“Idomeneo re di Creta” al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2018-2019
“IDOMENEO RE DI CRETA”
Opera seria in tre atti su libretto di Giovanni Battista Varesco
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Idomeneo JEREMY OVENDEN
Idamante ANICIO ZORZI GIUSTINIANI
Ilia SABINA PUÉRTOLAS
Elettra HULKAR SABIROVA
Arbace KRYSTIAN ADAM
Il Gran sacerdote OLIVER JOHNSTON
La voce di Nettuno ALEXANDER TSYMBALYUK
Orquesta y Coro Titulares del Teatro Real
Direttore Ivor Bolton
Maestro del Coro Ándres Máspero
Regia Robert Carsen
Scene Robert Carsen, Luis F. Carvalho
Costumi Luis F. Carvalho
Luci Robert Carsen, Peter van Praet
Videoproiezioni Will Duke
Nuova produzione del Teatro Real di Madrid, in coproduzione con Teatro dell’Opera di Roma, Canadian Opera Company e Opera Reale Danese di Copenaghen
Madrid, 28 febbraio 2019

Centrandosi sull’impotenza dell’uomo di fronte al conflitto tra dovere politico e affetto personale, Idomeneo re di Creta è uno degli esempi più interessanti di reinvenzione della mitologia classica in pieno Illuminismo: modernissimo, perché alla fine il protagonista evita sì la tragedia, ma deve rinunciare al potere per imposizione superiore. Il sacrificio materiale imposto dall’alto non è forse una realtà contro cui molto spesso tenta di lottare l’uomo contemporaneo? Il primo motivo di interesse per l’opera di Mozart che il Teatro Real di Madrid propone quale nuova coproduzione (presto in cartellone anche all’Opera di Roma) è la direzione musicale di Ivor Bolton, che negli ultimi anni ha approfondito in parallelo il repertorio mozartiano e quello inglese novecentesco, in particolare con Britten. Ne deriva un Mozart nervoso e scattante, beethoveniano, lontano da qualunque stile galante ma al tempo stesso privo di languori romantici, giacché nella lettura direttoriale permane sempre qualche piccola sprezzatura, nei disegni melodici o nella configurazione del ritmo. Forse non è il Mozart più attendibile in una prospettiva storico-filologica, ma il contrasto delle sonorità risulta senza dubbio efficacissimo nel delineare l’evoluzione drammaturgica; trattandosi poi di Idomeneo, una delle partiture mozartiane più lontane dai formalismi del momento e più densa di concitazione, la concertazione di Bolton risulta opportuna, necessaria, emozionante. Della drammaticità delle situazioni si avvalgono sia il direttore sia il regista (quest’ultimo, quando anche non la sottolinea, almeno non la contrasta); uno dei momenti meglio riusciti è il quartetto del III atto, allorché i protagonisti si scambiano esclamazioni di sventura camminando su di una distesa di giubbotti di salvataggio, sul litorale di un mare plumbeo e minaccioso. Il Coro Titular del Teatro Real, preparato da Ándres Máspero, fornisce nel complesso una buona prova, anche se i solisti maschili e femminili scelti per la responsione interna non intervengono in modo giudizioso. Nella compagnia vocale si può distinguere tra la buona qualità delle voci maschili e quella meno convincente dei due soprani. Jeremy Ovenden sarebbe l’Idomeneo ideale, se solo fosse dotato di una voce dalla grana più robusta; l’artista inglese ne è consapevole, e provvede a un pregevole lavoro compensatorio di rifinitura stilistica: aggraziato, molto controllato nell’emissione, attento al fraseggio e ai toni patetici (bellissimo il cantabile nella scena del sacrificio del III atto, accompagnato dai pizzicati degli archi). Nei momenti più drammatici, come l’aria del II atto, deve inevitabilmente forzare l’emissione, con effetti a volte discutibili. Il fiorentino Anicio Zorzi Giustiniani è uno specialista mozartiano, come lascia intendere la particolare cura del fraseggio e della dizione; il timbro brunito e omogeneo