“Zelmira” al Rossini Opera festival 2009

Rossini Opera Festival 2009 – XXX Edizione
“ZELMIRA”
Dramma per musica in due atti di Andrea Leone Tottola
Musica di GIOACHINO ROSSINI
Edizione critica della Fondazione Rossini in collaborazione con Universal Publishing Ricordi a cura di Helen Greenwald e Kathleen Kuzmick Hansell – Versione  di Parigi del 1826
Polidoro  ALEX  ESPOSITO
Zelmira  KATE  ALDRICH
Ilo  JUAN DIEGO  FLOREZ
Antenore GREGORY  KUNDE
Emma MARIANNA  PIZZOLATO
Leucippo  MIRCO  PALAZZI
Eacide FRANCISCO  BRITO
Gran Sacerdote  SAVIO  SPERANDIO
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore, Roberto Abbado
Maestro del coro  Paolo Vero
Regia Giorgio Barberio Corsetti
Scene Giorgio Barberio Corsetti, Christian Taraborrelli
Costumi Christian Taraborrelli, Angela Buscemi
Progetto luci  Gianluca Cappelletti
Nuova Produzione.
Pesaro, 6 agosto 2009 (prova generale)
Il Rof 2009 si inaugura con una nuova produzione dell’opera “Zelmira”, allestita in precedenza una sola volta, nel 1995. Doverosa la considerazione sulla necessità di un nuovo allestimento (convinzione ancora piu supportata dopo aver visto questo spettacolo!) visto che dovrebbe ancora esistere il vecchi, non dei piu memorabili, ma comunque sia utilizzato una sola volta. Viste le precarie risorse economiche cui gravano tutti i teatri  e che gravano anche sul Rof che ha tagliato una recita a ogni spettacolo per far quadrare i bilanci, forse sarebbe stato il caso di ragionarci un po’ sopra!
Zelmira fa parte delle opere del ” periodo napoletano” dell’autore,  legate in modo particolare al nome di Isabella Colbran, prima interprete e moglie di Rossini, la cui vocalità è di non facile collocazione, oscillava tra il soprano e il mezzosoprano acuto. A questo periodo creativo fanno parte anche i ruoli tenorili affidati a Giovanni David (Ilo) e Andrea Nozzari (Antenore), due dei piu famosi ed affermati tenori rossiniani di tutti i tempi. Peculiarità dell’opera, un dramma e lieto fine,  sviluppato  attraverso un costante crescendo di tensione drammatica anche grazie a un continuo ampliamento del classico numero chiuso a favore di un blocco musicale unico . Assistiamo dunque a grandi scene come quella di Ilo “Terra amica”, un autentico gioiello musicale di alta difficoltà vocale. Zelmira andò in scena al Teatro San Carlo di Napoli la sera del 16 febbraio 1822 con esito trionfale,. L’edizione scelta dal Festival è quella di Parigi del 1826, che differenzia in pochi punti rispetto a quella napoletana, ricordando che vi è, precedentemente, anche una versione viennese. Le modifiche più appariscenti sono: la nuova aria di Antenore che a Parigi fu interpretato da Bordogni, tenore contraltino primo Libenskof nel “Viaggio a Reims” caratterizzata da una linea di canto piuttosto lineare e poco fiorettata, il finale dell’opera,  che vede, per la  parte di Zelmira (l’interprete era Giuditta Pasta) l’inserimento di un’aria di grande espressività, “Da te spero ciel clemente” , che si sviluppa poi in una stretta presa in prestito dalla grande scena di Ermione nel secondo atto.  L’opera si chiude con l’originale “allegro”, “Riedi al soglio” , cantato da Zelmira con interventi di Polidoro e Ilo, quest’ultimo impegnato in ardui passaggi virtuosisitici, grande effetto (l’Ilo parigino era era Giambattista Rubini). A Parigi venne inoltre inserita l’aria di Emma “Ciel pietoso, ciel clemente” scritta per Fanny Eckerling, interprete del ruolo a Vienna (non particolarmente gradita a Rossini), qui però cantava Adelaide Schiassetti (prima Melibea nel Viaggio a Reims) si  presume che Rossini acconsentì all’inserimento della scena.
