Pesaro, 37° Rossini Opera Festival: “Hommage à Nourrit” con Michael Spyres

David Parry, Michael Spyres

Pesaro, Teatro Rossini – Rossini Opera Festival, XXXVII edizione
“Hommage à Nourrit”
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Direttore David Parry
Tenore Michael Spyres
Luigi Cherubini : Alì Babà, Récit «C’en est donc fait!» et Romance «C’est de toi, ma Délie»
Gioachino Rossini : Le comte Ory, «Que les destins prospères» – Guillaume Tell, Récitatif «Ne m’abandonne point» et Air «Asile héreditaire»
Daniel-François Auber : Gustave III, «Oh, vous, par qui ma vie» – Le Philtre, Ouverture – La muette de Portici, Air «Que voi-je» et Cavatine «Du pauvre seul ami» – Le philtre, «Philtre divin!»
Jacques-Fromental Halévy : La Juive, «Rachel, quand du Seigneur»
Giovanni Pacini : Stella di Napoli, Sinfonia
Gaetano Donizetti : Poliuto, Scena «Veleno è l’aura ch’io respiro» e Aria «Fu macchiato l’onor mio»
Louis Niedermeyer : Stradella, «Voyageur à qui Venise»
Pesaro, 18 agosto 2016

La presenza tenorile di maggior spicco del ROF 2016 è ovviamente quella di Juan Diego Flórez, che celebra il suo ventennale rapporto di collaborazione artistica nella città in cui è diventato vessillifero della tradizione rossiniana. Ma dopo di lui è la volta di Michael Spyres, l’altro tenore venuto di lontano (nato a Mansfield, nel Missouri) che a Pesaro ha debuttato soltanto nel 2012 come Baldassarre in un riuscitissimo Ciro in Babilonia; poi qui a Pesaro si è distinto soprattutto come Rodrigo nella Donna del lago (2013), divenuto punto forte del suo repertorio (alla Scala, alla Royal Opera House e adesso di nuovo al ROF). Spyres è tenore acutissimo, capace di conservare l’impostazione di grazia anche nei virtuosismi più impervi; detto con il lessico tecnico della tradizione, appartiene alla categoria delle hautes-contre, ossia del tenore contraltino di tradizione francese. Per questo motivo, oggi nessuno meglio di lui potrebbe rendere omaggio ad Adolphe Nourrit (1802-1839), lo sfortunato tenore che creò numerosi ruoli rossiniani, in una stagione in cui tecnica vocale e gusto del pubblico mutavano troppo rapidamente perché il singolo artista sapesse adattarvisi senza ripercussioni pericolose. Dopo essere stato per una quindicina di anni l’idolo del pubblico dell’Opéra, Nourrit uscì infatti sconfitto dal confronto con il rampante Gilbert Duprez, sperimentatore di un’emissione degli acuti del tutto nuova, drammatica, mordace, aggressiva, lontana dal falsettone del passato; la depressione in cui cadde il tenore lo spinse addirittura al suicidio, a Napoli, quando la censura borbonica vietò le rappresentazioni del Poliuto che Donizetti aveva scritto per lui.
L’Hommage à Nourrit programmato dal ROF 2016 non è dunque soltanto un recital, ma un interessantissimo compendio di storia della vocalità, perché Spyres canta le arie principali dalle opere che Cherubini, Rossini, Auber, Halévy, Donizetti e Niedermayer scrissero per lui (manca Meyerbeer, purtroppo, ma non si poteva pretendere che un solo cantante riproponesse in un’unica occasione tutto il repertorio francese; già così il programma costituisce un’autentica fatica erculea). Si inizia con un brano che è tutt’un graduale crescendo verso l’acuto, come la romanza di Nadir «C’est de toi, ma Délie» dall’Alì Babà di Cherubini (opera del 1833), e la voce si presenta da subito omogenea e ferma al pari dell’intonazione. Nel Comte Ory di Rossini (1828) l’emissione galleggia sul fiato, e il pubblico comincia a compiacersi di tale naturalezza (decisamente più spontanea rispetto alla prova pur ragguardevole della Donna del lago). Timbricamente molto bella, la voce di Spyres si fa apprezzare perché