NYC, Metropolitan Opera: “La fanciulla del West”

New York, Metropolitan Opera, Stagione Lirica 2010 / 2011
“LA FANCIULLA DEL WEST”
Opera in tre atti su libretto di Carlo Zangarini e Guelfo Civinini, dal dramma The girl of the Golden West di David Belasco.
Musica di Giacomo Puccini
Minnie DEBORAH VOIGT
Dick Johnson CARL TANNER
Jack Rance LUCIO  GALLO
Wowkle GINGER COSTA-JACKSON
Nick TONY STEVENSON
Trin HUGO VERA
Harry ADAM  LAURENCE  HERSKOWITZ
Joe MICHAEL FOREST
Un postiglione EDWARD MOUT
Sonora DWAYNE CROFT
Sid TREVOR SCHEUNEMANN
Bello RICHARD BERNSTEIN
Happy DAVID CRAWFORD
Larkens EDWARD PARKS
Ashby JAMES COURTNEY
Jake Wallace OREN GRADUS
Billy Jackrabbit PHILIP COKORINOS
José Castro JEFF MATTSEY
Coro e Orchestra della Metropolitan Opera di New York
Direttore Nicola Luisotti
Regia Giancarlo Del Monaco
Scene e costumi Michael Scott
Luci Gil Wechsler
New York, 27 dicembre 2010

L’allestimento di questa Fanciulla è ormai un classico per gli spettatori della Metropolitan Opera di New York, avendo debuttato nel 1991 con un cast spettacolare che includeva la meravigliosa Minnie di Barbara Daniels. Nonostante i vent’anni di età, lo spettacolo ideato da Giancarlo Del Monaco conserva intatto tutto il suo fascino, ravvisabile soprattutto nella cura per i dettagli scenici di Michael Scott (il saloon del primo atto è riprodotto con una dovizia di particolari fenomenale) e per le luci di Gil Wechsler (i lividi raggi bluastri che, rifrangendosi sulla tempesta di neve, si stagliano sul plumbeo fondale al secondo atto, costituiscono un effetto formidabile). La regia di Del Monaco è molto abile nel dipanare la fitta matassa delle parti di fianco, che sono numerosissime e determinanti nello svolgimento narrativo, attribuendo a ciascun personaggio una ben definita fisionomia (in questo, il disporre di una compagnia di tali caratteristi della scena, giunge come una manna dal cielo). Deborah Voigt nei panni di Minnie appare discretamente disinvolta in una parte di grande difficoltà, sia scenica che vocale. A livello interpretativo, i momenti di dolcezza e smarrimento in corrispondenza dei passi amorosi le riescono molto meglio di quelli improntati all’esibizione del piglio e della tempra, anche se, vocalmente, la resa in entrambe le situazioni è sovrapponibile. Il timbro mostra un pesante ossidamento nel registro centrale rispetto agli sfolgoranti esordi del soprano, con note centro-gravi piuttosto aspre e velate da una leggera gutturalità, mentre in acuto la voce si apre ancora in modo suggestivo, producendo ampie e morbide vibrazioni. L’emissione appare sufficientemente intatta, consentendo alla cantante di dissimulare la stanchezza e di realizzare anche qualche buona sfumatura. L’intonazione degli acuti, nei brani più concitati, non risulta sempre a fuoco (ad eccezione dello strepitoso do dell’aria “Laggiù nel Soledad”), ma, tolta anche qualche spianatura dell’agilità nell’allegretto “Oh se sapeste”, si tratta senz’altro di una prova vocale e, più in generale, di un’interpretazione riuscita. Lucio Gallo fa esprimere il suo Jack Rance con un birignao che pare rifarsi al modello di Sherrill Milnes, ma canta con voce più compatta di quella dell’illustre collega, anche se con personalità scenica più piccina (aspetto che emerge soprattutto nello strepitoso capitolo della partita a poker). Il tenore Carl Tanner (al suo debutto nel ruolo di Dick Johnson) rappresenta l’anello più debole del cast, con un’emissione un poco approssimativa nel dosare le dinamiche, dizione farfugliante, ed un registro acuto che, pur caratterizzato da buona potenza, non è certo additabile a modello di stile e controllo. Ha però il merito di disegnare un bandito simpatico, più affabile e scanzonato che intrigante e misterioso. Nicola Luisotti colpisce per la grande capacità e la vera e propria gioia con cui dirige, ponendo la giusta attenzione a tutti gli aspetti di questa complessa e modernissima partitura pucciniana, coadiuvato da un’orchestra da sogno, il cui suono è sempre vitale, mobilissimo e perfettamente amalgamato. Una menzione speciale va al Metropolitan Opera Chorus (in quest’opera, tutto al maschile) che si distingue per una compattezza invidiabile e per una fenomenale realizzazione delle dinamiche, con un paio di pianissimi da brivido. Foto di Ken Howard per gentile concessione della Metropolitan Opera


Lascia un commento