Palermo, Teatro Massimo:”Tosca”

Palermo, Teatro Massimo – Stagione Lirica 2011
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica,
dal dramma omonimo di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Tosca NORMA FANTINI
Mario Cavaradossi JORGE DE LEON
Il Barone Scarpia GIORGIO SURIAN
Cesare Angelotti ALESSANDRO SVAB
Spoletta CARLO BOSI
Il Sagrestano ROBERTO ABBONDANZA
Sciarrone FRANCESCO VULTAGGIO
Un Carceriere VINCENZO RASO
Il pastorello RAFFAELLA GANDOLFO
Orchestra, Coro e Coro di voci bianchedel Teatro Massimo di Palermo
Direttore Omer Meir Wellber
Maestro del coro Andrea Faidutti
Voci bianche dirette da Salvatore Puntaro
Regia Joseph Franconi Lee
Scene e Costumi William Orlandi
Luci Roberto Venturi
Palermo, 18 settembre 2011

Dopo la parentesi estiva affidata a Turandot, la stagione 2011 del Teatro Massimo prosegue ancora all’insegna di Giacomo Puccini. Torna infatti una delle opere più amate del maestro toscano, rappresentata sempre con grande successo e a Palermo interpretata dai grandi nomi della lirica, lungo tutto il Novecento (da Beniamino Gigli a Renata Tebaldi, da Mario Del Monaco a Raina Kabaivanska). L’indiscusso fascino di Tosca si rinnovella ad ogni appuntamento, ad ogni recita, e conserva intatta la propria forza di coinvolgimento, la capacità di ipnotizzare il pubblico attraverso una musica ed un’azione travolgenti. Per quanto distante nel tempo (quasi quindici anni sono passati dal lontano 1997), l’allestimento riproposto è ben presente nella mente di chi scrive, e colpì allora per la sua efficacia, così come riesce a colpire ancora oggi. Innanzitutto si segnalano le scenografie di William Orlandi, che rileggono la tradizione in nuova chiave, costruendo uno spazio tutto dominato da gigantesche statue in “movimento” (la Vergine del primo Atto, l’arcangelo Michele del terzo) e soprattutto dalle tele di matrice caravaggesca, all’uopo trasformate in piano di calpestio dei personaggi (è il caso del dipinto della Maddalena, che tanto ci ricorda l’omonimo quadro di Andrea Vaccaro).
Il sottile gioco dei chiaroscuri offerto dai dipinti si riflette poi nell’impostazione delle luci, qui affidate a Roberto Venturi. Conformemente alla cupezza che caratterizza il dramma, predominano con decisione le ombre, mentre di fatto le poche luci sono quasi sempre bagliori di morte, di sconcertante violenza: valga come esempio la soluzione del secondo Atto, che lascia intravedere un fascio luminoso, dalla porta sulla destra, a rappresentare icasticamente le torture che in quel momento Mario Cavaradossi sta subendo. A sua volta la regia di Joseph Franconi Lee – da un’idea di Alberto Fassini – calibra perfettamente i movimenti dei vari personaggi, evitandone i momenti statici e trasformandoli in figure inquiete, senza pace e in continuo tormento. Mobilità visiva che viene rispecchiata nella mobilità musicale della partitura, attentamente filtrata dalla bacchetta del direttore israeliano Omer Meir Wellber. Il giovane direttore ha dalla sua la capacità di isolare e mettere in risalto i “temi ricorrenti”, anche quelli più nascosti, assecondato in questo dall’ottima sintonia con l’orchestra del Teatro Massimo. D’altra parte, però, in alcune occasioni egli conferisce scarso rilievo a certe sospensioni, certe pause, offrendoci di fatto una Tosca eccessivamente accelerata, ma autenticamente inquieta, in questo rispondente al disegno del regista.
Tale lettura viene supportata da buoni interpreti, sia principali che secondari. Fortemente inquieta, a tratti isterica, è la Tosca di Norma Fantini che riesce a caricare di pura inquietudine anche il proprio canto, con effetti aderenti alle infinite sfumature del personaggio (questo ad ulteriore riprova dell’assoluta padronanza del ruolo, indubbiamente fra i cavalli di battaglia della cantante piemontese). Nel primo Atto il soprano risulta estremamente attento ai minimi dettagli – la spasmodica ricerca della presunta rivale, il gesto della mano per simulare il fruscio delle vesti – ed arriva a esprimere sia passione che gelosia, attraverso una vocalità ricca di colori. Nel secondo Atto, pur avvertendo lievi forzature negli acuti più impervi, il risultato complessivo è emotivamente coinvolgente e in “Vissi d’arte” la Fantini regala profondi accenti di commozione, anche sulla scorta dell’omaggio a Vincenzo La Scola e Salvatore Licitra, i due tenori recentemente scomparsi ai quali il soprano ha voluto dedicare la sua prova.
