Gioachino Rossini 150: “Armida” (1817)

Dramma per musica in tre atti di Giovanni Schmidt. Carnen Romeu (Armida), Enea Scala (Rinaldo), Robert McPherson (Gernando/Ubaldo), Dario Schmunck (Goffredo, Carlo), Leonard Bernard (Idraote/Astarotte), Adam Smith (Eustazio). Chorus Opera Vlaanderen, Jan Schweiger (maestro del coro), Symphony Orchestra Opera Vlaanderen, Alberto Zedda (direttore). Mariame Clément (regia), Julia Hansen (scene e costumi), Bernd Purkrabek (disegno luci). Registrazione: Vlaanderen Opera Gent, novembre 2015. T.Time: 162′ 2 DVD Dynamic  EAN 8007144377632.

Armida” è fra i massimi risultati del teatro serio rossiniano; frutto della piena maturità del compositore è un capolavoro di invenzione e ricchezza melodica, un’apoteosi di irresistibile virtuosismo. Su “Armida” si addensano però ancora lunghe le ombre di un tempo in cui era ritenuta quasi ineseguibile per la sua difficoltà e, nonostante la fioritura di talenti rossiniani negli ultimi decenni, le riprese dell’opera restano alquanto rare. È quindi un vero peccato che nuove produzioni, per altro destinate alla diffusione video, come questo spettacolo della Vlaanderen Opera di Gent – registrato nel 2015 – non riescano a dare all’opera il giusto merito. Ad affondare inevitabilmente lo spettacolo è l’imbarazzante e oscura regia di Mariame Clément (con scene e costumi di Julia Hansen) in cui tutto è ridotto a un affastellarsi di volgarità e idee spesso stupide gettate come dadi senza alcuna logica. L’opera si apre su una pista di atletica dove un gruppo di cavalieri crociati reduci da una battaglia – i volti e le vesti sporchi di sangue – preparano il funerale di Dudone trastullandosi con una bambola gonfiabile intorno al feretro. Goffredo è un conferenziere, Armida una sorta di baiadera salvo poi trasformarsi in una simil Marylin Monroe. Prima del duello Rinaldo si toglie l’armatura e, vestito da calciatore, uccide con una testata Gernando (con esplicita citazione dell’episodio Zidane – Materazzi). Il secondo atto si apre su uno stuolo di demoni calciatori sempre accompagnati dal feretro e dalla bambola gonfiabile di ordinanza; il palazzo di Armida è un tinello con la maga ridotta a casalinga disperata mentre nel III sarà la visione dell’ambita coppa del torneo calcistico a riportare Rinaldo sulla retta via. Il tutto integrato da gag, volgarità e trovate da avanspettacolo capaci di rendere quest’edizione semplicemente indigeribile. Sul versante musicale le cose vanno meglio ma l’optimum è lontano dall’essere raggiunto. Commuove rivedere Alberto Zedda sul podio in una delle sue ultime produzioni e forse nessuno ha la sua conoscenza e la sua competenza stilistica di questo repertorio. In Zedda però il musicologo è sempre prevalso sul direttore e il rigore è qui chiamato a convivere con una certa pesantezza, con una limitata fantasia espressiva che spesso si ritrovano nelle sue prove direttoriali. Il cast sconta la debolezza della protagonista. Carmen Romeu era già stata Armida a Pesaro e già era apparsa impari al ruolo. Qui sostanzialmente riconferma i limiti. Voce di soprano ma con timbro scuro e profondo adatto alle parti Colbran, mostra una buona tecnica, adeguata nelle agilità anche se un po’ tesa negli acuti e costretta a forzare nelle discese al grave. Nulla di irreparabile ma si sente sempre la mancanza di quel  quid in più che separa l’onesta professionista dalla grande artista e Armida è parte pensata per queste ultime. La regia non ha certo aiutato, infliggendo il decisivo colpo di grazia impedendo ogni approfondimento del ruolo. A convincere invece pienamente è il Rinaldo di Enea Scala, tenore belcantista di particolare robustezza e virilità capace di fondere una piena conoscenza dello stile rossiniano e una notevole abilità nel canto di coloratura con una pienezza timbrica e un temperamento autenticamente eroico che sono ideali per la parte ma che non è così frequente ascoltare in questa tipologia di vocalità tenorile. Ottima la dizione e curato il fraseggio; al più si può notare una certa prudenza sugli estremi acuti che però ha ben poco peso di fronte alla qualità complessiva della prestazione. Due cantanti sono chiamati a coprire le quattro parti tenorili affrontando ciascuno due ruoli. Dario Schmunck ha il giusto piglio e la dizione chiara e nitida richiesti dal canto spesso declamatorio di Goffredo e bissa con proprietà la parte di Carlo nel III atto. Decisamente troppo manierato ed elegiaco Robert McPherson nei panni del perfido Gernando mentre più positivo è il suo contributo come Ubaldo. Buona presenza vocale anche se canto non raffinatissimo contraddistinguono la prova del basso Leonard Bernard nel doppio ruolo di Idraote e Astarotte. Positivo, infine, l’Eustazio di Adam Smith.