Bergamo, Teatro Donizetti – Bergamo Musica Festival 2011
“MARIA DI ROHAN”
Melodramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano
Edizione critica a cura di Luca Zoppelli
Musica di Gaetano Donizetti
Maria MAJELLA CULLAGH
Riccardo SALVATORE CORDELLA
Enrico MARCO DI FELICE
Il Visconte di Suze GIUSEPPE CAPOFERRI
Armando di Gondì DOMENICO MENINI
De Fiesque ALEKSANDAR STEFANOSKI
Aubry FRANCESCO CORTINOVIS
Un famigliare di Chevreuse FRANCESCO LAIONO
Orchestra e Coro Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti
Direttore Gregory Kunde
Maestro del Coro Fabio Tartari
Regia Roberto Recchia
Scene e costumi Angelo Sala
Disegno luci Claudio Schmid
Nuova produzione e nuovo allestimento Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti ed Accademia Teatro alla Scala
Bergamo, 7 Ottobre 2011
Il Bergamo Musica Festival 2011 prosegue la riproposta di titoli donizettiani con questa “Maria di Rohan”, dopo un’assenza di 54 anni dal palcoscenico orobico. Una produzione dagli esiti esattamente speculari rispetto a quelli ottenuti dalla scorsa Gemma di Vergy. Mentre il precedente spettacolo ha avuto il grande pregio di nobilitare un’opera di medio livello, grazie ad un cast e, nella fattispecie, ad una protagonista eccellenti, questo lavoro del Donizetti maturo, costituito da musica squisitamente rifinita e da un libretto drammaticamente congruo, viene invece affossato da cantanti complessivamente impari alle richieste dei rispettivi ruoli.
Majella Cullagh, nei panni di Maria, possiede un timbro vocale poco accattivante, spesso querulo ed un’emissione che tende a schiacciarsi ed a rimanere aspra in gran parte dell’estensione. La voce, di volume non debordante, corre poco in teatro ed i registri acuto e sovracuto sono una miniera di suoni piccoli e retrocessi nella gola. Un vero peccato, giacché la musicalità è molto buona, come pure il temperamento che infonde al personaggio, anche tramite un fraseggio curato e ad una dizione insolitamente brillante per un’anglosassone.
A suo sfavore, tutta la scena d’ingresso, con la doppia cavatina di difficile esecuzione che la lascia stremata sul finire, dove tenta di attaccare un re sovracuto, interrotto immediatamente per piombare nell’ottava bassa (malcapitato incidente che non tarda a provocare la sonora contestazione di qualche villano fra il pubblico). Le cose migliorano nel secondo atto, dove la Cullagh si ripresenta fiera e volitiva, mentre al terzo, risulta patetica e carezzevole nell’aria “Havvi un Dio”, seguita da un “Benigno il cielo arridere” un po’ impreciso nella tenuta ritmica e nell’intonazione.
Accanto a lei, il Riccardo di Salvatore Cordella, cui spetta il raperonzolo d’oro per il peggiore in scena. Intendiamoci, la voce ha bella pasta, discreto volume e, soprattutto, riesce a mantenersi sempre morbida nonostante un’emissione incostante e scivolosa (terribile la perigliosa salita all’acuto nell’aria, che ha fatto sussultare gli spettatori), ma sono lo stile donizettiano e la più basilare musicalità a mancare totalmente, così da tramutare qualsiasi intervento del tenore in una gnagnera da osteria.
Ed ecco che, mirabile dictu, i danni minori provengono da Marco Di Felice (Enrico), il quale pare essere l’unico capace di proiettare i suoni in maschera e di dare la sensazione di un’emissione quantomeno sana. Certo, l’apertura di certi estremi acuti e, più in generale, il colore chiaro del suo strumento, fanno affiorare il sospetto che si tratti di un tenore corto, piuttosto che di un vero baritono, ma si tratta di considerazioni soggettive. La resa del suo personaggio è comunque abbastanza efficace, seppur raggiunta mediante un canto ruvido e poco elegante.
Lo stuolo delle “parti di fianco” si disimpegna con onore, mentre il coro dà l’impressione di essere stato preparato con grande cura e si conferma in continuo miglioramento di produzione in produzione.
Gregory Kunde, noto tenore, qui al suo debutto europeo come direttore d’orchestra, compie un atto d’amore nei confronti dei colleghi cantanti, dirigendo la partitura con contenuta enfasi (ed a questo proposito, la bellissima sinfonia pena un poco quanto a dinamiche, specie nella prima parte), privilegiando la cantabilità delle singole sezioni strumentali e confermandosi un buon musicista, sul podio come sul palco.
Lo spettacolo ideato da Roberto Recchia e con le scene ed i costumi di Angelo Sala, appare esteticamente gradevole: tutto il palcoscenico è permeato di tessuti e plastiche volte a simulare un’enorme massa d’acqua che, precipitando verso un gorgo alquanto minaccioso, trasporta e sommerge sempre di più, di atto in atto, tutti gli arredi e la grande cornice attraverso la quale si muovono i personaggi dell’opera. A detta del regista, tale concezione scenica vuole simboleggiare il rapido ed inevitabile susseguirsi delle vicende dei protagonisti che li porteranno, ciascuno a suo modo, al reciproco annientamento. Foto per gentile concessione del Teatro Donizetti di Bergamo