Venezia, Teatro Malibran: Francesco Lanzillotta & Elena Nefedova in concerto

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2017-2018
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Francesco Lanzillotta
Pianoforte Elena Nefedova
Daniele Ghisi: The Listeners
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto n. 6 in si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra KV 238
Giovanni Salviucci: Introduzione per orchestra
Franz Schubert: Sinfonia n. 1 in re maggiore D 82
Venezia,16 giugno 2018
Il penultimo concerto dell’attuale Stagione Sinfonica del Teatro La Fenice, svoltosi al Teatro Malibran, vedeva sul podio il maestro Lanzillotta, una delle bacchette emergenti nel panorama musicale italiano, già ospite della Fenice, dove ha recentemente diretto l’opera Il medico dei pazzi di Giorgio Battistelli – il compositore laziale, di cui tra breve andrà in scena nel teatro veneziano il Richard III, in prima esecuzione italiana. Altri protagonisti della serata erano la pianista russa Elena Nefedova – ultima allieva del mitico Heinrich Neuhaus, presso il Conservatorio Čiaikovskij di Mosca, vincitrice del Prenio venezia 2016, anche lei già apprezzata dal pubblico feniceo come solista nel Concerto straordinario per il LXXI° anniversario della Repubblica – e il compositore Daniele Ghisi, vincitore lo scorso anno del Premio Una vita nella musica, nella categoria Giovani – che usa il calcolatore e la matematica, per creare e modificare partiture (ci riferiamo alla cosiddetta Computer Music), ottenendo risultati ragguardevoli –, del quale si è presentata, in prima esecuzione assoluta, la composizione The Listeners (Gli ascoltatori), una commissione nell’ambito del progetto “Nuoiva musica alla Fenice” con il sostegno degli Amici della Fenice e lo speciale contributo di Béatrice Rosenberg.
La serata è stata aperta, appunto, dal lavoro di Ghisi, una composizione in quattro parti – che prevede, tra l’altro, sonorità “estranianti” come quella dell’armonica bocca o dei tromboni “soffiati”, oltre all’utilizzo di una nutrita schiera di percussioni: dai timpani al vibrafono, al Glockenspiel, al triangolo piccolo, alla maraca e varie altre – , dove l’orchestra della Fenice, sotto la guida sicura di Lanzillotta, ha sfoggiato tutta la musicalità di cui è capace, confermandosi una delle formazioni di riferimento per il repertorio contemporaneo: ha infatti reso al meglio i colori, i ritmi, i contrasti, le sfumature di questa partitura, attraverso cui l’autore ha inteso formulare “qualche breve messaggio, salvato dall’oblio e dal rumore bianco”.
Entusiasmante è stata l’esecuzione del concerto per pianoforte KV 238 di Mozart, classificato Köchel come sesto, ma in realtà secondo dei ventisette, essendo emerso, nel frattempo, che i primi quattro concerti, composti nel 1767, a undici anni, sono in realtà trascrizioni per clavicembalo e orchestra di pezzi per clavicembalo solo di cinque diversi autori. L’interprete russa ha saputo comunicare, con sensibilità e chiarezza di tocco, la spensierata gaiezza, che percorre il primo movimento insieme a qualche qualche squarcio lirico, secondo lo stile dell’opera buffa (mutuato, all’epoca, da Johann Christian Bach). Intensa nell’espressione e cristallina nella tecnica si è rivelata la Nefedova nel secondo movimento, che ha la cantabilità di un’aria vocalistica (si sa che Mozart, quando eseguì personalmente il Concerto, lo ornamentò riccamente, imitato poi dai solisti professionisti, mentre i dilettanti potevano limitarsi ad eseguire solo ciò che è scritto). Magistrale per leggerezza e nitore la solista nel danzante Finale – nel cui Rondeau ricorre un tema di Gavotta –, dove la scrittura pianistica si fa ardimentosa, mentre l’orchestra assume un ruolo più determinante. Strepitose le cadenze.
