Anja Harteros canta Schubert, Brahms e Strauss alla Scala

Milano, Teatro alla Scala – Recital di canto 2013/2014
Soprano Anja Harteros
Pianoforte Wolfram Rieger
Franz Schubert : “Rastlose Liebe” op. 5 n. 1 D 138; “Lied der Mignon” op. 62 n. 3 D 877; “Ganymed” op. 19 n. 3 D 544; “An den Mond” op. 57 n. 3 D 193; “Nacht und Träume” op. 43 n. 2 D 827; “Dass sie hier gewesen” op. 59 n. 2 D 775; “Im Abendrot” D 799; “Des Mädchens Klage” op. 58 n. 3 D 191; “Die junge Nonne” op. 43 n. 1 D 828
Johannes Brahms : “Meine Liebe ist grün! op. 63 n. 5; “Dein blaues Auge” op. 59 n. 8; “Der Tod, das ist die kühle Nacht” op. 96 n. 1; “In Waldeseinsamkeit” op. 85 n. 6; “Von waldbekränzter Höhe” op. 57 n. 1
Richard Strauss:”Morgen
Milano, 22 giugno 2014  

La voce di Anja Harteros costituisce un ottimo esempio del registro sopranile in auge oggi. Non predomina la bellezza vocale di per sé, né un qualche elemento di immediata riconoscibilità, ma, come in molte grandi voci attuali, la personalità dell’artista è comunque notevole: va ricercata nella duttilità, ossia in una duplice capacità, che è sia ricerca di uno stile espressivo adeguato al repertorio da affrontare sia adeguamento del repertorio alle proprie capacità e competenze stilistiche. La forbice si apre, e dunque fa risaltare meglio i caratteri di tale bifrontismo, soprattutto in occasione di un recital liederistico con più autori in programma, in quanto il soprano si accosta prima a Schubert, poi a Brahms e infine a Strauss con modalità differenti e distinguibili, di esito alterno ma sempre interessante. Appoggiata abbastanza indietro, la voce della Harteros provoca una risonanza corposa, di suono molto denso e brunito, suggestivo nel modulare gli struggenti Lieder schubertiani. Se anche lo spettro vocale non risulta del tutto uniforme, il registro basso è apprezzabile per la solidità; certo, le note più rifulgenti per colore e per brillantezza sono quelle centrali (come dimostra Des Mädchens Klage, Il lamento della fanciulla), mentre le qualità degli acuti vanno di bene in meglio nel corso del programma.
Se il primo serve inevitabilmente a riscaldare la voce, il secondo Lied (quello celebre, der Mignon) è attaccato in pianissimo, e interamente eseguito con una linea di canto uniforme, ricca di armonici, coronata da acuti garbati (nell’avvio, invece, oltre a qualche altra acerbità, le note alte avevano bisogno di essere ingentilite dalla pratica). L’incedere vieppiù garbato del pianista, Wolfram Rieger, è complemento decisivo per la raffinatezza dell’esecuzione. In An den Mond (Alla luna) la voce è trattenuta, secondo quell’arte tipica dei grandi cantanti quando si accostano al Lied; e scorre, come galleggiando, sui versi più espressivi e lacrimevoli di Hölty (che tanto ricordano l’omonimo idillio leopardiano), grazie a un’ottima tecnica di respirazione. In Nacht und Träume (Notte e sogni) l’attacco del pianoforte affiora come da dietro una soffice nevicata, vaporoso e leggero, per introdurre una magnifica filatura iniziale, a mezza voce e ricca di chiaroscuro. Eccezionale è l’intensità con cui i due artisti eseguono questo Lied; la Harteros tende forse a risuonare un poco fissa in attacco delle messe di voce, ma sa correggersi subito, arricchendo l’emissione di vibrazioni e di colori. Im Abendrot (Al tramonto) è un altro capolavoro, tutto modulato sulla calma progressione delle frasi, che pure non annulla qualche piccola sprezzatura del soprano nei confronti dell’intonazione (già riscontrata anche in An den Mond); eppure, l’effetto coloristico di evocazione del rosso della sera riesce perfettamente. La prima parte del concerto si chiude con Die junge Nonne (La giovane suora), tutta centrata sulla disperazione dell’avverbio ripetuto «Immerhin» (‘per sempre’); sicuramente si tratta del Lied più drammatico dell’antologia schubertiana, e il soprano lo interpreta come una scena d’opera, come un’aria di eroina verdiana (a questo proposito molti ricorderanno che tra le prove migliori della Harteros alla Scala ci sono appunto quelle verdiane: Amelia nel Simon Boccanegra diretto da Daniel Barenboim nell’aprile 2010, con Plácido Domingo, e la parte di soprano nella Messa di Requiem, diretta sempre da Barenboim il 27 agosto 2012 ).
Con Brahms si assiste a una modifica dell’approccio stilistico, perché la Harteros si accosta all’ipersensibilità romantica con improvvise piccole esitazioni, forzando anche gli acuti al grido di forte impatto. La modalità può anche non piacere (e forse era preferibile l’atteggiamento esecutivo più tradizionale applicato a Schubert), ma certamente dimostra come l’artista sappia differenziare gli stili non soltanto a seconda dell’autore, ma addirittura di Lied in Lied. Un tratto è però comune: l’ambizione drammatica di ogni pagina, cui si sacrificano anche la bellezza sonora di alcuni acuti (che risultano invece un poco striduli) e la loro gamma di armonici (in particolare in Von waldbekränzter Höhe, Dalla cima boscosa, eseguito in perfetto stile Sturm und Drang).
E con Strauss e i quattro brani che concludono il programma ancora una metamorfosi: la voce è fermissima, non stride, non è incline ai portamenti (come invece accadeva sin dai primi Lieder schubertiani), l’intonazione si fa perfetta (e si mantiene tale fino alla fine). Sembra che Strauss costituisca per la Harteros il traguardo stilistico, la summa di tutti i precedenti approcci, anche se il passaggio dal registro basso a quello medio-alto resta un po’ troppo pronunciato. Grandissimi applausi salutano il termine del concerto, tanto che la cantante concede due bis fuori programma, ancora schubertiani. Il consenso non è soltanto grande, ma addirittura entusiastico: è raro che nelle sale da concerto italiane – anche alla Scala – si propaghi una tale acclamazione a conclusione di un concerto di Lieder tedeschi; ma è bellissimo constatare che un’artista come la Harteros contribuisca, con la sua verve, con la sua voce così teatralmente caratterizzata, con l’originalità emotiva della sua interpretazione, a invertire la tendenza, e a rendere anche il pubblico italiano più “europeo”.