Sassari, Teatro Comunale: “Rigoletto”

Sassari, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2018
RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave.
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova GIULIO PELLIGRA
Rigoletto VLADIMIR STOJANOV
Gilda ALEKSANDRA KUBAS-KRUK
Sparafucile ANDREA COMELLI
Maddalena SOFIA JANELIDZE
Giovanna/la Contessa di Ceprano SERENA MUSCARIELLO
Monterone FULVIO FONZI
Marullo STEFANO MARCHISIO
Borsa DIDIER PIERI
Il Conte di Ceprano/Usciere FRANCESCO LEONE
Paggio VERONICA ABOZZI
Orchestra e Coro dell’Ente Concerti Marialisa de Carolis
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del coro Antonio Costa
Regia Paolo Gavazzeni, Piero Maranghi
Scene Leila Fteita
Costumi Nicoletta Ceccolini
Light designer Tony Grandi
Nuovo allestimento in coproduzione della Fondazione Teatro Coccia di Novara ed Ente Concerti “Marialisa de Carolis” di Sassari
Sassari, 9 novembre 2018
I più vecchi appassionati di lirica cittadina ricorderanno un Rigoletto del 1980, in un allestimento “moderno” del compianto Beppe de Tomasi, con una scalinata sghemba dall’inizio alla fine dell’opera e gli interpreti in costume d’epoca. La stessa cosa fu utilizzata nella medesima stagione, assai al risparmio, anche per Traviata e Trovatore, facendo perdere la pazienza persino all’assai tollerante recensore di allora della Nuova Sardegna. Difficile non rievocare quella stagione di trentotto anni fa assistendo al nuovo allestimento di Rigoletto realizzato in collaborazione tra il Coccia di Novara e l’Ente Concerti de Carolis, ora in produzione nel Teatro Comunale sassarese. Ma il buon Beppe conosceva molto bene il teatro e le sue leggi, mentre lo spettacolo ideato e realizzato da Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi non ha convinto del tutto nella coerenza tra l’idea di partenza e il suo svolgimento. L’allestimento scenico di Leila Fteita, illuminato da Tony Grandi, in sé decorativo e gradevole, consisteva fondamentalmente in un praticabile accessibile con gradini e alcuni bei fondali: solo delle piccole varianti a questa impostazione (gradinate, balaustra, spostamento di alcuni elementi geometrici d’arredo ecc.) modificavano l’ambiente in funzione delle varie scene. Si è trattata insomma di una scelta decisamente anti realistica, connotativa, di taglio moderno ed essenziale. Tutto ciò è apparso però in conflitto prima di tutto con la grande cornice che inquadrava la scena, come a confinare lo spazio scenico in una sorta di dipinto d’epoca, una memoria del passato che dal quadro iniziale si animava nella narrazione. Al di là della trovata metateatrale non certo nuova, tutto ciò ha ben poco a che fare col minimalismo scenico dell’allestimento: se la cornice mi riporta a una illustrazione antica, come giustificare una scenografia che antica non è? Ma ciò è il meno: il problema vero è stato che poco, sia nei sontuosi costumi tradizionali di Nicoletta Ceccolini sia nella gestualità e nei movimenti registici, è apparso coerente con un allestimento indicativo che faceva apparire i personaggi estranei a ciò che li circondava. Quindi vedere i cantanti relazionarsi secondo le convenzioni più consuete del teatro lirico, salvo poi spostarsi sulla scena nel nulla che giustificasse logiche, scelte e reazioni, ha ovviamente generato varie perplessità. La confusione tra aspetto connotativo e denotativo è apparsa evidente anche in alcune scelte come la pioggia durante la tempesta, mal realizzata in maniera realistica, o Gilda intrisa di sangue nella scena finale, che sarebbe stata di gusto discutibile anche in un’opera ultra verista. In parole povere, che sia moderno o tradizionale, convenzionale o rivoluzionario, per la riuscita di uno spettacolo è fondamentale il rispetto delle logiche del teatro: andando un po’ di qua e un po’ di là si rischia di smarrire presto la strada.