Quanto al terzo titolo in programma, esso conferma l’interesse, da parte della Fenice, per Giovanni Salviucci, la cui Serenata per nove strumenti è stata proposta nel concerto inaugurale della scorsa Stagione Sinfonica. Il primo Novecento musicale italiano non è stato ancora indagato con quella attenzione, che si è riservata ad altre epoche musicali. Paradigmatico in questo senso, è Giovanni Salviucci, forse il più dimenticato fra i compositori di quel periodo trascurato, se non addirittura rimosso. Formatosi alla luce della storica scuola contrappuntistica romana, che risale fino a Palestrina, Salviucci seppe riversare quel sapere in una produzione via via più aperta al proprio tempo, anche grazie all’insegnamento ricevuto da Ottorino Respighi e Alfredo Casella. A partire dal 1933 si impongono le sue prime significative composizioni orchestrali: tra esse appunto l’Introduzione per orchestra, composta nel 1933 e presentata a Roma nel 1935. Pur al passo con il suo tempo – lo testimoniano indicazioni metriche talvolta non convenzionali, cambi di tempo e sovrapposizioni poliritmiche – l’Introduzione non è scevra da certa enfasi riferibile al “ barocco romano”, ravvisabile anche in certe pagine di Casella e del giovane Petrassi. Lodata da Gian Francesco Malipiero – che nondimeno invitava l’autore a dare libero sfogo all’espressività, a suo avviso, troppo tenuta a freno –, la partitura è formalmente tetragona, giocata su vivaci contrasti di sonorità e di andatura, nonché caratterizzata da pagine infuocate e dalle sonorità poderose. Qui Lanzillotta ha brillato per senso della forma e rigore stilistico – assecondato da un’orchestra particolarmente esperta quanto al repertorio novecentesco – destreggiandosi fra la rigogliosa proliferazione contrappuntistica (al centro del primo Allegro compare nelle trombe l’esplicita citazione del motivo B-A-C-H) e i momenti di martellante ritmicità.
Equilibrata, ma nel contempo coinvolgente e suggestiva, anche per il suono brillante e ricco di sfumature, è risultata la lettura della Prima sinfonia di Schubert. Composta nel 1813, quando l’autore aveva appena 16 anni, è dedicata ad Innozenz Lang, direttore dell’Imperial Regio Convitto Civico viennese presso il quale studiò per cinque anni. Affrontare il genere sinfonico – dopo l’Eroica – rappresentava all’epoca uno scoglio ai limiti del sormontabile: Schumann lo farà a trent’anni inoltrati, Brahms a più di quaranta. Schubert e Mendelssohn – due geni, che hanno raggiunto prestissimo la maturità artistica – costituiscono altrettante felici eccezioni. Così questo lavoro, vivace e nel contempo delicato, rivela dei tratti già prettamente personali, mentre l’uso delle sonorità testimonia la buona conoscenza degli strumenti da parte del precoce musicista viennese. Nell’esecuzione della sinfonia si è colta pienamente l’apollinea leggerezza d’ascendenza mozartiana e haydniana, che la percorre, in accordo con lo stile del primo Schubert, pur trasparendovi anche l’influsso beethoveniano, per quanto Schubert non sia altrettanto titanico. Vigoroso è apparso l’Adagio introduttivo, caratterizzato da incisive figurazioni in ritmo puntato, dove si riscontrano affinità con l’ouverture del Prometeo e con la Sonata Patetica di Beethoven; spigliato l’Allegro vivace, avviato da un tagliente unisono seguito da una scaletta ascendente dei violini, e quindi da una sezione di straordinaria scorrevolezza melodica, elaborata alla maniera mozartiana; dolcemente cantabile L’Andante in 6/8 in forma di Lied, in cui il tema principale viene ripetuto e variato più volte in diverse tonalità; molto ritmato, all’inizio, e poi dolce il Menuetto con il Trio tipicamente schubertiano per la spensieratezza e ingenuità della melodia; festoso e ottimistico l’Allegro vivace finale in forma di rondò costruito su due temi. Festosi anche gli applausi che hanno salutato, ripetutamente e sonoramente, i protagonisti di questa serata.