“Penthesilea” al Théâtre La Monnaie

Bruxelles, Théâtre La Monnaie – Stagione 2014/2015
“PENTHESILEA”
Opera con prologo, undici scene ed epilogo tratta da Heinrich von Kleist. Libretto di Pascal Dusapin e Beate Haeckl
Musica di Pascal Dusapin
Penthesilea NATASCHA PETRINSKY
Prothoe MARISOL MONTALVO
Achilles GEORG NIGL
Odysseus WERNER VAN MECHELEN
Oberpriesterin EVE-MAUD HUBEAUX
Bote WIARD WITHOLT
Botin YAROSLAVA KOZINA
Amazone MARTA BERETTA
Orchestra e coro del Théâtre La Monnaie
Direttore Franck Ollu
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Pierre Audi
Scene Berlinde De Bruyckere
Costumi Wojciech Dziedzic
Luci Jean Kalman
Video Mirjam Devriendt
Dispositivo elettro-acustico Thierry Coduys
Drammaturgia Krystian Lada
Produzione Théâtre La Monnaie/ Opéra national du Rhin (Strasbourg)
Bruxelles, 14 aprile 2015

“Penthesilea” è la settima opera del compositore francese Pascal Dusapin, ispirata all’omonima tragedia di Heinrich von Kleist, e commissionatagli espressamente dal Théâtre La Monnaie per la stagione 2014/2015. La tragedia di von Kleist era stata giudicata “non rappresentabile” da Goethe, e lo stesso Dusapin ha atteso molti anni prima di accogliere la proposta di scrivere un’opera sul mito di Penthesilea. Il compositore, che ha anche scritto il libretto a quattro mani con Beate Haeckl, ha scelto una frase di Christa Wolf per introdurre quest’opera: “Cosi comincia l’era moderna, e non è un bello spettacolo”. Indubbiamente, la citazione è ideale per rendere il contesto e la filosofia di fondo che regge questa sua ultima fatica. L’opera, cosi come la tragedia di von Kleist, narra di amore e di guerra, della fatale relazione che lega la regina delle Amazzoni Penthesilea ad Achille, amanti e nemici sullo sfondo della guerra di Troia, divisi tra la passione che li attrae e la legge che li vuole su fronti opposti e destinati a combattersi. Penthesilea, chiamata a un ultimo duello da Achille, in preda a un’ossessione folle, brutale, sanguinaria uccide il suo amante con modalità bestiali (letteralmente, lo divora). Dusapin ci ricorda in proposito un’altra riflessione di Christa Wolf per la quale siamo portati ad annientare ciò che amiamo. Fra amori impossibili che diventano amori assassini, brutalità, violenza, furia senza senso non è difficile intuire che cosa pensi Dusapin dell’epoca contemporanea.
L’opera si compone di un prologo, undici scene e un epilogo. La prima impressione è che si tratti più di teatro musicale, o teatro cantato – e a tratti declamato, a tratti gridato. La musica accompagna le emozioni, e siccome le emozioni appartengono sovente ai registri dell’ossessione, della rabbia, dell’incubo, prevalgono suoni che determinano un’atmosfera sempre carica di tensione, con accenti sorprendenti, talvolta violenti come il dramma che si consuma in scena. Spicca qua e là uno strumento in particolare, come l’arpa nel prologo e in altre parti dove tratteggia momenti di riflessione malinconica in mezzo agli eroici e sanguinari furori. La musica completa e dà spessore anche alla caratterizzazione dei personaggi, a cominciare da Penthesilea regina d’amore e di follia, divorata dalla passione e dalla rabbia guerriera. Achilles al confronto appare misurato, più stilizzato, Odysseus è la voce della ragione che in questa storia parla invano, e Prothoe, ancella e confidente di Penthesilea, è forse il personaggio più delicato, soprattutto nella parte finale in cui appare divisa tra l’orrore per il crimine bestiale della sua regina e la devozione assoluta per lei, sua prima e vera ragione di vita.
Definire Penthesilea un dramma a tinte fosche, per usare una frase fatta, è quasi un eufemismo, e l’allestimento scenico sostiene e rafforza la sensazione generale di tensione e di oppressione. Predomina il nero e il grigio, o meglio ancora, l’assenza di colore. La regia di Pierre Audi preferisce lasciare tutto lo spazio ai personaggi nell’espressione del loro dramma, ma questa scelta dà luogo a una rappresentazione piuttosto statica. E’ un’atmosfera plumbea, grigia, tetra quella che si vede in scena, con guerrieri e amazzoni che strisciano e si contorcono in un’espressione di malessere allucinato. Non molto originale, e a tratti francamente noiosa. I costumi di Wojciech Dziedzic sono sulla stessa linea, incolori, sembrano fatti apposta per non attirare lo sguardo. Le luci di Jean Kalman sono fredde e statiche, con un uso della luce radente e del chiaroscuro abbastanza scontato. L’impressione complessiva che si ricava dall’allestimento è che si è scientemente evitato di offrire qualsiasi elemento che potesse risultare gratificante alla vista. Anzi, si erra in certi casi sul fronte opposto, con immagini in video, a cura di Mirjam Devriendt e ideate da Berlinde De Bruyckere, che ritraggono le primissime fasi della concia del pellame, trattato da mani avvolte in robusti guanti di plastica blu. Dal disgusto al bacio saffico di Penthesilea e Prothoe, non manca nulla del moderno, consueto repertorio di provocazione.
Al centro della scena, dall’inizio alla fine, la Penthesilea di Natascha Petrinsky, che non ha difficoltà a concentrare tutti gli sguardi in un’interpretazione efficace ed esagerata come il personaggio, senza limiti né mezze misure. Del tutto credibile quando esprime la furia, la follia, l’ossessione e la rabbia, un po’ meno quando deve rendere la passione per Achilles. Sicuramente si fa ricordare più per la prova complessiva e la presenza scenica che per la parte vocale. Georg Nigl offre una prova equilibrata nel ruolo di Achilles, ma non colpisce particolarmente per drammaticità ed espressività. Dopo averlo visto recentemente in “Jakob Lenz”, sempre alla Monnaie, viene da pensare che le sue capacità espressive siano, in Penthesilea, sfruttate al di sotto delle sue possibilità. Quando canta, esibisce una voce sicura, calda, ben proiettata. Marisol Montalvo, nel ruolo della fedele Prothoe, risulta necessariamente un personaggio più sbiadito della sua regina, e non poteva essere diversamente, ma la voce è piacevole e carica di emozione. Tutti di buon livello i personaggi secondari, e fra essi particolarmente incisiva la giovane sacerdotessa interpretata da Eve-Maud Hubeaux. Sempre positiva la prova del coro diretto da Martino Faggiani, al quale viene purtroppo riservato poco spazio. Franck Ollu, chiamato a sostituire Ludovic Morlot per quest’opera, dirige l’orchestra senza esitazioni ma con qualche eccesso che non rende giustizia alle voci femminili. Il pubblico della Monnaie, che in tema di opera lirica è ben temprato alla modernità, ha applaudito con cortesia, anche se un’occhiata all’intorno dava l’impressione che gli applausi fossero a macchia di leopardo.