Venendo alla stretta attualità, a Pesaro, nel complesso le cose non sono andate malissimo. Gregory Kunde, che appare oggi come una sorta di “baritenore” in Antenore, appare decisamente più a suo agio rispetto alle  sue ultime interpretazioni nell’ Otello e in Ermione. Da grande stilista qual’ è,  Kunde supera i limiti di uno strumento vocale piuttosto logoro, grazie  a un fraseggio vario ed energico, oltre a un encomiabile uso del canto di forza. Juan Diego Florez ha dominato la parte terribile e difficilissima di Ilo con grande maestria e capacità vocale. Ha inoltre nasaleggiato meno del solito, e ha ripetutamene dimostrato, ce ne fosse bisogno, che il suo canto è basato su una tecnica di altissimo valore e precisione, non ha cantato le quartine finali con i mi  scritti per Rubini (non lo pretendevamo neppure!) ma avrebbe potuto essere un po’ più espressivo nei recitativi, un tantino monocordi. Buona anche la prova di Marianna Pizzolato, Emma, che nella citata aria parigina, a parte certi suoni troppo “coperti” da sembrare un po’ “tubati” ha mostrato un ottimo di livello di tecnica ed espressività, qualità già messe in luce nel bellissimo duetto con Zelmira “Perché mi guardi e piangi” , nel quale ha surclassato di gran lunga la Aldrich. Trovo invece incomprensibile come il bravo Alex Esposito, basso-baritono, abbia accettato il ruolo di Polidoro, un ruolo da basso nobile e oltremodo piuttosto virtuosistico, tutto l’opposto di quello che è lui.  Si è chiaramente sentito come stesse cantando in una tessitura troppo onerosa per i suoi attuali mezzi vocali e tecnici. Discreta la compagine delle parti di fianco, con il Leucippo di Mirco Palazzi, giovane molto dotato vocalmente ma con una tecnica non sempre ortodossa.  Ho lasciato per ultima la protagonista, il mezzosoprano Kate Aldrich. Un festival specializzato come quello di Pesaro avrebbe il compito di arruolare cantanti quanto meno stilisticamente proponibili. La Aldrich, che ho sentito a Bologna dove è stata una mediocre Adalgisa, qui si conferma essere una cantante anonima e tecnicamente inadeguata. Vistose carenze nell’espressione, nelle agilità di forza, nel legato, salendo poi, ascoltiamo suoni schiacciati e striduli.  E pensare che veniva sbandierata come la sorpresa del festival! ( Voci di corridoio già parlavano della Aldrich come già scritturata per il ROF 2010  e non certo in un ruolo marginale!). Roberto Abbado ha guidato l’intera compagnia con molto garbo e stile, anche se è parso meno incisivo e incalzante dell’ Ermione dello scorso anno. Una concertazione equilibrata, con momenti di grande pathos, anche grazie alla buona orchestra del Comunale di Bologna. Il direttore ha avuto il suo bel da fare a tenere in riga palcoscenico e orchestra, ma l’impresa è riuscita in larga misura.
La parte visiva è stata invece la parte debole di questa ripresa di Zelmira, per tale ragione, forse era meglio riprendere l’edizione del 1995! Scialbo e banale, con alcune idee che avrebbero  anche potuto essere originali , ma rimaste in stato embrionale o  sviluppate malamente, Barberio Corsetti immerge nel buio tutta l’opera. Pochi gli elementi in scena: sabbia, due statue sospese,  unico elemento interessante il sottosuolo proiettato su un grande specchio sul fondo. Stop, null’altro ale, ma senza mimica, senza azione, alla fine annoiava. Costumi moderni cappotti da guerra, solite divise, fucili, mitragliatori e quant’altro, ormai credo si sta toccando il fondo (se già non lo si è toccato!), visto che sono operazioni che, aldilà dell’apparenza non hanno delle vere  idee e quelle poche strampalate. Due esempi: il figlio di Zelmira  viene presentato come un neonato, nella vicenda si narra invece che il marito, Ilo ritorna in Patria dopo qualche anno! Polidoro? Ad ogni sua apparizione in scena viene  gettato a terra,  sfiorando il ridicolo!. Successo incondizionato per i cantanti e il direttore, dissensi e pochi applausi per il regista (alla prima, sonoramente contestato!).