Teatro Filarmonico:”Macbeth” (cast alternativo)

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione lirica 2012 /2013
“MACBETH”

Melodramma in quattro parti di Francesco Maria Piave dall’omonimo dramma di William Shakespeare. Edizione Edwin F. Kalmus&Co., Inc.
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth
MARCO VRATOGNA
Banco
ROBERTO TAGLIAVINI
Lady Macbeth
TIZIANA CARUSO
Dama di Lady Macbeth  FRANCESCA MICARELLI
Macduff  ALEJANDRO ROY
Malcolm  GIORGIO MISSERI
Medico/ Araldo DARIO GIORGELE’
Domestico di Macbeth/ Un sicario SEUNG PIL CHOI
Tre apparizioni SEUNG PIL CHOI, ALBERTO TESTA, VITTORIA SANCASSANI
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo dell’Arena di Verona
Direttore Omer Meir Wellber
Maestro del coro Aldo Tasso
Coordinamento regia, scene  e costumi Stefano Trespidi
Regia video Amerigo Daveri
Coreografia Maria Grazia Garofali
Luci Paolo Mazzon
Nuovo allestimento
Verona, 21 dicembre 2012
Se uno dei pochissimi spettatori presenti alla quarta replica di Macbeth di Verdi, il 21 dicembre al Teatro Filarmonico di Verona, guardandosi intorno, avesse creduto che la profezia dei Maya si fosse avverata, non lo si sarebbe potuto certo biasimare.  L’annunciata produzione Liliana Cavani/Dante Ferretti per l’apertura della stagione del centenario sia della stagione lirica in Arena, sia della nascita di Verdi,  in seguito affidato al responsabile dell’Ufficio regia della Fondazione Arena Stefano Trespidi, è stata notevolmente ridimensionata. Lo spettacolo è montato in penuria di risorse, e sul palcoscenico svuotato rimane solo uno schermo, qualche sedia e qualche tavolino, e una pedana scomponibile che fungerà poi da palconscenico.  Purtroppo l’allestimento improntato come una prova dello spettacolo non dà il risultato sperato. L’assembramento di macchinisti, maestro del coro, assistenti vari, distrae, distogliendo l’attenzione dalla narrazione del dramma e  dissipando il senso Verdiana della tragedia, dando un’impressione di dilettantismo.  Le proiezioni  di Amerigo Daveri, che dovrebbero coadiuvare la lettura profonda dei significati, il più delle volte disturbono, quando non sono addirittura stucchevoli.  Il colpo di grazia è stato l’inizio del terzo atto. Quando il sipario non si è alzato, e l’orchestra  orfana della parte vocale ha dovuto fermarsi e con tono laconico, il regista  ha annunciato lapidariamente ‘un’incidente tecnico’,  il dubbio è sorto che si tratasse davvero di una prova.
Tutti vestiti in abiti “quotidiani” neri, a parte due dei tre vestiti lunghi e scollati di Lady Macbeth, e le improbabili parrucche rosso fuoco delle streghe in versione sadomaso, rimandono a  “regie del mondo tedesco”, già riproposte alla nausea sin dagli anni 80.  Vocalmente indisciplinato, il coro femminile risulta spesso calante negli acuti e scenicamente disorientato. Con venti minuti di musica e un palcoscenico intero a disposizione, i ballerini sono stati costretti a tracciare i passi e dimenarsi confinati in una gabbia. Noioso e imbarazzante.
Per un momento, all’inizio del quarto atto, col celebre e ben eseguito coro’Patria oppressa’, la regia è sembrata finalmente avere imboccato la strada giusta.  Ma  a parte un’efficace scena del sonnambulismo eseguito in platea non ha avuto seguito.
Il secondo cast, messo a una severa prova in ruoli molto esigenti, ha assolto dignitosamente il proprio compito.  Marco Vratogna, con un bel timbro  rotondo e brunito, omogeneo in tutta l’estensione e di facile emissione, era un veicolo congeniale per esprimere il tormento e l’introspezione di Macbeth.  Un più marcato contrasto dinamico e una scansione più enfatica in momenti cruciali avrebbero donato un’impatto drammatico più intenso. Nel ruolo impervio di Lady Macbeth, Tiziana Caruso ha dato una prova convincente e lodevole. Particolarmente efficace nel parlato, nel medio e alto registro, invece, la voce era spesso sfuocata.   La scena del sonnambulismo, registicamente ben congeniata, svolta in platea, era  eseguita sia vocalmente sia drammaticamente con grande piglio, approfittando della libertà espressiva e di movimento fornito da Verdi. L’acuto finale, il re bemolle ‘fil di voce’ dal foyer, alla sua uscita era di grande effetto. Un’ottima Francesca Micarelli, come dama, dalla solida vocalità omogenea ed espressiva.   Dignitoso il Banquo di Roberto Tagliavini nella celeberrima aria ‘Come dal ciel precipita’ e Alejandro Roy è stata un sufficientemente nobile Macduff nella bellissima aria  ‘Ah la paterna mano’. Il cast è completato da Giorgio Misseri (Malcom), Dario Giorgelè (Medico, araldo), Seung Pil Choi (sicario, un’apparizione), Alberto Testa, Vittoria Sancassani (apparizioni)
La modesta lettura del direttore Omer Meir Welber non è riuscita a decollare. Fin dall’inizio, ad esempio, nella grande frase cantabile che anticipa la scena del sonnambulismo nel preludio, dove ha tirato dritto senza lasciare spazio al pathos intrinseco della musica, ha dimostrato una certa trascuratezza e poca attenzione all’espressività.  Deludenti anche gli accenti meccanici nel coro ‘Patria oppressa’,  in cui mancava l’intensità dell’effetto lamentoso; la stessa tensione drammatica che mancava alla dissonanza- risoluzione armonica.  Nonostante una  direzione non entusiasmante, l’orchestra ha sostenuto la linea vocale con sensibilità, in modo particolare nell’ultimo atto a dimostrazione della sua grande vocazione lirica.  In generale, l’orchestra, pulita nell’articolazione e attenta all’intonazione, è stata equilibrata in timbro e dinamica sia al suo interno, sia in relazione al palcoscenico. Purtroppo la produzione è apparsa un’allegoria della condizione del teatro: i residui del graduale declino, impoverito dal punto di vista musicale e artistico. Nessuna traccia è rimasta del meraviglioso studio musicale sull’evoluzione drammatica e psicologica del carattere di Lady Macbeth e delle dinamiche del rimorso sulla coscienza di Macbeth fino alla loro disintegrazione finale. Una triste parabola del teatro Filarmonico. Foto Ennevi per Fondazione Arena