James McCracken (1926-1988) & Sandra Warfield (1921-2009): Duets of love and passion

Camille Saint-Saëns: “Un dieu plus puissant” (Samson et Dalila); Giuseppe Verdi: “Già nella notte densa” (Otello); Georges Bizet: “Je vais danser en votre honneur” (Carmen); Giuseppe Verdi: “Guardie! Radames qui venga” (Aida). James McCracken (tenore), Sandra Warfield (Mezzosoprano), Orchestra della Royal Opera House, Covent Garden di Londra, Edward Downes (direttore). Registrazione: Londra, 1964
Bonus Tracks dall’album McCracken on stage
Giuseppe Verdi: “Ah sì, ben mio…Di quella pira” (Il Trovatore); “La vita è inferno all’infelice…Oh, tu che in sen agli angeli” (La forza del destino); “Niun mi tema” (Otello); Giacomo Puccini: “Una parola sola…Or son sei mesi” (La fanciulla del West); Richard Wagner: “Morgen leuchtend” (Die Meistersinger von Nürnberg); “Hör an, Wolfram!…Inbrust im Herzen” (Tannhäuser).  James McCracken (tenore), Wiener Staatsopernorchester, Dietfried Bernet (direttore). Registrazione: Vienna, 1965. T.Time: 77.06 1 CD Decca 480 8165

Ancora un cd per la collana “Most wanted Recital” della Decca e ancora un titolo molto composito formato da due parti distinti unite solo dalla presenza come protagonista del tenore statunitense James McCracken. La prima parte – quella che dà il nome al disco – consta di quattro duetti con il mezzosoprano Sandra Warfield accompagnati dai complessi del Covent Garden diretti da Edward Downes, direttore molto presente in questi incisioni Decca, mentre la seconda è una selezione di arie solistiche con il tenore accompagnato dalla Wiener Operorchester diretta da Dietfrid Bernet.
Posta in apertura la grande scena del “Samson et Dalila” di Saint-Saëns è uno dei momenti più riusciti dell’opera. McCracken ha una voce robusta e possente anche se non particolarmente attraente come timbro e la tessitura sostanzialmente centrale del ruolo non lo mette in eccessiva difficoltà; convince meno il tratto interpretativo dove tutto è risolto in una plateale esibizione muscolare sostanzialmente sorda alle ragioni musicali ed espressive del brano. Decisamente verista e monotona anche la Warfield che in compenso ha però un bel timbro ed un’impostazione decisamente più ortodossa così che “Mon coer” ha una sua efficacia seppur epidermica.
Otello è stato il ruolo che più ha caratterizzato la carriera di McCracken e si è voluto inserire “Già nella notte densa”; l’esito è, tuttavia, modesto non solo per la Warfield costretta in una tessitura totalmente impropria ma anche per lo stesso tenore, duro, sgraziato, inespressivo e appesantito da una pronuncia italiana mediocre. Se al duetto del II atto di “Carmen si può estendere quanto scritto per il Samson, quello del IV atto di “Aida  non fa che confermare i limiti tecnici ed espressivi dei due cantanti.
La seconda parte dell’album presenta una serie di brani solistici da opere di Verdi, Puccini e Wagner cantati dal solo McCracken. La grande scena di Manrico è una cartina di tornasole: da un lato la solidità vocale è innegabile e la scarsa avvenenza timbrica sarebbe facilmente superabile ma la mancanza di morbidezza – inutile anche solo cercare un vero legato – l’uniforme rozzezza dell’accento sono evidentissimi fin da “Ah si ben mio” mentre nella “pira” i limiti tecnici vengono al pettine e se il primo acuto – “teco morrò” – è ben emesso, il Do di chiusura della cabaletta è schiacciato, faticoso, povero di squillo nonostante l’imponenza vocale. Più o meno sullo stesso piano la scena di Don Alvaro da “La forza del destino”  e  il “Niun mi tema” di Otello che, se non altro per l’abituale frequentazione del ruolo, delude un po’ meno fra platealità e suoni decisamente brutti. In Puccini – “La fanciulla del West” – manca ovviamente il senso del canto di conversazione ma la scrittura meno impervia lo aiuta a forzare meno e un certo gusto verista risulta più accettabile.
Tra i brani wagneriani appare pessimo il lied di Walter, duro, sgraziato, volgarissimo nell’emissione, la perfetta antitesi della nobiltà cavalleresca della pagina; ci si chiede il perché di una scelta tanto illogica viste le caratteristiche vocali di McCracken, meglio “Hör’an Wolfram” dove, tenuto a freno dalla solida esperienza wagneriana di Bernet, riesce ad essere più corretto del solito e, se la musicalità resta grossolana, il maggior controllo riesce a nascondere meglio i limiti e a sfruttare con miglior resa drammatica il volume vocale.