“Il lago dei cigni” a ParmaDanza 2015: variazioni sul mito

Parma, Teatro Regio, ParmaDanza 2015
“IL LAGO DEI CIGNI OVVERO IL CANTO”
Balletto di Roma
Liberamente ispirato al balletto Il lago dei cigni e all’atto unico di Anton Cechov Il Canto del Cigno
Coreografia e regia Fabrizio Monteverde
Musiche Pëtr Il’ic Cajkovskij
Costumi Santi Rinciari
Light designer Emanuele De Maria
Allestimento scenico Fabrizio Monteverde
Assistente alle coreografie Sarah Taylor
Maître de ballet Piero Rocchetti
Costumi realizzati da Opificio della Moda e del Costume
Realizzazione maschere Crea Fx effetti speciali
Video realizzati da Matteo Carratoni, Michele Innocente
“IL LAGO DEI CIGNI”
Balletto dell’Opera di Kiev
Coreografia Lev Ivanov, Marius Petipa, Aleksandr Gorskij
Musica di Pëtr Il’ic Cajkovskij
Odette/Odille ANASTASIYA SHEVCHENKO
Il principe Siegfried JAN VARNA
Rothbart DMYTRO CHEBOTAR
Parma, 5 e 9 maggio 2015

Anche quest’anno il Festival ParmaDanza ha messo a confronto due versioni di un grande capolavoro ballettistico: nel 2014 la scelta cadde su Giselle (qui la recensione alla versione di Eugenio Scigliano per lo Junior BallettO di ToscanA e qui quella relativa al Balletto di Maribor). Nel 2015 è toccato al Lago dei cigni. Il Lago è stato prima proposto nella versione che Fabrizio Monteverde ha creato per il Balletto di Roma e poi nella classicissima versione Petipa-Ivanov- Gorskij col Balletto dell’Opera di Kiev. Comune denominatore ad entrambi è stata la musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Dunque, su quale sponda sedersi per ammirare il Lago? Su quella che si affaccia sulla nevosa Kiev o su quella ombreggiata dal cupolone?
Fabrizio Monteverde chiama la sua creazione Il lago dei cigni ovvero il canto ispirandosi, oltre che al grande balletto tardo romantico, anche al monologo Il canto del cigno di Anton Čechov: i ricordi deliranti di un ormai vecchio e stanco attore su una carriera che di fatto non c’è mai stata. La vecchiaia – e di conseguenza la metamorfosi di un corpo che non è più quello di un tempo – è il tema portante di questa versione del Lago. È un Lago che sembra non ammettere deroghe perché deve andare in scena a tutti i costi: è una compagnia di danzatori raffigurati come vecchi e stanchi che deve allestire il balletto e che prova tra cumoli di stracci ammonticchiati per la scena. E, nonostante il tempo trascorso, i vezzi e malvezzi sembrano rimanere quelli di sempre: un principe Siegfried giovane, aitante e primadonna fino al midollo, un’Odette ormai vecchia ma incapace di mettere da parte l’orgoglio (d’altronde, come diceva Norma Desmond, «Le grandi stelle non hanno età ») e un’Odille giovane e fresca pronta a scalzare l’ormai inutile rivale. E così questo Lago, tra rivalità, scaramucce e rimpianti, procede fino alla fine: l’essere grottesco di questa compagnia e della curiosa messa in scena viene enfatizzato dall’uso delle maschere che storpiano i connotati del volto e dai costumi vecchi e polverosi, raccolti e accatastati alla fine di ogni numero. C’è di più. C’è la danza, ovviamente. Monteverde si appropria di alcuni stilemi introdotti da Lev Ivanov come l’insistenza sul port de bras “cignesco”. Se a quanto detto prima, aggiungiamo l’“espressionismo” pensato da Ivanov per le sue principesse-cigno, l’atmosfera melanconica risulta ancor più dilatata. A volte la danza di Monteverde si fa più plastica (quasi “verista”) come nel bellissimo duetto orchestrato per il capriccioso Siegfried e il maître du ballet; a volte è parodia pura come nel caso dei quattro cignetti che mimano con mani e piedi uno dei numeri più noti del balletto; a volte è pura, liberatoria, verticale… semplicemente bella. La solitudine sembra essere la fine e l’inizio di questo lavoro: il maître e Siegfried vengono inglobati nell’ammasso di stracci lasciando sola Odette che, toltasi la maschera e accantonato lo specchio su cui versar lacrime, può ricominciare (o forse sognare?) il proprio percorso. I danzatori del Balletto di Roma sono tutti bravissimi: amano quello che fanno e si vede. Ed è soprattutto grazie a loro che questo Lago risulta così sincero.
L’“altro” Lago è invece stato proposto dal Balletto dell’Opera di Kiev. Una considerazione inziale: pur senza nomi di punta (per interpreti e per corpo di ballo) questo è stato l’appuntamento più atteso di ParmaDanza. Due le repliche che hanno fatto registrare il sold out. Come ci viene ripetuto da più voci, la voglia di vedere “balletto classico” è tanta ma gli appuntamenti, purtroppo, sono sempre meno. La coreografia è grossomodo quella danzata dal Balletto del Teatro Mariinskij, con tanto di cigni bianchi e neri che si confondono nell’ultimo atto. Viene espunto il personaggio del Giullare al primo atto e il canonico exploit virtuosistico viene sostituito da un piccolo  ensemble femminile. Anche il virtuosismo per eccellenza del Lago – i fouetté en tournant del Cigno nero – viene omesso in favore del doppio menage. Per fortuna, verrebbe da dire, giacché la protagonista femminile della seconda recita ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Anastasiya Shevchenko si presenta da subito molto “sovietica” nel recitato, tutto boccucce e scrollatine di testa. La linea come il fraseggio risultano così sempre un po’ enfatici e retorici, mai nobili; molte accentuate le ginocchia sporgenti e deboluccia anche nel giro qualche volta fuori asse. Jan Varna è stato invece un principe convincente, di bella presenza e proporzioni, dal buon salto unito ad un bel ballon. Dmytro Chebotar è forse un po’ basso e minuto per conferire la giusta malignità a Rothbart ma, lasciate da parte le proporzioni fisiche, ha mostrato una tecnica convincente. Il Corpo di ballo è stato complessivamente buono; non numerosissimo ma omogeneo ha regalato un buon primo e ultimo atto anche se con qualche frattura al Grand pas dei cigni all’atto secondo. Allestimento polveroso e costumi sgargianti. Foto Roberto Ricci – Teatro Regio di Parma