, ha una bella presenza scenica, canta l’intera sua parte senza difficoltà; la sua è una voce lirica di peso medio. Una proiezione più efficace del suono valorizzerebbe il volume e gli risparmierebbe un po’ di fatica, dal momento che qualche suono è arretrato e non corre, come risulta evidente quando canta con la Mimì di Valeria Sepe, dotata invece di un’emissione che rende penetrante uno strumento non enorme, ma di sonorità più che soddisfacente. boheme-3Sembra emozionata o fredda all’ingresso in scena, ma prende quota durante la serata: l’aria “Mi chiamano Mimì” è cantata diligentemente con qualche suono stretto e un po’ querulo, “Donde lieta uscì” è un’ottima esecuzione, di tutt’altro livello vocale e interpretativo.
Tornando agli uomini, Fabio Previati dipinge uno Schaunard scenicamente signorile, una sorta di dandy bonariamente cinico, che non riesce a prendere niente sul serio, ma che improvvisamente si trasfigura quando l’alito della morte spazza via la gaiezza dalla soffitta; vocalmente all’altezza del compito, affronta con sicurezza e proprietà le sue non molte frasi.
Di grande simpatia scenica è il Colline di Gianluca Buratto, personaggio buono e saggio che canta una bellissima “Vecchia Zimarra” su un tempo non eccessivamente lento, ma non veloce, con semplicità e giusto un accenno di retorica, giacché si tratta delle poche parole improvvisate che un giovane rivolge al pastrano che sta andando a impegnare, ma l’inciso ha una sua solennità non magniloquente, ma intima, malinconica, dal momento ciò che se ne sta andando per sempre non è solo la zimarra, ma un’intera stagione della vita.
Interessante è la Musetta di Laura Tatulescu, dotata di una voce non grande, che però acquista corpo e squillo nella salita, con acuti facilissimi e cristallini; è a suo pieno agio nel dipingere entrambi gli aspetti del suo personaggio: la Musetta leggera e frivola, la seduttrice incostante e la Musetta sensibile, responsabile e commossa dell’ultimo quadro.
Le parti di contorno sono state interpretate tutte in modo soddisfacente e di ottimo livello è stata, come di consueto, la prestazione del Coro e del Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino.
Per ulteriori osservazioni sull’aspetto scenico e registico rimando alla recensione di Gianmarco Gurioli.