Claudio Monteverdi (1567-1643): “Il ritorno d’Ulisse in patria” (1641)

Dramma in musica in prologo e tre atti su libretto di Giacomo Badoaro. Revisione e orchestrazione di Raymond Leppard. Frederica von Stade (Penelope), Richard Stilwell (Ulisse), Patrick Power (Telemaco), Nucci Condò (Ericlea), Richard Lewis (Eumete), Patricia Parker (Melanto), Max-René Cosotti (Eurimaco), Ann Murray (Minerva), Roger Bryson (Nettuno), Keith Lewis (Giove), Claire Powell (Giunone), Diana Montague (L’Umana Fragilità), Ugo Trama (Il Tempo, Antinoo), Lynda Russell (La Fortuna), Kate Flowers (Amore), John Fryatt (Pisandro), Bernard Dickerson (Anfimono), Alexander Oliver (Iro). The Glyndebourne Chorus, London Philharmonic Orchestra. Raymond Leppard (direttore), Nicholas Cleobory (M°del Coro). Registrazione: Londra, giugno 1979. 3 CD SONY Classical 88985345922 – 2016
Da quello che era il catalogo discografico dell’etichetta CBS ora acquisito dalla SONY viene per la prima volta ristampata in cd (edizione economica, corredata da uno scarno libretto con la sola trama in inglese, francese e tedesco) questa produzione del monteverdiano ritorno d’Ulisse in Patria. Siamo alla fine degli anni ’70 e da poco si era avviata la pratica dell’interpretazione filologica: Harnoncourt aveva inciso questa stessa opera nel 1972 (protagonista allora era Janet Baker), anno in cui il direttore inglese Raymond Leppard (fautore di importanti riscoperte del repertorio antico, se pur con una lettura moderna), portava al Festival di Glyndebourne la sua versione dell’opera monteverdiana. La presente incisione venne effettuata nel 1979,  in parallelo con la recite della ripresa dell’edizione del ’72 sempre a Glyndebourne. Sentire un Monteverdi suonato (e con cospicui tagli) dalla London Philharmonic Orchestra (nonostante la presenza di liuti e arciliuti e basso continuo) fa storcere il naso perchè ormai lontano anni luce dal gusto attuale.  Cercando di mettere da parte per un momento la filologia, si può affermare che la direzione di Leppard (con tutti i limiti di una certa rigidità accademica) non è priva di drammaticità e teatralità. Sul piano vocale possiamo invece dire che, attualmente, abbiamo fatto un passo indietro e abbiamo avuto modo di sentire vocalità meno “archeologiche” e quindi in qualche modo più vicine all’edizione di Leppard. Di certo qui non possiamo di certo parlare di “recitar cantando” (la sontuosa orchestrazione concede ben poco in tal senso) e la compagnia di canto, che vede la presenza di soli tre italiani  la solida professionalità di Nucci Condò, Max-René  Cosotti e Ugo Trama), è pressoché anglo-americana (troviamo le allora emergenti Ann Murray e Diane Montague) e quindi non spicca, cosa abbastanza normale in quegli anni,  per accuratezza di pronuncia e fraseggio italiano. Su tutti emerge però la presenza illuminante di Frederica von Stade, un’americana che canta all’italiana. La Penelope della von Stade è nella giusta misura dolente ma poi – a poco a poco carica di energia, fuoco, abbandono, senza tuttavia dimenticare la nobiltà dello stile monteverdiano. La sola presenza di questa cantante vale l’ascolto di questo triplo cofanetto.