Un napoletano europeo. Intervista a Francesco Nappa

Napoletano d’origine ma europeo d’adozione, Francesco Nappa è un artista poliedrico. Diplomatosi a Napoli presso il “Lyceum – Centro Regionale della Danza” diretto da Mara Fusco, continua gli studi come borsista all’English National Ballet. Inizia la sua carriera giovanissimo: a soli diciassette anni entra a far parte della prestigiosa compagnia dei Ballets de Monte-Carlo, prima come solista poi come primo ballerino, per essere successivamente scritturato dai Balletti Reali Danesi a Copenaghen e, due anni dopo, dal Netherlands Dans Theater. Lavora con coreografi del calibro di Forsythe, Armitage, Brandsen, Cherkaoui, D’At, Duato, Godani, Inger, Kylian, Maillot, Martins, Neumeier, O’Day, Rushton, Scherzer, Tancard, Naharin. Artista pluripremiato, già apprezzato come danzatore,  intraprende la carriera di coreografo freelance creando per grandi compagnie europee. In qualità di artista a tutto tondo Nappa affianca alla creazione coreografica la pittura, allestendo numerose esposizioni, e la composizione di musica elettronica per balletti personali e non.
Chi lo segue, però, tutto questo già lo sa. Noi lo abbiamo incontrato in occasione dell’allestimento del suo Pulcinella al Teatro di San Carlo di Napoli, che ha chiuso l’edizione 2017 della rassegna “Autunno Danza”, per proporre ai nostri lettori un incontro ravvicinato con uno dei più talentuosi giovani coreografi italiani del panorama contemporaneo.
Chi è Francesco Nappa?
Sono una persona fortunata, perché sono stato introdotto subito, dalla mia famiglia, nel meraviglioso mondo delle arti visive e poi della danza, un bagaglio culturale che ha senza dubbio contribuito a fare di me quello che sono, sia come danzatore che come coreografo. Sono felice di non aver mai avuto una visione limitata alla sola danza: ho ballato molto il repertorio classico e quella è stata la base principale. Ho iniziato molto presto: il primo contratto lo ebbi grazie alla tutela genitoriale, perché a diciassette  anni non avrei potuto sottoscriverlo di persona in quanto minorenne. Tutti i coreografi con i quali ho lavorato hanno inevitabilmente arricchito il mio modo di danzare e poi il mio linguaggio.
A proposito di linguaggio, come descriverebbe la sua danza?
Un fluire ininterrotto di movimenti, un felice incontro di gesto e musica (senza questo connubio non saprei immaginare una danza esteticamente gradevole) in cui non c’è soluzione di continuità. Mi piace descrivere il mio modo di intendere il movimento come una goccia che cade in acqua e non si infrange come si infrangerebbe un corpo solido caduto al suolo, ma continua a generare un movimento. Utilizzo la tecnica, ma cerco di attingere anche alla gestualità quotidiana per destrutturare un’azione in maniera descrittiva, conservandone il significato o lasciando che questo si comprenda attraverso la messa in scena e i materiali che utilizzo. Per me la danza è un flusso continuo di energia che attraversa lo spazio; essendo anche un pittore ho la possibilità di gestire l’aspetto visivo della messa in scena anche dal punto di vista della scenografia e del disegno dei costumi. Non sempre, invece, compongo la musica dei miei spettacoli. Quando succede, parto dal movimento per poi creare il suono, dopodiché torno in sala e continuo in una sorta di ping-pong tra creazione del movimento e creazione della musica, fino a quando il risultato non mi soddisfa. I danzatori, com’è naturale che sia, sono un elemento di interscambio: con loro posso dar corpo al movimento e modificarlo in funzione di chi dovrà danzare.
Come è avvenuta la messa in scena di una nuova versione di Pulcinella, un balletto dagli illustri precedenti?
Sono stato contattato a fine estate dal Direttore del Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo, Giuseppe Picone, il quale mi ha proposto di mettere in scena Pulcinella. All’inizio stavo declinando l’invito, semplicemente perché ero già impegnato con un contratto a Schwerin per la messa in scena di “Who shot the Sheriff?” e non credevo di poter riuscire in un’impresa così rischiosa, perché il paragone con il Pulcinella di Léonide Massine sarebbe stato inevitabile. Poi, con il perseverare del Direttore  e sentendo che ci sarebbe stata l’orchestra e tanto altro, non ho potuto dire di no. I tempi di realizzazione sono stati davvero brevi, ma già avevo lavorato con la Compagnia per il mio “Eduardo artefice magico” e la risposta è stata ottima. Sono stato molto felice di poter dar vita a una mia visione su un soggetto che fa parte delle mie radici. Ne ho dato una lettura molto personale e ho voluto attualizzare, in un certo senso, la partitura con tre innesti pensati proprio per il caso. Soprattutto nel primo, “Era de maggio” di Di Giacomo-Costa, ho voluto richiamare il ricordo al mese in cui andò in scena la prima del Pulcinella di Massine, oltre ai riferimenti testuali in relazione al mio personaggio. La litania del Rosario rappresenta una parte di Napoli che mi è rimasta nella mente, da quando sono andato via, e l’inserto di musica elettronica con l’evocazione di movimenti hip hop, nel momento in cui compare in scena il gruppo di ‘guappi’, è un taglio all’atmosfera evocata dalla bellissima musica di Stravinsky, che ho voluto contaminare con un genere completamente opposto.
Come vede il mondo della danza, oggi, in Italia e all’estero?
L’italia purtroppo dà poco spazio alla cultura e questo è un dato di fatto: vediamo i teatri chiudere e i corpi di ballo svanire. Io voglio essere fiducioso e spero che la situazione cambierà. Sono felice di vedere i successi delle  ormai poche realtà italiane sopravvissute dirette ammirevolmente da giovani di competenza. All’estero la situazione è molto differente, la cultura e la danza sono apprezzate e hanno luogo e spazio per svilupparsi. Sono dell’idea, però, che noi abbiamo la fortuna di una cultura invidiabile che non deve e non può essere fatta sprofondare e noi tutti non dobbiamo permetterlo.
Ha mai pensato di tornare a Napoli? 
In verità sì. La mia base attuale è a Nizza, ma mi muovo per l’Europa. Avevo pensato di stabilirmi a Napoli, allo stesso tempo amo però continuare a viverla da “turista”, apprezzandone i lati migliori.
Progetti per il futuro?
Un lavoro in corso in Germania. Al di là dei progetti coreografici ci sarebbe poi un sogno che sto maturando da qualche tempo. Mi riferisco al desiderio di avere un gruppo mio, una compagnia d’autore con cui sviluppare e accrescere il mio stile insieme con i ballerini. Un luogo ideale e reale dove gli elementi parte dell’ensemble respirino ogni giorno il mio linguaggio stilistico e io il loro.
Rifarebbe le stesse scelte di vita?
Sì, mi hanno portato a essere la persona che sono oggi.                                (foto Luric, Giulia Pistone, Giulia Insinna)