Johann Sebastian Bach (1685 – 1750): Messa in si minore BWV232 – Lucy Crowe (soprano), Joanne Lunn (soprano), Julia Lezhneva (soprano), Blandine Staskiewicz (soprano), Nathalie Stutzmann (contralto ), Terry Wey (controtenore ), Colin Balzer (tenore), Markus Brutscher (tenore), Christian Immler (basso), Luca Tittoto (basso), Les Musiciens du Louvre, Marc Minkowski (direzione) – Registrazione: luglio 2008, Festival Via Stellae, Chiesa di San Domingos de Bonaval, Santiago de Compostela (Spagna) – 2 cd Naive – 1 h.41′
Con Bach non si chiude solo il periodo barocco, ma si esaurisce anche la stessa polifonia. Bach infatti raccoglie nella sua opera le esperienze di ben più di due secoli di storia musicale costruendo un monumento polifonico tanto grandioso quanto definitivo. Dopo di lui la musica dovrà percorrere altre vie, e già durante la sua vita cominciava a tentarle. Curioso di ogni evento musicale, Bach, studia, ricopia e talvolta trascrive le composizioni italiane (soprattutto Vivaldi), francesi e tedesche contemporanee. Non gli è affatto ignota l’opera che va a conoscere ad Amburgo e che quasi determinerà drammatico delle Passioni, di alcune Cantate e anche della Messa in si minore. Quest’ultima non è semplicemente una messa, ma un manuale di stili musicali splendidamente amalgamati da Bach. Possiamo ad esempio vedere nel Kyrie una grande “fuga vocale” secondo lo stile tedesco, così come il Christe eleison è un duetto dai marcati toni operistici. Non mancano poi chiari riferimenti a movimenti di danza, come il Gloria in excelsis o nel Et resurrexit. Un’opera straordinaria che Marc Minkowski affronta prendendo come punto di riferimento alcune esecuzioni del Kyrie e del Gloria a Dresda nel 1733 e del Credo ad Amburgo nel 1786. Esecuzioni che confermano come la Messa in si minore fosse conosciuta come un’opera di musica da camera e non a grandi masse vocali e strumentali. Le parti vocali lasciano supporre che il coro fosse composto da poco più di 10 voci che sono sia coristi che solisti. Stesso discorso per la parte strumentale che sembra indicare un numero di esecutori poco oltre la ventina. Sulla base di ciò, Minkowski ci offre una straordinaria interpretazione del capolavoro bachiano, con soli 10 cantanti e 25 strumentisti. L’amalgama tra canto e strumenti è perfetto, ricco di dinamiche e di colori. Inoltre, grazie a questo organico, appare nitidissima la splendia architettura polifonica che, generalmente va in parte perduto con formazioni vocali e strumentali più corpose. Sicuramente un’interpretazione, questa di Minkowski, da conoscere.