Ricordando Claude Debussy (1862 – 1918) a 100 anni dalla morte – I: “Pelléas et Mélisande”

Claude Debussy rappresenta, nel panorama musicale tra la fine Ottocento e gli inizi del Novecento, una voce estremamente originale in quanto investì la musica di una concezione completamente nuova che coinvolgeva non solo l’aspetto puramente compositivo ma anche lo stesso fine a cui doveva tendere l’esperienza musicale. In realtà l’intenzione di Debussy non era quella di rappresentare, nelle sue opere, determinate situazioni, ma delineare le emozioni, secondo lui, vero e proprio oggetto della musica che, come la poesia simbolista, doveva addentrarsi in quella foresta di simboli che è la natura per rivelare i nessi nascosti ponendosi come un ideale anello di congiunzione fra la natura e l’immaginazione. Questa originale concezione della musica, che non ebbe né precedenti, né imitatori, informò anche la sua unica e completa opera teatrale Pelléas et Mélisande della cui genesi parlò lo stesso compositore:
“Per un lungo tempo stavo tentando di scrivere musica per il teatro, ma la forma in cui volevo che fosse era così insolita che dopo parecchi tentativi, avevo rinunziato all’idea”.
Egli, infatti, intorno al 1880 aveva cominciato a lavorare ad alcuni soggetti (Diane au bois e Axël) rinunziandovi ben presto; in seguito, allettato dalla promessa di una rappresentazione all’Opéra e di un lauto guadagno, accettò un libretto di Catulle Mendès dal titolo Rodrigue et Chimène che si rifaceva alla storia del Cid. L’argomento convenzionale del libretto non sollecitò, tuttavia, la sua creatività. Egli, infatti, immaginava un’opera diversa dalla tradizione come si legge in una lettera del 1890 a Ernest Guiraud:
“L’ideale sarebbe due sogni associati: niente tempo, nessun luogo, nessuna grande scena…la musica nell’opera è del tutto predominante. Troppo canto e troppi allestimenti musicali sono troppo ingombranti […]”.
Finalmente dopo tanti tentativi egli trovò la forma di dramma rispondente al suo ideale nel poeta simbolista Maurice Maeterlinck, i cui lavori erano molto popolari presso gli avanguardisti parigini sia per lo stile che per il contenuto basato sull’espressione simbolica della vita interiore dei personaggi. Debussy chiese allora al poeta belga il permesso di mettere in musica La princesse Maleine alla cui rappresentazione teatrale aveva assistito ma, essendo stato il lavoro promesso a Vincent d’Indy, optò per Pelléas et Mélisande e spiegò il motivo della sua scelta in un articolo:
“Il dramma di Pelléas che oltre alla sua atmosfera di sogno contiene molta più umanità dei così chiamati documenti di vita reale, sembrò soddisfare le mie intenzioni in modo ammirevole. In essa c’è un linguaggio evocativo la cui sensitività potrebbe essere estesa nella musica”.
Così nel mese di agosto 1893 Debussy abbandonò definitivamente il libretto di Mendès e, tramite il suo amico, il poeta Henri de Régnier, contattò Maeterlinck che fu ben felice di concedergli il diritto di scrivere un’opera ed anzi lo autorizzò a fare i tagli e le modifiche che riteneva opportuni. Forte di questa autorizzazione, Debussy apportò le seguenti modifiche: l’eliminazione della prima dell’atto primo, della quarta del secondo, della prima del terzo e della prima del quinto; la riduzione del ruolo delle serve ad una sola silenziosa apparizione nell’ultimo atto; l’eliminazione delle descrizioni elaborate tanto amate dal poeta belga. La partitura senza orchestrazione dettagliata era già pronta nel mese di agosto 1895, ma fu completata solo quando, nel 1898, l’Opéra-Comique accettò il lavoro.
Pelléas et Mélisande andò in scena il 13 gennaio 1902 restando, nonostante le iniziali perplessità, in cartellone per ben 15 settimane. Dopo la rappresentazione del 9 gennaio 1907 a La Monnaie, a Bruxelles, in una versione revisionata, l’opera uscì dai confini della Francia per approdare a Francoforte il 19 aprile dello stesso anno, alla Manhattam Opera House di New York il 19 febbraio 1908, alla Scala di Milano diretta da Arturo Toscanini il 12 aprile 1908 e al Covent Garden di Londra il 21 maggio 1909. Dopo la Prima Guerra Mondiale la  popolarità dell’opera cominciò a declinare nonostante alcune importanti riprese nella seconda metà del XX secolo tra cui quella a Marsiglia nel 1963 con la scenografia di Jean Cocteau e quella del Covent Garden (1969) diretta da Pierre Boulez.
Atto primo. Il principe Golaud, nipote del re Arkel di Allemonde, persosi nella foresta mentre era impegnato in una battuta di caccia, si imbatte in una giovane piangente accanto ad una sorgente nella quale si vede una corona. Alle sue domande la giovane risponde di chiamarsi Mélisande e di non conoscere le sue origini ma, dopo essersi opposta al tentativo di Golaud di recuperare la corona, si fa convincere a seguirlo prima che faccia buio. Sono passati sei mesi e Pelléas, in presenza della madre Geneviève, legge al vecchio e quasi cieco Arkel una lettera di suo fratello Golaud il quale rivela di aver sposato Mélisande sebbene ignorasse le sue origini. Volendo conoscere la reazione del nonno, chiede al fratello di accendere una lampada nella torre per comunicargli se la notizia è stata accolta favorevolmente; in caso contrario sarebbe partito per non tornare più. Il vecchio re aveva progettato di far sposare il nipote vedovo con la principessa Ursule per mettere pace fra le due famiglie, ma si arrende al destino e accetta il matrimonio di Golaud con Mélisande e Pelléas allora va ad accendere la lampada. Mentre stanno passeggiando nel giardino, Geneviève e Mélisande sono raggiunte da Pelléas e, vedendo una grande nave allontanarsi dalla riva, Mélisande ne profetizza il naufragio. Allontanatasi Geneviève per andare alla ricerca di Yniold, figlio avuto da Golaud dalla prima moglie, rimasto solo con Mélisande, Pelléas le dice che potrebbe partire il giorno dopo.
