Roma, Teatro dell’Opera: “La Cenerentola”

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2015/2016
“LA CENERENTOLA”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti basato sul libretto francese di Etienne per la Cendrillon di Isouard.
Musica di Gioachino Rossini
Don Ramiro GIORGIO MISSERI
Dandini  VITO PRIANTE
Don Magnifico CARLO LEPORE
Corinda DAMIANA MIZZI
Tisbe ANNUNZIATA VESTRI
Angelina JOSE’ MARIA LO MONACO
Alidoro UGO GUAGLIARDO
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera
Direttore Alejo Pérez
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Fortepiano Sergio la Stella
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Movimenti coreografici Manuela Lo Sicco
Luci Cristian Zucaro
nuovo allestimento
Roma, 27 gennaio 2016   
Spettacolo presentato dal Teatro dell’Opera di Roma questa Cenerentola di Rossini, titolo scelto nell’ambito dei festeggiamenti per i 200 anni dalla prima assoluta a Roma del Barbiere di Siviglia, in un nuovo allestimento affidato alla direzione del maestro Alejo Pèrez ed alla regia di Emma Dante. La vicenda viene immersa in una ambientazione surrealistica pop con una scena fissa il cui fondale ricorda un po’ i grandi armadi a muro di moda in Italia nelle case borghesi degli anni settanta, i vari ambienti sono ricreati con strutture mobili e i costumi sembrano ispirarsi alla pittura di Ray Caesar con quel misto di seduzione ed inquietudine che è capace di racchiudere. E forse proprio questa è la cifra interpretativa di questa Cenerentola, alcune inquietudini del nostro tempo divenute abbondantemente tematiche di moda in certi ambienti culturali, alcune delle quali in parte giustificate dal testo, altre francamente ad esso sovrapposte in modo posticcio. E così l’opera diviene una ulteriore occasione per proporre una riflessione sulla condizione femminile, sulle violenze e sugli abusi che si consumano nel silenzio delle pareti domestiche ad opera di maschi cattivi, sull’isolamento dei diversi. Il saggio Alidoro, l’autorità morale della storia, si apre simpaticamente il pastrano nel gesto del maniaco mostrando poi in modo rassicurante che non ha i calzoni aperti ma solo il codice delle zitelle cucito nella fodera e per un breve istante abbiamo temuto che potesse essere un pedofilo come si presume siano certi preti di santa romana chiesa. Don Magnifico, nobilastro decaduto, lega ad una lunga catena Cenerentola come una schiava, o forse un’immigrata chissà, e la picchia con manifesta violenza durante la scena del temporale. I maschi è risaputo ed è bene ricordarlo spesso anche quando piove, sono tutti cattivi e violenti fino a prova del contrario, oppure insulsi bamboccioni come Ramiro. Il principe da azzurro veste sempre di nero e maluccio, sia quando è impersonato da Dandini sotto mentite spoglie con qualche deriva gaia appena percettibile, sia quando torna ad essere Ramiro con una coroncina in testa nera anch’essa. E anche Cenerentola, sfuggita alla cenere e ai cenci e salita al trono nel “trionfo della bontà”, indossa un triste e un pò inquietante costume nero e siede insieme al principe su una grossa e pretenziosa poltrona bianca ma pure essa sottilmente bordata di nero. Questi poveri aristocratici, anche quelli veri come il principe, proprio non riescono ad essere simpatici e felici neppure quando sembrerebbero trasudare virtù e buoni sentimenti da ogni parte. Ciò premesso, lo spettacolo risulta molto divertente e si vede con piacere, le luci ed i colori che interpretano i vari momenti sono oggettivamente molto belli e la recitazione ed i movimenti di scena curatissimi. Di certo si tratta di un lavoro meditato e nel quale comunque circolano delle idee anche se non tutte condivisibili o appropriate. E alla fine si ha la piacevole e chiara sensazione che l’aria irriverente e ironica del surrealismo pop in qualche modo ben si amalgami con il sulfureo spirito rossiniano che rappresenta uno degli aspetti dell’opera anche se non l’unico. Vero neo, ma forse in linea con le tendenze del momento, la continua ed ossessiva presenza dei mimi e di movimenti spesso pretestuosi di interpreti e figuranti che distraggono dalle ragioni della musica e persino dalla possibilità di apprezzare le numerose sottigliezze del testo. Forse non sarebbe male cominciare a ricordare che le opere vengono indicate purtroppo per una ormai consolidata tradizione con il nome del compositore e che possiedono una loro intrinseca specificità che le distingue dal cinema e dal teatro di prosa.
E veniamo alla parte musicale. Incentrata prevalentemente sul ritmo e sulla ricerca di effetti e sonorità percussive la direzione di Alejo Pérez con scarso rilievo dato ai recitativi e poca attenzione riservata all’afflato lirico e alle molte sfaccettature dei personaggi tutti chi più chi meno travolti in una sorta di generale concitazione anche briosa ma alla fine un po’ monotona. Inconsistente la Angelina di Josè Maria Lo Monaco certamente non aiutata da questa impostazione dello spettacolo che letteralmente la fa spesso scomparire tra mimi e figuranti e nel rondò finale non le riserva il giusto rilievo scenico. Non che canti male, le molte note più o meno si intuiscono esserci tutte ed essere emesse anche con un certo gusto musicale, ma il volume è spesso insufficiente tanto da compromettere la resa del personaggio protagonista, a maggior ragione in un simile contesto. Giorgio Misseri disegna un Ramiro volutamente un po’ bamboccio e incolore con una voce sicura e precisa nelle agilità sia pure con qualche discontinuità nel corso della serata. Ottimo il Dandini di Vito Priante per eleganza nella dizione e nel porgere la frase, musicalità, senso dell’umorismo ed irresistibile vitalità scenica, tali da far passare in secondo piano un timbro vocale bello ma, va precisato secondo il nostro gusto personale, forse più adatto al teatro barocco che non a quello ottocentesco. Carlo Lepore interpreta un Don Magnifico assolutamente travolgente per bellezza e ricchezza timbrica, chiarezza del sillabato e disinvoltura nella recitazione mai stereotipata e sempre contenuta dentro il respiro della musica. Brave Damiana Mizzi ed Annunziata Vestri rispettivamente Clorinda e Tisbe. Ugo Guagliardo emette le molte ed impervie note dell’aria del sapiente Alidoro, spesso sapientemente tagliata, con un accanimento encomiabile ed a tratti imbarazzante. Alla fine applausi per tutti ma si torna a casa con il dilemma, nonostante la musica sia molto chiara, se sia meglio vivere da “cenerentoli” o da “principi” e se la bontà e la virtù siano davvero destinate a trionfare e ad essere foriere di felicità.