Torino, Teatro Regio: “Falstaff”

Torino, Teatro Regio, Stagione lirica 2017-18
“FALSTAFF”
Commedia lirica in tre atti su libretto di Arrigo Boito dalla commedia “Le allegre comari di Windsor” e dal dramma “La storia di Enrico IV” di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Falstaff CARLO LEPORE
Ford TOMMI HAKALA
Fenton FRANCESCO MARSIGLIA
Mrs. Alice Ford ERIKA GRIMALDI
Nannetta VALENTINA FARCAS
Mrs. Quickly SONIA PRINA
Mrs.Meg Page MONICA BACELLI
Dottor Cajus ANDREA GIOVANNINI
Bardolfo PATRIZIO SAUDELLI
Pistola DEYAN VATCHKOV
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Donato Renzetti
Regia Daniele Abbado
Scene Graziano Gregori
Costumi Carla Teti
Luci Luigi Saccomanni
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Torino, 26 novembre 2017  
Falstaff” torna a Torino dopo dieci anni con una produzione che non potrebbe essere più antitetica alla precedente. Al monumentale e iper-realistico allestimento firmato nel 2007 da Pier Luigi Pizzi lo spettacolo di Daniele Abbado si contrappone per una scelta di estrema stilizzazione. L’impianto scenico è il più essenziale possibile: un grande cerchio di legno inclinato traforato di botole praticabili mentre l’arredo si limitava a pochissimi elementi chiamati a connotare i diversi spazi della vicenda. Il legno con i suoi colori faceva da elemento conduttore a tutto lo sviluppo. L’idea di fondo sembra evocare l’essenzialità dei palcoscenici elisabettiani – cui rimandava anche l’uso quasi esclusivo del legno naturale come elemento da costruzione – con il palcoscenico circolare la cui inclinazione lasciava al pubblico l’illusione di assistere allo spettacolo dall’alto come avveniva al tempo del Bardo. Il gioco del teatro nel teatro è esplicito – e scopeto nel finale quando i cantanti si spogliano degli orpelli scenici presentandosi al sipario per cantare la fuga conclusiva – ma non manca un tocco onirico e surrealista ad esempio negli arredi fluttuanti della locanda.
Spettacolo quindi essenziale ma estremamente funzionale ed efficace esaltato da un’attentissima cura per la recitazione in tutti i suoi aspetti. Di contro poco convincenti i costumi di Carla Teti, non per l’attualizzazione – Verdi e Boito espungono dalla vicenda ogni riferimento storico-politico trasponendo i fatti in un ambito sostanzialmente atemporale e gli anni della belle époque  con le battaglie delle suffragette e l’impegno per i diritti femminili non sono in contrasto con il carattere protofemminista della commedia shakespeariana perfettamente mantenuto nel libretto di Boito – né per il carattere più padano che britannico (un po’ da “Albero degli zoccoli”) quanto per una certa monotonia di forme e stanchezza di colori dove – proprio considerando l’essenzialità scenica – i costumi avrebbero potuto diventare essi stessi complementi scenografici.
Subentrato all’infortunato Daniel Harding, Donato Renzetti ha dimostrato tutta la sua esperienza e professionalità. La sua è una direzione brillante, leggera, ariosa, perfettamente allineata con la regia di Abbado di cui rappresenta la perfetta trasposizione musicale. Ricco e curato il gioco cromatico e ritmico, attento l’accompagnamento del canto; il tutto è calato in una complessiva visione di una gioiosa umanità in cui anche le tragedie si superano con il sorriso un po’ melanconico ma non meno radioso della gioia musicale.
La recita oggetto di recensione ha subito un’ulteriore variazione dovuta al forfait di Carlos Álvarez previsto nel ruolo protagonista. A salvare il tutto è stata la disponibilità di Carlo Lepore di farsi carico anche di questa recita ottenendo un meritatissimo trionfo personale. Quello di Lepore è un grande Falstaff: la voce è ampia, robusta, ottimamente proiettata, la tessitura – decisamente alta per un basso-baritono com’è Lepore di natura – perfettamente dominata, perfette la dizione e il senso della parola scenica. Lepore al riguardo è un maestro nel giocare sul valore espressivo della parola ed è un interprete attento e curato e scenicamente un attore di eccezionale comunicativa. Il suo è un Falstaff di una profonda, sincera umanità, di un’autentica sincerità espressiva mai caricata o caricaturale e proprio per questo ancor più efficace.
Ambivalente invece il Ford di Tommi Hakala; dotato di una voce piacevole anche se non personalissima mostra però una dizione fin troppo costruita anche se corretta e un canto viziato da parecchie imprecisioni particolarmente evidenti nella grande aria del II atto. Scenicamente di contro è molto efficace e sfrutta al meglio la sua bella figura per rendere il carattere particolare che la regia attribuisce a Ford, perfetto Dandy fin de siècle sempre elegantissimo e inappuntabile sia quando come Signor Fontana appare appena uscito dalle pagine di Oscar Wilde sia quando nella sua inappuntabile tenuta da cacciatore coloniale da Allan Quatermain di provincia si lancia alla caccia di Falstaff nel salotto di casa.
Molto ben assortito il quartetto delle donne. Erika Grimaldi è un’Alice forse un po’ leggera vocalmente ma molto ben cantata – forse il suo ruolo è il più convincente fra quelli ascoltati al Regio – molto femminile, elegantissima, autenticamente seducente. Valentina Farcas è una Nannetta eterea e luminosa, musicalmente molto precisa e scenicamente graziosa, simpatica e sbarazzina come il ruolo dovrebbe essere. Irresistibili due dive barocche come Monica Bacelli  e Sonia Prina, chiamate a completare il quartetto delle comari. La prima è una Meg vocalmente inappuntabile e di forte rilievo, per quanto il ruolo possa concedere, mentre la seconda è una Quickly dotata di una voce non particolarmente grande ma molto educata e in possesso di tutte le note della parte e cantata con rigore e pulizia senza facili effettismi o forzature espressive.
Il Fenton di Francesco Marsiglia è in possesso di una bellissima voce di autentico tenore lirico ma il canto mostra qualche imprecisione specie nella zona acuta e l’interpretazione tende tropo spesso a una corretta superficialità che non lascia tracce particolari.
Molto validi i due tenori di fianco. Andrea Giovannini è un Dottor Cajus di bella presenza vocale e perfetto nella forte caratterizzazione scenica data al ruolo dal regista ispirata al cinema comico d’inizio Novecento mentre Patrizio Saudelli è un Bardolfo perfettamente centrato sia sul piano espressivo che su quello vocale. Ben cantato ma più generico come interpretazione il Pistola di Deyan Vatchkov.
Quasi pleonastico ribadire l’ottima prova del coro del Regio diretto da Claudio Fenoglio.
PS Nelle fotografie allegate il ruolo di Falstaff è interpretato da Carlos Álvarez.