duttile e mobile nella proiezione, ancorché caratterizzata da un unico, luminoso colore; i passaggi di agilità a volte potrebbero essere più curati, ma soltanto nell’appoggio del suono, perché il resto è perfetto. Nella buona cantabilità del Gustave III di Auber (1833) emerge un’impostazione molto francese, forse un po’ d’antan, ma che non guasta nella celebrazione di un tenore simbolo della tradizione già negli anni Trenta dell’Ottocento; l’appoggio della voce, tanto per intendersi, è collocato in un punto tra naso e testa, che frutta un suono di grande suggestione, in particolare nel registro acuto. Con La muette de Portici (1828) e l’aria di Masaniello Spyres inizia a porgere una serie di prodezze: messe di voce impegnative, alleggerimenti del fiato, acuti a ventaglio in pianissimo; nulla di più delizioso per le orecchie degli appassionati belcantistici, che a loro volta manifestano un entusiasmo sempre più accentuato. Il tenore ricambia ancora, oltre che con la tecnica, con un’allure di simpatia e di giovialità, tradotte anche nella cantabilità di Le Philtre (sempre di Auber, del 1831). Il concertatore è un protagonista delle riscoperte teatrali del repertorio melodrammatico come David Parry, alla guida della giovane Orchestra G. Rossini; nell’ouverture di Le Philtre, tutta esotismi e sonagli frullanti, qualche piccolo stridore non guasta la freschezza complessiva dell’ensemble, che ricostruisce assai bene le sonorità e il gusto del teatro musicale di primo XIX secolo.
Si diceva di un’impostazione molto francese dell’emissione; ebbene, l’aria centrale di Guillaume Tell (1829), con i suoi difficili attacchi in acuto, storna ogni sospetto di risonanze nasali; piuttosto, se si volesse a ogni costo rintracciare qualche leggerissimo difetto di intonazione, bisognerà cercarlo in alcune scale discendenti. Ma i punti di forza sono più imponenti, come il sicurissimo fraseggio della lingua francese, che risalta nella cabaletta dell’ultima opera rossiniana, pur staccata con un tempo molto rapido da Parry (e punteggiata da un corno fastidiosamente abrasivo); acuto finale (il temuto do) forse non del giusto ordine di grandezza, ma sicuramente più che corretto. Nella Juive (pare che il celebre testo dell’aria «Rachel, quand du Seigneur» si debba allo stesso Nourrit) la voce comincia ad assumere un timbro più virile, recuperando anche slancio nella nuova cabaletta: ed è la pagina più applaudita dell’intero recital. L’insistenza su di un’espressività virile anche nel Poliuto (composto, ma non rappresentato, nel 1838) rende ragione della qualità del concerto, davvero pensato come piccola storia della vocalità tenorile in un mannello di pochi anni. Sembra già un brioso bis la barcarola «Voyageur à qui Venise» da Stradella di Niedermeyer (unico pezzo che Spyres controlla sullo spartito, tutto quanto precede è cantato a memoria, irreprensibilmente); invece è lo storico-filologico suggello del programma, perché quello di Alessandro Stradella fu l’ultimo ruolo creato per Nourrit nel periodo parigino; era il 3 marzo 1837, lo stesso anno in cui iniziò il fatale duello con Duprez, a colpi di acuti tanto diversamente modulati … Prima di questo nono brano del tour de force Spyres prende la parola, saluta il pubblico con il tono gaio e apparentemente frivolo del valzer di Niedermeyer, e accenna appena, con garbata reticenza, all’epilogo tragico della vita di Nourrit. Del resto, tra le acclamazioni di tutto il Teatro Rossini, non c’è dubbio che l’eredità vocale dell’antico contraltino si sia conservata molto bene, e che riproporla oggi desti ancora un interesse altissimo, oltre che un piacere puro e prolungato.   Foto  Studio Amati Bacciardi