Pisa: Il “Requiem” di Mozart apre la rassegna “Anima Mundi”

Pisa, Cattedrale Primaziale, XI Rassegna Internazionale di Musica Sacra “Anima Mundi”
Concerto dell’Orchestra e del Coro del Maggio Musicale Fiorentino

Direttore, Christopher Hogwood
Maestro del coro, Piero Monti
Soprano, Roberta Mameli
Mezzosoprano, Milena Storti
Tenore, Antonio Lozano
Basso: Andrea Mastroni
W. A. Mozart: Ave verum Corpus, per coro e orchestra K 618
W. A. Mozart: Requiem per soli, coro e orchestra K 626
Pisa, 17 settembre 2011

Se quest’estate fatica a cedere il posto all’autunno, puntualmente, invece, torna a Pisa la Rassegna Internazionale di Musica Sacra “Anima Mundi” per la gioia di un pubblico sempre più affezionato, vasto e molto attento. Il “La” a quest’undicesima edizione haavuto luogo  nella consueta quanto esclusiva cornice della Primaziale di Pisa i cui protagonisti della serata sono l’Orchestra e il Coro del Maggio Musicale Fiorentino guidati dalla bacchetta di Christopher Hogwood.
Il brano d’apertura è “Ave verum Corpus” K 618, composto da Wolfgang Amadeus Mozart durante l’ultima estate della sua vita nella ridente cittadina termale di Baden bei Wien utilizzando il testo di un tropo del XIII secolo nella versione testuale presente in un manoscritto conservato nell’abbazia di Richenau. Siamo di fronte ad una composizione che come una perla brilla incastonata tra la musica dionisiaca dello sterminato repertorio del genio salisburghese ormai prossimo a congedarsi dalla sua intensissima esistenza terrena: i complessi artistici offrono un’esecuzione sinceramente devota abbracciandosi in un andamento morbido, pacato, come mossi da un amore fraterno: il risultato è quello di una bellezza estatica, un attimo d’infinito di fronte alla quale è davvero molto difficile non lasciarsi trasportare.
Il “pezzo forte” della serata è lo struggente Requiem K 626, sempre di Mozart: inutile dilungarsi, in questa sede, sulla selva oscura di leggende e dicerie che sono germogliate intorno a questo testamento artistico. Tuttavia, mi permetto solo di nominare il lungimirante saggio “La morte di Mozart” di Piero Buscaroli come uno dei migliori tentativi degl’ultimi anni nell’essere riuscito a garantire una panoramica sulla realtà dei fatti che possa essere tra le più scientificamente corrette nei limiti del possibile filtrandola dalla colorita leggenda che col tempo è nata e si è ingigantita ad opera di Stendhal, Puškin e via via fino alla celebre pellicola di Forman.
Leggenda o realtà, tutti conveniamo che questa è una pagina musicale non compiuta e che le integrazioni sono state apportate con un lavoro certosino dai posteri di Mozart fra i quali spicca la figura dell’allievo Franz Xaver Süssmayr siamo, dunque, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, alle prese con uno dei capolavori filologicamente più complessi da interpretare e alla luce di ciò la direzione di colui che viene definito il “Karajan della musica antica”, Christopher Hogwood, è stata assolutamente magistrale.
Un andamento concitato (che ad un orecchio distratto può apparire come frettoloso), un’orchestra marcata e un coro di larghe intese tra le parti hanno garantito, soprattutto in alcuni momenti come quelli del “Rex tremendae maiestatis” quella forte espressività, quell’energica implorazione che una miserabile umanità rivolge in extremis a un Dio giudice. La lettura che il direttore britannico cura di questo Requiem è molto attenta e profondamente studiata se si considera il fatto che si tiene conto, in primo luogo, del contenitore nel quale è inserito, una basilica cristiana la quale architettura ha il pregio (in questo caso) di plasmare il suono con l’armonia dei suoi elementi rendendolo asciutto e pulito, trattenendo sulle sue superfici quelle vibrazioni sonore che l’orecchio continua ad intuire in quegli istanti che immediatamente seguono al momento della loro emissione da parte degli strumenti: è proprio qui, dunque, che a mio avviso risiede l’eccellenza delle scelte di Hogwood (che lui stesso ha tenuto a definirle “barocche”): l’architettura diventa parte integrante delle masse artistiche, essa stessa è vero strumento musicale che con il gioco di echi misurati e mai invadenti riesce a far percepire come “allungate” quelle note che le compagini eseguono in modo che poc’anzi si definiva come concitato.
Ogni brano è eseguito su questa linea, dai più vivaci ed energici quali possono essere quelli del “Confutatis” o del “Sanctus” a quelli più assorti come il “Recordare” oltre a quelli più solenni e mesti con l’“Introitus” o il “Lacrimosa” in luogo del quale la serie in 12/8 di semiminime dei violini secondi e delle viole e di crome dei violini primi in “piano” mirabilmente rendono l’effetto della lacrima trattenuta a stento, mentre il “crescendo” corale alle parole “Judicandus homo reus” guidano un grande pathos alle vette della massima profondità.
Ora protagonista, ora d’accompagnamento, la prova dell’orchestra è sempre alquanto superba: ogni tempo è minuziosamente rispettato, ogni accordo ben intonato senza eccessività di tipo alcuno. Il coro, invece, dà il massimo della sua professionalità principalmente nel fugato del “Kyrie”: non una sbavatura o un’imprecisione, solo tanta professionalità nella quale fondamentale è anche il contributo del lavoro di Piero Monti preparandolo con una professionalità sempre puntuale.
Le parti solistiche sono state interpretate da Roberta Mameli, Milena Storti, Antonio LozanoAndrea Mastroni che hanno anche cantato all’unisono con il Coro, come richiesto dalla partitura.
Il bilancio conclusivo è quello di un ampio successo di pubblico emozionato da una musica che è tra le più belle che ritengo mai essere state udite da orecchio umano: una bellezza esponenzialmente moltiplicata anche dalla mirabile magnificenza del “miracolo” della Cattedrale di Pisa: l’apocalittico “Die irae”, tanto per fare un esempio, certamente non sarebbe stato la stessa cosa se al contempo lo sguardo non si sarebbe inevitabilmente potuto posato sul severo mosaico del Cristo pantocratore che troneggia dal catino absidale in tutta la sua tremendae maiestatis!