Venezia Biennale Arte 2022

Sedi storiche: Giardini della Biennale, Arsenale Corderie, Gaggiandre, Giardino delle Vergini.
Altri padiglioni ed eventi collaterali in tutta Venezia (mappa nel programma della manifestazione)
Periodo
Dal 23 aprile al 27 novembre 2022
Orari
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00
Biglietto Intero € 25 / Ridotto € 20 / Ridotto Studenti, Under 26 € 16
L’apertura della Biennale Arte, curata da Cecilia Alemani, si lega anche dal titolo “Il latte dei sogni a tre temi che si sviluppano tra il Padiglione Centrale e l’Arsenale: le metamorfosi dei corpi e la loro rappresentazione, la socialità e la relazione con le tecnologie, l’homo sapiens e la madre Terra. L’ispirazione, come dichiara la curatrice, si rifà a un testo per bambini dell’artista Leonora Carrington, presente in mostra anche con opere pittoriche che visualizzano il suo mondo onirico.

Katharina Fritsch

Per noi, comuni mortali, alla fine della visita, almeno due giorni pieni, ci ricorda l’immagine malinconia a struggente del film di Emanuele Crialese “Nuovo Mondo”, dove i protagonisti affiorano al nuovo mondo sognato in un bianco mare lattiginoso. La Biennale da molti anni si specchia in un mondo in dissoluzione e senza prospettive, d’altronde se l’arte e il sismografo della società, questa è la dura realtà. E questa si vedrà in questa esposizione dove l’imminenza di una fine certa della Natura dilaniata dall’Antropocene, le speranze tradite, le metamorfosi dei corpi individuali sono gli unici esempi che ci rimangono. La mostra ci presenta 213 artiste e artisti provenienti da 58 nazioni 1433 le opere e gli oggetti esposti. Tra queste molte opere, forse troppe, che riecheggiano o si rifanno a cose già viste e ci si chiede se gli artisti qualche volta sfogliano i libri di arte contemporanea o se credono solo alle sensazioni del loro vissuto. Detto questo, nascoste nell’immensità delle opere esposte, si trovano ancora manufatti della vecchia guardia artistica che fanno bella mostra e ci invitano ad apprezzare ancora l’arte contemporanea.

Anda Ursuta


Padiglione Centrale
Ci accoglie un’elefantessa a grandezza naturale; l’elemento straniante che caratterizza l’opera dell’artista tedesca Katharina Fritsch (1956) è il colore verde e l’esattezza dei particolari – è una copia di un animale imbalsamato – conferisce un carattere mistificante all’oggetto, come d’altronde la scelta della sistemazione su un alto basamento in un ambiente decorato con affreschi di gusto classicista. Nella sala successiva corpi antropomorfi della scultrice rumena Anda Ursuta (1979), che a un’attenta lettura rivelano, essere corpi di calchi assemblati con oggetti di uso quotidiano, in una collisione di forme organiche e inorganiche: un cyborg mutante.

Mrinalini Mukherjee

Da questo momento in poi la ricerca di opere che possano destare interessa si fa caotica – è il difetto di tutte le Biennali, troppa roba – tra le opere più curiose le gigantesche figure di corda di Mrinalini Mukherjee (1949 – 2015) dove la scultura indiana, la tradizione tessile, la volontà di ritorno all’organico delle forme si trasforma in mostruosi esseri viventi pieni di sensualità umana.

Sheree Hovsepian

Nella stanza adiacente, le opere minime di Louis Marcussen (Ovartaci) (1894 -1985) ci riportano all’orrore interiore di una vita spesa in ospedale psichiatrico e alla volontà di trasmigrare da un corpo da uomo in uno da donna. Le bambole di grandi dimensioni, i disegni, gli abiti i dipinti, i modelli di cartone ci rappresentano plasticamente la volontà di fuggire da se stessa e dal luogo che segrega.

L’iraniana americana Sheree Hovsepian (1974) con foto, ceramiche, spago, chiodi, e legno che monta in vignette tridimensionali che enfatizzano i rapporti tra le persone e le cose ritratte. Defilate alcune opere di Sonia Delaunay (1885 – 1979); bisogna, per necessità, ricordare le magnifiche artiste dell’Avanguardia novecentesca e, infatti, anche all’Arsenale si troveranno esposte opere di queste amazzoni (Carol Rama, Nike de Saint Phalle).
Padiglioni nazionali (uno sguardo selezionato)
Stati Uniti

Simone Leigh

L’afroamericana Simone Leigh – Leone d’Oro alla carriera – trasforma il palladiano padiglione americano in una capanna africana: il corpo femminile visitato in tutte le sue forme e stilizzazioni diventa simbolo della diaspora africana e si ibridizza con la cultura americana della Carolina del Sud. Una sua opera è presente anche nel primo spazio dell’Arsenale con una totemica figura femminile.

