Pesaro, Rossini Opera Festival, Teatro Rossini
“LA SCALA DI SETA”
Farsa comica in un atto di Giuseppe Foppa.
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi,
a cura di Anders Wiklund.
Dormont JOHN ZUCKERMAN
Giulia HILA BAGGIO
Lucilla JOSE’ MARIA LO MONACO
Dorvil JUAN FRANCISCO GATELL
Blansac SIMONE ALBERGHINI
Germano PAOLO BORDOGNA
Orchestra Sinfonica “G.Rossini”
Direttore José Miguel Pérez-Sierra
Regia Damiano Michieletto
Scene e Costumi Paolo Fantin
Progetto luci Alessandro Carletti
Pesaro, 9 agosto 2011
Pesaro, via Rossini n 2 piano primo A/10, appartamento non grande, ma funzionale: tettoia ampia e finestre con vista sul giardino; salotto e cucina arredati con gusto un po’ sgargiante, ma giovanile, moderno e sportivo. Poi c’è una bella camera da letto e un bagno con una buona doccia a getto plurimo e nel disimpegno tutto quello che serve al cameriere per riassettare: l’inserviente fa parte della casa, è orientale, precisino e curiosone; ancora non parla proprio bene l’italiano e lo capisce a modo suo. In scala 1:1 la riproduzione a grandezza reale della pianta di un appartamento completamente arredato e, grazie al sistema di specchi che sovrastava tutto il palcoscenico, visualizzato dal pubblico anche dall’alto, era la scena della Scala di Seta di Rossini nella produzione del 2009 e riproposta quest’anno al ROF. Nella generale della sera del 9 agosto il Teatro Rossini di Pesaro si è divertito a scoprire le innumerevoli applicazioni dell’immaginario attualizzante del regista Damiano Michieletto nell’opera buffa rossiniana. È certo necessario svecchiare un testo come questo e liberarlo dallo stucchevole, dato che anche nel 1812 si notava che la situazione del libretto di G. Foppa è scontata e somiglia fin troppo a quella del Matrimonio Segreto di Cimarosa: “Tant’altri consimili amoreggiamenti di pupille in onta al tutore che non destano interesse di novità”come ebbe a scrivere un cronista del tempo sull’opera, tanto meno lo desterebbero oggi nell’ottica di rendere vive e attuali le situazioni dell’opera.
Ogni trovata scenica dall’inizio alla fine dell’operina in un atto era ingegnosa e accattivante: Giulia (Hila Baggio) è la ragazza che vive nell’appartamento e il padrone di casa Dormont (John Zuckerman) le vieta di far entrare della compagnia maschile che non sia quella da lui accreditata. La scala di seta c’è davvero perché Dorvil (Juan Francisco Gatell) in tenuta da motociclista, giubbino di pelle e casco, entra dalla finestra e amoreggia con Giulia. Bellimbusto in carriera, doppiopetto bianco e introdotto da Dormont è Blansac (Simone Alberghini) che subodora l’affare della conquista di Giulia e della sistemazione vantaggiosa nell’appartamento. Il consueto movente del personaggio buffo rossiniano (l’eros e/o il denaro) è riproposto dalla regia in modo puntuale. Anche la cugina di Giulia, Lucilla (Josè Maria Lo Monaco) nutre sotto sotto un movente di natura sessuale: l’attrazione per Blansac. L’imprevisto è rappresentato dal servo di Giulia, Germano (Paolo Bordogna), che un po’ per curiosità, un po’ per incomprensione di quanto viene detto (è infatti un extracomunitario orientale reso da Bordogna in modo esilarante), mette in moto tutta la macchina degli equivoci e del “ rendez-vous in duecento”.
Tantissime le situazioni comiche ricavate dalla trasposizione ai giorni nostri; la comicità maggiore è sprigionata da Bordogna in Germano che assume un accento orientale e si muove come un cinesino. Ottime le voci e la recitazione: in particolare il tenore Gatell in Dorvil che riempie la sala con la sua vocalità e nell’aria Vedrò qual sommo incanto dà spessore particolare al personaggio attraverso i colori vocali senza ricorrere ad aggiunte di sovracuti stratosferici o di variazioni artificiose e posticce.
Soprano dal ventaglio di colori non molto ampio Hila Baggio in Giulia, ma dalla tecnica solida e capace di souplesse vocale nelle movenza sceniche più movimentate e complesse (spogliarsi e rivestirsi, muoversi continuamente per la scena e stare distesa cantando sono abilità di tutto rilievo): anche la grande aria Il mio ben sospiro e chiamo è interpretata tutta in movimento senza cedere a statici languori. Sempre ottima la vocalità di Simone Alberghini, ma nell’aria di baule aggiunta all’opera Alle voci dell’amore si vorrebbe ascoltare un’agilità più a fuoco e più sgranata. La Lucilla di Josè Maria Lo Monaco resa in modo intrigante e sbarazzino ( anche vocalmente) ha brillato in particolare e ha tenuto il primato comico con il Germano di Paolo Bordogna, vero artista della scena buffa, creativo nell’escogitare le gags adeguate al profilo del personaggio, le inflessioni vocali e di pronuncia; il pubblico è mosso all’aperta risata in vari momenti. Il Dormont di John Zuckerman, rappresentato come un anziano dall’aria routinaria e indifferente, ha fornito un contraltare da caratterista a Bordogna. Le scene e i costumi di Paolo Fantin e il progetto luci di Alessandro Carletti hanno avuto una parte essenziale nell’ambientazione con l’oggettistica e la mobilia da new design che rendeva il tutto più verosimile. Coprotagonista della serata fin dalla sinfonia era l’Orchestra Sinfonica G. Rossini con tutte le sue nuances timbriche (nella Scala ce ne sono tante visto l’impiego che fa Rossini dei fiati e dei legni) e la costante tenuta dell’impasto sonoro organicamente connesso alla scansione dei tempi da parte del Direttore José Miguel Pérez-Sierra che ha messo in rilevo gli accenti incalzanti dei momenti d’insieme e dei concertati senza mai cedere a facili effetti, bensì con un grande equilibrio riconosciuto dal pubblico e ben applaudito. Foto Studio Amati Bacciardi