Milano, Teatro alla Scala: “L’italiana in Algeri”

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2010-2011
“L’ITALIANA IN ALGERI”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Angelo Anelli
Musica di Gioachino Rossini
Mustafà MICHELE PERTUSI
Elvira PRETTY YENDE
Zulma VALERIA TORNATORE
Haly FILIPPO POLINELLI
Lindoro LAWRENCE BROWNLEE
Isabella ANITA RACHVELISHVILI
Taddeo VINCENZO TAORMINA
Orchestra e Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Antonello Allemandi
Maestro del coro Alfonso Caiani
Regia, scene e costumi Jeanne-Pierre Ponnelle
ripresa da Lorenza Cantini
Progetto Accademia
Allestimento del Teatro alla Scala

Milano, 11 Luglio 2011

Un Rossini paradossalmente spento e monocorde, quello ascoltato e visto nella ripresa scaligera del famoso allestimento de “L’italiana in Algeri” ad opera di Jean-Pierre Ponnelle. Lo spettacolo è la meraviglia di tinte pastello, luci caldamente soffuse e scoppiettante ironia che ben si conosce, peccato solo che, in primis il direttore d’orchestra e, a seguire, gran parte del cast non abbiano saputo rendere giustizia a tale classico dell’interpretazione scenica. Antonello Allemandi dirige con volontà metronomica (ed, in questo senso, non ottiene nemmeno risultati impeccabili), con poco brio e scarsissima fantasia. L’ouverture pare un orologio a cucù, mentre, per tutta l’opera, latitano le morbidezze strumentali, nonché gli opportuni colori che la partitura esige. Il finale primo è mantenuto su di un tempo che è sì rapido, ma manca di quella vorticosità che può fare la differenza, rendendo davvero spettacolare questo forsennato assieme. Altrove, l’orchestra proveniente dall’Accademia scaligera, evidenzia qualche squilibrio timbrico di troppo ed una chiara tendenza al forte perenne, pur suonando con lodevole perizia e brillantezza. Michele Pertusi, contemporaneamente impegnato nel title role dell'”Attila” di Verdi, le cui recite si alternano a queste rossiniane, esordisce con un “Delle donne l’arroganza” zoppicante nell’emissione ed incerto nel volume, ma, già a partire dall’aria del primo atto, la situazione migliora notevolmente ed il basso parmigiano si produce in un canto molto curato, discretamente morbido e, come sempre, musicale. Il suo Mustafà è però troppo contenuto, quasi arginato sulla scena, risultando solo un simpatico tenerone. Non si vorrebbero, per carità, gli eccessi cari a certa vetusta tradizione interpretativa, ma da questo “flagello delle donne” che dovrebbe far tremare tutti quanti al suo apparire, promana una personalità invero piccolina. In diametrale opposizione, il Taddeo di Vincenzo Taormina è caratterizzato da una comicità artefatta, insistita ed, alla lunga, stucchevole. Si esprime poi con un canto grossolano, costellato di tediosi gridolini e risatine, anche se la voce in sé possiede una certa presenza. Dopo qualche minuto di ascolto nei confronti di Anita Rachvelishvili, ci si rende subito conto del perché la Scala abbia azzardato una Prima di Sant’Ambrogio scritturando per il ruolo di Carmen questa giovane cantante che proviene dall’Accademia del teatro stesso: la voce è straordinariamente bella e sonora (a tratti, richiama alla mente la migliore Borodina), l’emissione è sicura (ottimo il registro acuto, denso e di bello smalto), e la padronanza del palco è già notevole. Tuttavia, il mezzosoprano georgiano manifesta palesi incomprensioni relative a come si dovrebbe affrontare la vocalità rossiniana, chiaramente ravvisabili in alcune note gravi aperte e piuttosto plateali ed anche nell’autocompiacimento con cui si cimenta nel resto della tessitura, realizzata con suoni sempre altisonanti. Probabilmente non si tratta di assoluta incompatibilità con la scrittura del pesarese, viste le agilità che, pur non sfavillanti, sono tutte presenti all’appello, ma solo di un’incerta fusione con il personaggio. Di questa Isabella, si riesce a cogliere solo il lato pugnace e, per così dire, femminista, ma non traspare, invece, il lato femminile e più malizioso, anch’esso indispensabile ai fini di una compiuta rappresentazione. Ad ogni modo, vocalmente parlando, sono convincenti sia la cavatina del secondo atto, sia il rondò finale, nel quale Allemandi avrebbe dovuto favorire, ma non l’ha fatto, variazioni in acuto, più adatte alle attuali possibilità della Rachvelishvili. Ciò detto, ci si augura di poter riascoltare presto questa notevole cantante in altro e più consono repertorio. Su tutti, più in alto di un’intera spanna, il Lindoro di Lawrence Brownlee. Il tenore statunitense entra in scena, apre bocca ed è subito tutto giusto. La cifra interpretativa, la musicalità eccellente, l’aplomb dell’intera sua prestazione lascia di stucco. La voce, pur rientrando a tutti gli effetti nella categoria del classico tenore leggero, è molto più morbida rispetto a quella di alcuni blasonati colleghi ed i suoni, perfettamente legati, si mantengono omogenei lungo tutta l’estensione: il “Languir per una bella” ascoltato qui, vale da solo l’intera serata. Più che discreto l’Haly di Filippo Polinelli e molto gradevole l’Elvira di Pretty Yende. Il coro, infine, si copre di bravura nel dar voce agli eunuchi del serraglio, con un suono ora flebile, ora slavato di assoluta adeguatezza. Foto di Brescia e Amisano, per gentile concessione del Teatro alla Scala

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