Ilit Azoulay

Israele
La fotografa e artista visuale trasforma fotografie di particolari di oggetti del Medio Oriente e le ricompatta in altre immagini di forte presa emozionale, una colonna sonora accompagna i visitatori all’interno di una geografia della conoscenza.
Germania
L’artista tedesca Maria Eichhorn svuota il padiglione fascista del 1938, demolisce il solaio del pavimento per portare alla luce i resti dell’originario edifico e volendo fa portare i visitatori in visita all’Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza.

Paesi nordici

(Norvegia, Svezia, Finlandia)
Il padiglione è stato ceduto e trasformato nella prima rappresentazione artistica della cultura Sami. Tutto ruota attorno ai concetti di generazione transgenerazionale, le prospettive spirituali di queste popolazioni nordiche e una visione olistica del mondo.
Francia
Zineb Sedira ricostruisce nelle stanze del padiglione un set cinematografico degli anni ’70, comprese le pellicole restaurate dei film militanti che univano le due sponde del Mediterraneo di Francia e Algeria.

Padiglione Polonia

Polonia
Il progetto è ispirato a Palazzo Schifanoia a Ferrara. L’interno del padiglione è addobbato da Małgorzata Mirga, in sequenze orizzontali, con dodici pannelli di tessuto fittamente decorati che rendono visibile al visitatore: i temi astrologici, il sistema dei decani, i cicli del tempo, le migrazioni dell’identità polacca delle popolazioni Rom, costruendo un’iconografia positiva della più grande minoranza europea.
Spagna
Lo spazio è nudo l’intervento di Ignasi Aballí si concretizza in un raddrizzamento interno, non percepibile, dell’edificio di 10 gradi per riallineare lo spazio con i padiglioni esterni. L’intervento pone delle domande: perché questa correzione? Cosa comporta nella definizione dello spazio espositivo? Le risposte non possono e non vogliono essere semplici.
Arsenale (uno sguardo selezionato)

Gabriel Chaile

L’artista argentino Gabriel Chaile (1985) realizza per la Biennale un gruppo di grandi statue in argilla di forme antropomorfe che ritraggono la sua famiglia. Gli oggetti aggregati (pentole e forni) evocano il sostegno, il nutrimento, la collaborazione dell’attività familiare e nelle comunità indigene.
Anche Magdalena Odundo (1950) lavora la creta per creare vasi antropomorfi di rara bellezza, sulle tracce di una tradizione secolare che associa le rotondità femminili alla forma dei recipienti. La tecnica che usa per vetrificare la superficie e la lavorazione finissima di levigatura rende le sue opere metalliche e luminescenti.

Magdalena Odundo


Una delle più rappresentative femministe dell’Ottocento, la dottoressa olandese Aletta Jacobs (1854 – 1929) pubblica nel 1897, e qui sono esposti le tavole e i modelli in cartapesta De Vrouw en haar inwendige organen. Nell’opera si descrive senza mistero la fisiologia della donna: a un secolo di distanza sono un bell’esempio di un esito artistico e scientifico. Curiosa l’esposizione di Anne Colleman Ladd (1878 – 1939). Scultrice neoclassica e crocerossina durante la Grande Guerra, costruisce maschere cosmetiche per grandi invalidi rimasti sfigurati durante i combattimenti, i procedimenti psicologici, la ricerca di un’umanità perduta dimostra che l’arte e la scienza possono collaborare per un obiettivo comune. L’artista ucraina Louise Nevelson (1899 – 1988) in un omogeneo colore nero espone un “cretto” verticale di legno in forme ortogonali Homage to the Universe del 1968.  L’Albania presenta la retrospettiva di una grande e brava pittrice Lumturi Blloshmi (1944 – 2020) che nel secondo dopoguerra riesce a costruire, attraverso la pittura la scultura e la fotografia, opere di straziante malinconia. La Lettonia è rappresentata da due artiste la lettone Ingūna Skuja e l’americana Melissa D. Braden l’opera Selling Water by the River attraverso l’arte delle ceramica visualizza la vita di tutti i giorni all’interno di una casa (tutto puntato su un chiodo fisso: un pene maschile e una vagina).

Padiglione Italia

Padiglione Italia
Che dire?
Tanta fatica per i visitatori sprecata. Una fila lunghissima prima di entrare, i guardiani spiegano che è la volontà dell’artista. Così sotto il sole, le coppie si spaiano e si fissano un appuntamento dentro come poi avviene. Il padiglione semibuio è stato diviso in due parti al centro, al piano primo, una costruzione in tubi innocenti. L’odore è acre da chiuso e la polvere (chissà da dove viene?) ti attanaglia la gola, macchine arrugginite di fabbriche dismesse, salita la scala ricostruzione di un appartamento di ringhiera, tappezzeria strappata, mattonelle marrone, lampadari con una lampadina, letto sfatto: il proletariato al potere. Da una finestra si vede l’altra metà del padiglione, dove è ricostruita una fabbrica manifatturiera, file e file di macchine per cucire industriali. Ultimo passaggio: una lastra nera d’acqua dove atterrano delle luci (poi leggendo la presentazione si scopre che sono comete). Alla fine uscita nella calura.
Premessa, da sempre i vari critici rimproverano agli italiani di scegliere sempre una di miscellanea d’artisti, invece di presentarne uno solo per farlo conoscere al mondo: ecco è stato fatto! E non sembra che il risultato sia tra i più evidenti, bisogna leggere la presentazione del curatore per capirci qualcosa. L’autore e Gian Maria Tosatti, il titolo Storia della Notte e Destino delle Comete; nella presentazione si definisce l’opera, una fusione di riferimenti letterari, arti visive, teatro e performance. (Commento molto ma molto personale: cinquant’anni di visite alla Biennale e quarant’anni di insegnamento della materia non mi hanno insegnato niente, forse dovrò ripensare le mie priorità).

Padiglione cineseLa Repubblica popolare cinese, sempre carica di spunti si adegua alle richieste del curatore e rappresenta con una montagna il concetto jing e la prospettiva contemporanea del Meta-scape della cultura cinese.

Marianna Vitale

Nel Giardino delle Vergini, un po’ nascoste le opere di Marianna Vitale (1973), i modelli dei ponti del Nord America bruciati e poi fusi in bronzo e un bestiario sempre in bronzo fatto di bottiglie di liquore avvolte in stoffa che ricordano fantasmi microbici. Nel corridoio di uscita uno sguardo deve essere rivolto in alto per vedere per 150 metri, su fili metallici tesi, l’opera di Giulia Cengi (1988), l’artista rende ibrido il naturale attraverso oggetti quotidiani che si modellano in lupi, cavalli, pezzi meccanici che rivestiti di graffite diventano altro. Per quanto riguarda i video, distribuiti per tutta la Biennale, sono da sempre tifosa dei registi, perché hanno originalità e tempi cinematografici inclusi.

Giulia Cengi

Un po’ di architettura
Ci dimentichiamo sempre di guardare i contenitori e facciamo male, perché sia ai Giardini che all’Arsenale l’architettura è presente ed è ancella – giustamente – dell’arte.

Padiglione Alvar Aalto

Ai Giardini: uno sguardo al padiglione della Finlandia disegnato da Alvar Aalto, poi i Paesi Nordici dove opera Sverre Fehn. Di seguito: Gerrit Thomas Rietveld per i Paesi Bassi; Chester H. Adrich e William A. Delano per la neo palladiana costruzione degli Stati Uniti; Josef Hoffman per l’Austria; Takamasa Yoschizaka per il Giappone; il vernacolare edificio ungherese di Géza R. Maroti;

Carlo Scarpa – Ingresso

l’Australia è presente con Denton Corker Marshall e il nostro Carlo Scarpa con il padiglione del Venezuela, il Giardino delle Sculture davanti alla Biblioteca del Centrale e il vecchio e delizioso ingresso lasciato ora in abbandono.

Corderie dell’Arsenale
All’Arsenale abbracciamo con uno sguardo l’impianto urbanistico di 24 ettari e i manufatti – lentamente resi agibili e messi in sicurezza – delle Corderie, delle Artiglierie, lo squero della Gaggiandre (attribuito a Jacopo Sansovino), le Tese cinquecentesche e le Tese delle Vergini.

Corderie dell’Arsenale