Nell’interpretazione dell’aria, Norma Fantini ha inoltre ricevuto il giusto supporto dell’orchestra, che ne ha seguito con estrema attenzione il profilo canoro, creando al contempo l’attesa necessaria per il dispiegarsi del celebre brano. Accanto alla Fantini, nel ruolo di Mario Cavaradossi, il tenore spagnolo Jorge De León convince per temperamento e doti vocali, esibiti con maestria, per quanto ancora in fase di affinamento. La salita sugli acuti appare quasi sempre piuttosto sicura e rischiara alcune zone timbricamente cupe, evidenti soprattutto nella parte centrale del registro. Forse anche per il piglio giovanile, il suo Cavaradossi ci è sembrato più uno bimbo spaurito, pronto a rifugiarsi tra le braccia della volitiva Floria, piuttosto che un uomo sicuro e maturo: interpretazione a nostro parere pienamente adeguata al personaggio, e che tuttavia ne penalizza la componente passionale, qui soggiogata dalla prepotente femminilità della protagonista. Tale passione viene però recuperata sul piano vocale, nei non infrequenti slanci canori di cui De León dà prova in più occasioni. Soprattutto in “Recondita armonia”, il tenore espande la propria vena melodica ed allo stesso tempo si mostra pronto a sottolineare con raffinatezza i passaggi più importanti di testo e musica (colpisce in particolare la resa della frase “l’ardente amante mia” che il tenore cesella con inaspettata delicatezza).
Qualche perplessità l’ha invece suscitata Giorgio Surian, uno Scarpia sempre corretto nel fraseggio e nel dosaggio delle qualità vocali, che però sul livello interpretativo crea un barone del tutto privo di cattiveria, di quella lacerazione interiore che ne fa una delle figure più affascinanti del repertorio operistico. Complice anche una certa assenza di volume, nel secondo Atto (che pure è l’Atto in cui dovrebbe dominare) Surian non riesce ad imporsi, né scenicamente né vocalmente, ed il suo canto risulta privo di potenza, come spesso di sfumature. Anche nel “Te Deum” (indubbiamente il culmine emotivo dell’intera opera) l’effetto generale è deludente: in questo caso nemmeno il coro viene in aiuto, segnalandosi per un apporto poco incisivo e che rimane in secondo piano, mentre in teoria dovrebbe rubare la scena al crudele capo della polizia pontificia. Se il palcoscenico sembra gremito sul piano visivo, non lo è affatto su quello vocale. E se il Finale riesce ugualmente a sortire il suo effetto, lo fa esclusivamente in virtù della musica e delle soluzioni registiche.
Pure l’entrata in scena di Scarpia, altro coup de théâtre di magistrale fattura, non convince: con un gesto vocale di assoluta potenza, il barone dovrebbe far tremare tutti i personaggi, come l’intero pubblico. Invece Surian sfrutta più che altro l’effetto dell’orchestra e fa risaltare il momento precedente, la scomposta frenesia che invade il palcoscenico alla notizia della sconfitta di Napoleone Bonaparte, rappresentata con allegro turbinio (sia vocale che coloristico) dall’ottimo coro di voci bianche del Teatro Massimo. Ad enfatizzare la buona riuscita di questo passaggio, l’essenziale apporto di Roberto Abbondanza, un Sagrestano davvero efficace, mestierante di razza, energico e pulito nelle inflessioni vocali, senza mai scadere nella macchietta fine a se stessa. Giudizi lusinghieri anche per l’Angelotti di Alessandro Svab (tragico al punto giusto) e per il pastorello della giovanissima Raffaella Gandolfo, che fuori scena riesce ad incantare per la morbidezza del suo breve intervento. Meno significativi, ma comunque buoni, lo Sciarrone di Francesco Vultaggio, lo Spoletta di Carlo Bosi ed il carceriere di Vincenzo Raso. Il pubblico ha dimostrato caldo entusiasmo, tributando a tutti gli interpreti (e in particolare alla Fantini) applausi e riconoscimenti.
Foto Franco Lannino – Teatro Massimo di Palermo