permette al tenore di interpretare plausibilmente il ruolo di Idamante, anche se all’inizio l’emissione fa un po’ fatica a trovare la giusta posizione in maschera; la qualità dell’interpretazione va crescendo, fino alla scena del sacrificio, nel III atto, quando canta un magnifico addio al padre. Molto preparati e professionali gli altri due tenori, nei ruoli – minori ma intensi – di Arbace e del Gran sacerdote, rispettivamente il polacco Krystian Adam e l’inglese Oliver Johnston, e il basso ucraino Alexander Tsymbalyuk, deus ex machina finale, la cui voce risuona amplificata dalla parte superiore interna del boccascena. Il soprano spagnolo Sabina Puértolas dà voce al personaggio elegiaco e amoroso di Ilia con una linea di canto unitaria e corretta, avvalendosi per di più di un’ottima dizione (si sente che ha studiato in Italia); peccato che indulga a qualche portamento discendente, che negli acuti il timbro perda unità e che, dopo l’aria di sortita, la qualità vocale vada diminuendo negli altri due atti. Il soprano uzbeco Hulkar Sabirova è invece Elettra, cui competono ben due arie di tempesta e furore, nel I e nel III atto; pur disponendo di un timbro caldo, la voce si proietta con qualche difficoltà e non è supportata dal carisma necessario (per di più, le messe di voce tendono alla fissità, secondo uno stile anglosassone ormai superato). Nei confronti degli interpreti principali il pubblico madrileno mantiene un riserbo glaciale fino al termine della rappresentazione: nessun numero riceve alcun applauso, fatta eccezione per l’aria conclusiva di Elettra (in cui, è bene specificarlo, l’entusiasmo si deve più alle fiammeggianti colorature scritte da Mozart che alla qualità dell’esecuzione); nel festeggiare gli artisti, comunque, si percepisce un apprezzamento speciale per la Sabirova, oltre che per il direttore d’orchestra, mentre non emergono segni di particolare entusiasmo relativi alla parte visiva.
Lo spettacolo reca impressa in ogni aspetto la firma evidente di Robert Carsen: assenza (o quasi) di elementi scenografici, palcoscenico sfruttato in tutta la sua profondità e altezza (scelta che spesso disperde le voci dei cantanti), suggestione di uno spazio immenso connotato da colori spenti o freddi, sia nei costumi sia nelle costanti videoproiezioni. Il mare, in dolce movimento oppure in tempesta, è quasi sempre sullo sfondo, sebbene la sua costante tetraggine, unita al grigiore del cielo, contrasti con la vivacità e policromia della musica. Carsen reinterpreta Idomeneo come la storia di un regime militare (tutti i personaggi vestono divise, tranne Ilia), avviato alla crisi dall’amore (del giovane caudillo Idamante) e da una “catastrofe umanitaria”, di profughi e migranti che affollano i confini del regno per fuggire dall’orrore e dalla distruzione (il mostro uccisore del libretto di Varesco non compare; nel III atto, la fotografia delle attuali città siriane ridotte a cumuli di macerie ne è coerente trasposizione). Il motivo di fondo è la critica della forza armata di uno Stato, su cui Carsen ama insistere in moltissime sue regie; per questo nel corso dell’opera il coro è formato da rumorose truppe che montano e smontano accampamenti, gozzovigliano, impugnano le armi contro i prigionieri troiani, insomma forniscono un’immagine molto grossolana e antipatica del potere di Idomeneo. Nel finale dell’opera, però, quando la voce di Nettuno proclama la nuova coppia reale, Idamante e il coro si svestono degli abiti militari, restando in pantaloni e maglietta, e si rivolgono al pubblico come per imporre la loro nuova identità: non elegante, non pretenziosa, ma (forse) libera dall’oppressione delle armi.  Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid