Teatro dell’Opera di Roma: “I Masnadieri”

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2017/2018
“I MASNADIERI”
Melodramma tragico in quattro atti, libretto di Andrea Maffei da Die Rauber di Friedrich Schiller.
Musica di Giuseppe Verdi
Massimiliano RICCARDO ZANELLATO
Carlo  ANDEKA GORROTXATEGUI
Francesco ARTUR RUCINSKI
Amalia  ROBERTA MANTEGNA*
Arminio SAVERIO FIORE
Moser  DARIO RUSSO
Rolla  PIETRO PICONE
* diplomata “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Roberto Abbado
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Massimo Popolizio
Scene Sergio Tramonti
Costumi Silvia Aymonino
Luci Roberto Venturi
Video Luca Brinchi, Daniele Spanò
Movimenti mimici Chiara Vecchi
Nuovo allestimento
Roma, 27 gennaio 2018
Secondo spettacolo della stagione in corso al Teatro dell’Opera di Roma questi Masnadieri di Verdi affidati alla direzione di Roberto Abbado ed alla regia dell’esordiente Massimo Popolizio. L’opera era stata messa in scena una sola volta nel 1972 con un cast ai tempi stellare e senz’altro meritevole appare l’idea della riproposta di un titolo così interessante ma che per varie ragioni fin dalla prima rappresentazione pure avvenuta con notevole successo non è mai entrato stabilmente in repertorio e nel favore del pubblico. La vicenda viene ambientata in un cupo clima da romanzo gotico, uniformemente buio e grigio in un spazio indefinito che diventa interno, esterno al centro del quale elementi mobili, scale, ponteggi appaiono e scompaiono da botole o vanno avanti e indietro per lo più in maniera afinalistica e scoordinata rispetto alla musica o ai tempi dell’azione, come fosse un qualcosa di sovrapposto ma non di determinante il ritmo della narrazione. Su uno schermo posto sopra il palcoscenico passano in continuo proiezioni di nuvole, occhi e primi piani di sguardi. Tutto è inesorabilmente buio, anche il tramonto del sole descritto nei versi del finale secondo. L’impressione è più quella di una cupa e depressa monotonia anziché dell’oscuro tumulto delle passioni evocate dal lavoro di Schiller che pare a suo tempo impressionò molto il pubblico della prima teatrale al punto da produrre svenimenti tra le signore presenti e da determinare in altri la necessità di abbracciarsi per ritrovarsi e darsi conforto alla fine della rappresentazione. Le masse corali restano completamente immobili per lunghi minuti e i movimenti scenici dei personaggi appaiono anche essi in diversi momenti privi di un attendibile senso espressivo quando non sono francamente incongrui. Alcune posizioni sul palcoscenico inoltre non favoriscono le voci e andrebbero se possibile astutamente evitate. Con tutta la stima e la simpatia per la persona del regista al suo esordio operistico crediamo che questo, al di là delle intenzioni anche buone, sia un mestiere che non si improvvisi e forse sarebbe stato meglio avvicinarvisi in un altro contesto o con un titolo meno desueto e complesso nella realizzazione. Mutatis mutandis quale paziente di buon senso si sottoporrebbe ad un intervento di chirurgia maggiore affidandosi alle mani di un chirurgo che si dichiari pubblicamente digiuno di sala operatoria? Peccato perché l’opera è davvero molto bella e a parte la globale sensazione di irrisolta monotonia della realizzazione, la “tinta”  scelta del romanzo gotico le si adatta a meraviglia. In sintonia con il clima ricercato sono apparsi i costumi di Silvia Aymonino ma con risultati alterni, dal molto bello come nel caso di quelli pensati per Arminio, Moser e Francesco al francamente inappropriato anche in considerazione della fisicità dell’interprete, come nel caso di Amalia. Sul versante musicale la direzione di Roberto Abbado scivola via con sostanziale correttezza, poca fantasia, un buon senso delle pause prima dell’esposizione dei temi musicali e qualche eccesso di suono di troppo senza riuscire tuttavia a infondere una maggior vitalità allo spettacolo oltre a quella che naturalmente e comunque emerge dalle molte belle pagine della partitura.  Molto buona la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani per la qualità del suono, l’uniformità del timbro e la scansione della parola. Chissà che una volta tanto il muoversi poco o il cantare da posizioni non in contrasto con la fisica newtoniana non aiutino a concentrarsi meglio sulla resa musicale. Forse non tutti i mali vengono per nuocere oppure il nostro regista esordiente ha mostrato alla fine di avere maggior rispetto e sensibilità per la musica di quanto altri suoi colleghi più acclamati e blasonati non abbiano saputo avere in altre occasioni. In fin dei conti l’opera si intitola I Masnadieri.  E veniamo alla parte vocale. Nel ruolo di Carlo il tenore Andeka Gorrotxategui ha tratteggiato un ritratto del personaggio sentito e credibile con sostanziale buona tenuta vocale e sincera partecipazione specialmente nel finale secondo. Francesco era impersonato dal baritono Artur Rucinsky assai disinvolto scenicamente, corretto musicalmente ma con una voce forse non costituzionalmente verdiana. Riccardo Zanellato probabilmente colto in una serata non ottimale ha dato voce comunque autorevole e dolente al vecchio Massimiliano pur non possedendone la fisicità. Da vero fuoriclasse per musicalità, bellezza timbrica della voce e cura della dizione l’Arminio di Saverio Fiore, in assoluto l’interprete migliore della serata. Molto bene anche Dario Russo nel breve ma difficile ruolo di Moser cantato con un suggestivo timbro vocale e la necessaria ieraticità, aiutato anche da una figura scenica appropriata. Corretto e funzionale il Rolla di Pietro Picone. E infine Roberta Mantegna nell’impervio ruolo di Amalia, “prima donna assoluta e sola” di questo spettacolo. Sicura, intonatissima, con voce ampia, estesa e morbida viene a capo del ruolo sul versante sia scenico che musicale con una precisione ed una appropriatezza evidentemente frutto di uno studio molto serio unito ad una capacità di tenuta non comune. Le scorbutiche colorature scritte per Jenny Lind prima interprete della parte vengono superate con apparente naturalezza nonostante il peso della voce e l’espressione appare sempre esser guidata da un notevole istinto musicale. Alla fine il pubblico ha applaudito con convinzione decretando un buon successo ma certamente non un trionfo per i più che dignitosi interpreti di questa interessante e difficile opera che meriterebbe di essere rappresentata più spesso. Foto Yasuko Kageyama