Atto secondo. È un caldo giorno d’estate e Pelléas ha condotto Mélisande in uno dei suoi luoghi preferiti, la Fontana dei ciechi, che, secondo una credenza popolare, era creduta miracolosa per la cura della cecità ma, da quando il vecchio re aveva cominciato a perdere la vista, nessuno la frequentava più. Mélisande, distesa sull’orlo marmoreo della fontana, nel tentativo di guardare il fondo, cade nell’acqua. Allora Pelléas, ricordando che Golaud aveva incontrato la donna vicino a una sorgente, le chiede se suo fratello avesse cercato di baciarla ma la donna non risponde e gioca con l’anello donatole dal marito facendolo scivolare dalle sue dita nell’acqua. Pelléas, notando che l’orologio suonava le 12:00 ogni volta che l’anello toccava l’acqua, consiglia a Mélisande di raccontare la verità a Golaud.
Nella camera da letto dove Golaud giace ferito essendo caduto dal cavallo che, senza alcuna ragione, si era impennato appena l’orologio aveva suonato le 12:00, Mélisande confessa al marito di sentirsi infelice al castello e di volere andare via con lui senza dare alcuna spiegazione. Golaud le chiede se la causa è Pelléas e la donna risponde che ritiene di non piacergli. Guardando per caso la mano di Mélisande e accorgendosi della mancanza dell’anello di nozze al dito, infuriato, ne chiede spiegazioni e alla sua risposta di averlo perso nella grotta vicino al mare mentre raccoglieva conchiglie con Yniold, le ordina di andarlo a cercare prima che si alzi la marea e le propone di farsi accompagnare da Pelléas se ha paura del buio. I due giovani vanno nella grotta e Pelléas convince Mélisande ad entrare sebbene abbia paura per poter descrivere il luogo al marito. All’improvviso la luce della luna illumina la grotta ed essi scorgono tre mendicanti addormentati, per cui decidono di andare via.
Atto terzo. Mentre Mélisande sta pettinando i suoi lunghi capelli alla finestra della torre cantando Mes longs cheveux, è raggiunta da Pelléas, venuto a salutarla in quanto partirà il giorno dopo e le chiede di poterle baciare la mano. I lunghi capelli, scivolati sulla mano, non glielo permettono e allora egli, per scherzare, lega i capelli a un salice ignorando le proteste della donna preoccupata che qualcuno possa vederli. In effetti le sue paure si avverano perché in quel momento arriva Golaud che li rimprovera per questo infantilismo e manda via il fratello al quale dice che non dovrà più ripetersi ciò che ha visto e che deve lasciare tranquilla Mélisande in quanto sta per diventare madre. Intanto la gelosia tormenta Golaud che, interrogando il figlio sui rapporti intercorrenti tra il fratello e la moglie, apprende che spesso i due giovani sono insieme e che un giorno, durante un uragano, i loro volti si sono sfiorati.
Atto quarto. Pelléas dice a Mélisande che il padre sta migliorando e, quindi, può partire e le chiede un ultimo incontro presso la Fontana dei ciechi nel parco. Golaud, ormai convinto della colpevolezza della moglie, la strattona gettandola a terra. Accorre in aiuto della donna Arkel che le chiede se il nipote sia ubriaco ma lei risponde semplicemente che non l’ama più. In una fontana del parco Yniold cerca una biglia d’oro che ha perduto tra le rocce ma, rinunzia all’impresa impaurito dal passaggio di un gregge e del suo pastore. Intanto alla fontana arriva Pelléas preoccupato perché teme conseguenze per la donna che arriva poco dopo e i due si confessano il loro reciproco amore. Mentre si baciano, i due sono spiati da dietro un albero da Golaud che uccide il fratello inerme e ferisce Mélisande.
Atto quinto. Mélisande ha dato alla luce un bambino e il medico rassicura Golaud che la donna non corre alcun pericolo nonostante la ferita ma intanto egli, preso dal rimorso, grida di aver ucciso senza motivo dal momento che Pelléas e Mélisande si stavano baciando come fratello e sorella. Poi, svegliatasi la moglie, allontana Arkel e il dottore perché vuole parlare da solo con Mélisande. Rimasti soli egli ordina alla moglie di confessargli la verità e diventa sempre più furioso di fronte alle dichiarazioni di innocenza da parte della moglie. Egli viene fermato dal nonno preoccupato che voglia ucciderlo e gli risponde di averla già uccisa. L’anziano re cerca di mettere in braccio a Mélisande il bambino ma la donna non ha le forze e muore poco dopo.
Nel Pellèas et Mélisande si assiste ad una sintesi perfetta tra la parola e la musica attraverso uno stile recitativo che esalta il testo di Maeaterlinck come è possibile vedere in questo passo tratto dal primo atto.