“La Favorite” a Monaco (Monte-Carlo)

Monte-Carlo, Auditorium Ranieri III
“LA FAVORITE”
Grand-opéra in quattro atti su libretto di Alphonse Royer, Gustave Vaëz e Eugène Scribe, dal dramma Les amours malhereux, ou le comte de Comminges di Baculard d’Arnaud.
Musica di Gaetano Donizetti
Léonor de Guzman BÉATRICE URIA-MONZON
Fernand JUAN DIEGO FLÓREZ
Alphonse XI JEAN-FRANÇOIS LAPOINTE
Balthazar NICOLAS CAVALLIER
Don Gaspar ALAIN GABRIEL
Inès JULIA NOVIKOVA
Un Seigneur PASQUALE FERRARO
Chœur de l’Opéra de Monte-Carlo
Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo
Direttore Jacques Lacombe
Maestro del Coro Stefano Visconti
Esecuzione in forma di concerto
Monte-Carlo,  15 dicembre 2013

Se, al momento degli applausi, l’ultimo a presentarsi alla ribalta è il tenore non rôle-titre, diviene evidente a tutti ciò che gli spettatori consapevoli sapevano fin da prima d’entrare in teatro, e cioè che questa Favorite è stata pensata in funzione di Juan Diego Flórez, che vi debuttava il ruolo di Fernand. Flórez non ha fatto mancare nulla in termini di precisione formale, di perfezione tecnica e di bellezza del suono, ma l’impressione complessiva è che, rispetto ad altri personaggi, quello di Fernand sia meno tagliato a sua misura; o, forse, necessita solo di essere maturato ancora un po’ in termini di scelte interpretative. Del suo ruolo, infatti, è emerso il sentimentalismo nostalgico, mentre è risultato lievemente penalizzato il piglio fiero dell’eroe. Lo si è notato in specie nell’aria «Oui, ta voix m’inspire» che conclude il I atto, affrontata con un’allure rossiniana che non ha pienamente convinto. Dove si è trattato di dar voce all’interiorità tormentata del giovane che dubita sulla propria vocazione o che vive le più cocenti delusioni della vita, non è invece mancato un affascinante scavo introspettivo, evidente nella romanza «Ange si pur» – della quale il pubblico ha invano reclamato il bis –, la cui morbida linea di canto, sostenuta da lunghissimi fiati, ha tratteggiato le sfumature di nostalgia di cui si vela la fermezza d’animo del novizio che si reca a prendere i voti; ma già nel finale III, quando Fernand accusa il re d’averlo ingannato riempiendolo di favori «aux prix de mon honneur», quest’ultima frase è suonata ferma e severa, indignata ma non gridata. Flórez non è ancora il Fernand perfetto, insomma, ma ci si augurerebbe di trovarne tanti con la sua voce e la sua intelligenza. Al suo fianco era originariamente prevista Daniela Barcellona, che avrebbe probabilmente proposto un’interpretazione stilisticamente omogenea a quella del tenore peruviano; poi, la sua sostituzione con Béatrice Uria-Monzon ha generato il caso più eclatante del poco riuscito assortimento delle voci che si percepiva nell’auditorium Ranieri III (moderna sala dalla perfetta acustica situata, proprio in riva al mare, ai piedi dello scoglio su cui sorgono il casinò di Monte-Carlo e la contigua Opéra). Il mezzosoprano ha infatti affrontato il ruolo di Léonor con uno stile inequivocabilmente datato, si direbbe proto-verista (e non bisogna stupirsene troppo, considerato il repertorio dell’interprete), lontano mille miglia dalle finezze belcantistiche di Flórez; appoggiandosi, per di più, su uno strumento che è parso alquanto affaticato (anche se una spiegazione di ciò risiede forse nei frequenti colpi di tosse che la affliggevano). L’accostamento di due voci così diverse poteva suonare bene nell’ultimo atto, dove le difformità timbrico-stilistiche giovano a incarnare le diverse dimensioni in cui ormai Fernand e Léonor vivono, e la figura esausta della morente cortigiana pentita si sposa bene con i tratti vocali della Uria-Monzon; era però inappropriato quando le anime dei due amanti avrebbero dovuto pulsare insieme, ed in particolare nel duetto del I atto, in cui le dolcissime sfumature del tenore non trovavano alcun riscontro nella monocromia del mezzosoprano.
Per il re Alphonse XI si è avuto, nel baritono Jean-François Lapointe, un cantante intelligente i cui strumenti non sempre rispondevano alle ottime intenzioni interpretative. Il bel fraseggio e il legato del cantabile erano spesso inficiati da un’emissione poco gradevole nei forti e nel registro acuto, la cui intonazione non era peraltro irreprensibile. Con ciò, si ricorderà il suo Alphonse per la ripetizione integrale variata della cabaletta «Léonor! Mon amour brave», e per la dolcezza del cantabile «Pour tant d’amour» nel terzetto del III atto, dal quale è emerso un re di sentimenti profondi e d’animo nobile, lontano dalla figura viscidamente vendicativa che talvolta gli si attribuisce impropriamente. Il basso Nicolas Cavallier ha saputo vestire a metà i panni del monaco Balthazar: bene quando si trattava di incarnare il padre superiore orante, la guida spirituale del convento; meno bene quando avrebbe dovuto essere il messo papale tonante anatemi, per il quale gli mancavano peso vocale e impronta. Tra gli altri, merita ricordare la Inès del soprano Julia Novikova (già Gilda nel Rigoletto a Mantova televisivo), dotata di voce piccolina adatta al ruolo della damigella naïve tratteggiato dalla sua aria, che ha concluso con una gradevole cadenza.
L’impressione che, attorno alla star, sia stato assemblato un cast troppo discontinuo, e che l’esecuzione risentisse di mancanza d’armonia, è stata accentuata da una direzione  priva di personalità. L’orchestrazione è suonata approssimativa, piena di effetti bandistici, se non bandettistici, estranei a Donizetti e tanto più al Donizetti francese. Sono state tagliate le danze, e questo in un’esecuzione in forma di concerto ci può anche stare (ma fino a un certo punto, perché le musiche del balletto avrebbero ben potuto essere eseguite come intermezzo sinfonico); ma anche la stretta del duetto tra Alphonse e Léonor e svariate ripetizioni (tra cui quella della cabaletta della protagonista), e questo ci sta molto meno. L’impressione, insomma, è che ogni solista abbia deciso che cosa e come fare; il che non era certamente il miglior viatico perché il ritorno della Favorite nel Principato dopo novant’anni di assenza desse vita ad un’esecuzione memorabile.