Per fortuna Rigoletto è opera che non teme certo cadute di tensione, comunque la si rappresenti: si tratta di un capolavoro in cui il dramma è nella musica e nelle sue logiche, a partire dagli echi mozartiani del primo atto fino all’uso sistematico e ferreo degli elementi sintattici ricorrenti. Anche perché gli ottimi interpreti, ben amalgamati e senza grandi punti deboli, hanno sicuramente contribuito alla solidità musicale e alla tenuta drammaturgica dello spettacolo. Su tutti, nel ruolo del titolo, ha offerto una prova sontuosa e a tratti commovente Vladimir Stoyanov: il suo personaggio non è mai forzato o caricaturale e la dignità del padre sofferente sembra prevalere tra i complessi aspetti del suo ruolo. Vocalmente, specialmente nel registro acuto, non ha l’autorevolezza di certi riferimenti, ma l’uso calibratissimo delle mezze voci è veramente d’eccellenza, anche per la grande varietà nell’espressione e la capacità di dare rilievo dinamico alla singola parola del testo. Magari la celebre invettiva Cortigiani, vil razza dannata sarà apparsa poco esplosiva, ma i duetti con Gilda valgono il prezzo del biglietto. Anche perché la Gilda della Aleksandra Kubas-Kruk è stata perfettamente in sintonia nelle intenzioni espressive: il bellissimo colore lirico, il perfetto legato e il controllo del vibrato sono assolutamente ammirevoli e rari. Sarebbe stata apprezzabile talvolta una maggior incisività nella pronuncia e nella presenza vocale, ma il suo personaggio etereo e trasognato le calza a pennello. Giulio Pelligra, nei panni del Duca di Mantova, dimostra di possedere un buon corpo vocale e un colore adatto: gli acuti di tradizione sono eseguiti con disinvoltura, seppure un po’ “chiusi”, mentre la baldanza espressiva del personaggio è resa con efficacia, ma a volte con qualche libertà ritmica di troppo nell’insieme con l’orchestra. Qualche sfumatura dinamica ed espressiva in più, specialmente nelle varie riprese, lo avrebbe reso più interessante, ma è tutto sommato, per incisività e carattere, un buon interprete del ruolo. Sparafucile è stato ben interpretato da Andrea Comelli che è stato capace di dare i giusti accenti allusivi a un personaggio chiave della vicenda; dal colore vocale all’uso del registro di testa appare più basso baritono che basso, ma il registro grave è abbastanza sonoro ed efficace nell’espressione. Ben colorata e interessante anche la vocalità di Sofia Janelidze nel ruolo di Maddalena, specialmente nel bellissimo terzetto dell’ultimo atto: un’interprete da sentire presto anche in ruoli più impegnativi. Fulvio Fonzi, (Monterone), è incappato in un vistoso incidente ritmico durante il suo intervento, ma ha mostrato comunque una discreta autorevolezza vocale. Nessun punto debole e tanta freschezza vocale nell’affollato cast di contorno: Serena Muscariello (Contessa di Ceprano, Giovanna), Stefano Marchisio (Marullo), Didier Pieri (Matteo Borsa), Francesco Leone (Il Conte di Ceprano/Usciere) e Veronica Abozzi (Paggio) hanno tutti disinvoltura e buone doti tecniche e attoriali.
Matteo Beltrami ha diretto con bel mestiere, efficacia e alcune discrete idee agogiche ed espressive, ma senza una particolare cura dei dettagli e delle imperfezioni ritmiche. Ha comunque un’ottima conoscenza dell’opera, sicurezza nella tenuta generale dell’esecuzione e la sua narrazione risulta convincente. È stato sicuramente assecondato dall’Orchestra dell’Ente che dimostra amalgama e una maturità notevole, per un’orchestra stagionale, anche nella solidità raggiunta nelle prime parti. Equilibrato e preciso anche il coro dell’Ente Concerti, istruito da Antonio Costa, a suo agio nel repertorio preferito. Successo e applausi calorosi per tutti da parte del folto pubblico che, per la prima volta quest’anno, ha occupato anche la seconda loggia del teatro.