John Axelrod ha chiuso il ciclo “RAI Orchestra Pops” con musiche di Ellington, Marsalis e Gershwin

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino. “RAI Orchestra Pops”
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
John Axelrod
Violino Giuseppe Gibboni
Duke Ellington: “Three Black Kings”; Wynton Marsalis (1961): Concerto in re maggiore per violino e orchestra; George Gershwin: “An American in Paris”
Torino, 29 giugno 2023
Con un’immersione totale nell’America del jazz, si conclude l’appendice dei quattro RAI Orchestra Pop che hanno segnato la fine, con gran successo, della stagione 2023-24 dell’OSN RAI. Sul podio John Axelrod che, con l’apprendistato al fianco di Leonard Bernstein, di questo repertorio dà interpretazioni di riferimento. Duke Ellington e Three black kings, suo ultimo lavoro che il figlio completa dopo la morte del padre, apre la serata. I tre re neri sono Baldassare, uno dei tre re magi, Salomone, re d’Israele e figlio della nera Betsabea e Marin Luther King, il reverendo sostenitore dei diritti delle persone di colore e assassinato a Memphis nel 1968. Questi omaggi in musica consistono rispettivamente in un ritmato e insistito ritmo di marcia, i Magi che si appressano alla capanna, che sfocia in un canto, seguito da una danza sensuale che ritrae Salomone con la regina di Saba e finalmente in un gospel da tempio metodista. La realizzazione musicale sfocia in una fantastica orchestrazione che evidenzia l’intervento di numerose parentesi solistiche, quasi fossimo all’interno di una jam session. Quindici minuti di piacevole ascolto che suscitano immediatamente l’entusiasmo del pubblico dell’Auditorio. In una jam-session il direttore nominerebbe i vari esecutori degli a-solo, qui Axelrod li addita al caloroso ringraziamento del pubblico. L’ascolto dell’unica incisione del Concerto in Re Maggiore per violino di Wynton Marsalis è tutt’altro che entusiasmante: quaranta interminabili minuti di musica difficilmente districabile. Si temeva quindi per quanto potesse accadere dal vivo. OSN RAI, John Axelrod e Giuseppe Gibboni, il ventunenne violinista già premio Paganini nel 2019, hanno sovvertito le previsioni e ne è sortita una piacevolissima esperienza musicale. La partitura è un insieme di idee frammentarie, ripetitive e di scarso o nullo sviluppo ma tali da mettere in mostra il virtuosismo del solista congiuntamente a quello delle sezioni orchestrali e delle prime parti. Gibboni è funambolico e sebbene il suo Stradivari non abbia una voce forte, riesce sempre ad emergere dal volume di un’orchestra che viaggia baldanzosa. Axelrod poi, col gesto e col dominio sempre attivo del fraseggio, cattura l’attenzione e fa degli incisi e delle cadenze punti vivi e nevralgici del discorso. La versatilità dell’OSN RAI raggiunge un inaspettato estremo livello di adattabilità con un testo estraneo e nuovo, è infatti la prima esecuzione italiana del concerto. Gli orchestrale oltre che con i propri strumenti intervengono battendo piedi e mani, creando una inusuale coralità di suono. Memorabile poi la cadenza, al quarto d’ora del primo tempo, Rhapsody, in cui Gibboni continuando a suonare il violino percorre in largo tutto il palcoscenico e si accosta alla batteria di un ispirato Mattia Fiori e, per alcuni minuti, ci duetta. Più stile jazz di questo non ci può essere in una sala da concerto. Quattro sono i movimenti in cui è diviso il pezzo, oltre al già citato Rhapsody si contano un Rondo Burlesque, un immancabile Blues e un misterioso, per noi, Hootenanny che parrebbe voler significare una festa popolare in cui ognuno suona quel che gli pare. Il successo è vivissimo e tutto il pubblico applaude la sfavillante esecuzione di una musica che, in altre mani, avrebbe potuto mantenersi enigmaticamente problematica. Il successo personale costringe Gibboni ad un ormai scontato funambolico bis: il capriccio n.5 di Paganini. Nessun dubbio che sia stato suonato “da dio”.