Komische Oper Berlin: “Der Freischutz”

Berlino, Komische Oper, Stagione Lirica 2011/2012
“DER FREISCHUTZ” (Il franco cacciatore)
Opera romantica in tre atti, libretto di JohannFriedrich Kind, dal Gespensterbuch di Johann August Apel e Friedrich Laun.
Musica di Carl Maria von Weber
Max  VINCENT WOLFSTEINER
Agathe INA KRINGELBORN
Kaspar CARSTEN SABROWSKI
Ännchen JULIA GIEBEL
Eremit  ALEXEY TIHOMIROV
Ottokar  GUNTER PAPENDELL
Kilian CHRISTOPH SPATH
Kuno  HANS-PETER SCHEIDEGGER
Coro e Orchestra della Komische Oper Berlin
Direttore Patrick Lange
Maestro del Coro André Kellinghaus
Regia Calixto Bieito
Scene Rebecca Ringst
Costumi Ingo Krugler
Luci Franck Evin
Nuova produzione Komische Oper Berlin
Berlino, 4 febbraio 2012
L’immagine della foresta buia e spaventosa è radicata profondamente nella coscienza collettiva tedesca e l’opera romantica di Weber, in cui Max il cacciatore/tiratore prima della gara più importante della sua vita, che gli permetterà di sposare la sua amata, per avere la sicurezza della vittoria chiede aiuto al  Diavolo, è considerata da molti la prima opera “nazionale” tedesca. Questa storia sarà sembrata a Callixto Bieito un materiale molto ricco su cui lavorare, riguardo amore, sangue, paura ed Inferno, tanto più che  questi  elementi vengono generalmente trattati secondo un’ottica  molto sentimentale.
Bieito già dall’Overture mostra la sua visione dell’opera. Non vediamo nulla di folkloristico, ma una scena di guerra e violenza nella foresta. Quest è il contrappunto di Bieito alla bella musica di Weber – gli abietti impulsi animaleschi di gente in lotta nell’oscurità. In aggiunta alla prima scena, il regista mostra un Max spogliato della sua dignità e posizione sociale per aver perso una gara di tiro a fuoco con il giovane Kilian. Se ci fossero stati meno rumori ingiustificati provenienti dalla scena, il pubblico avrebbe goduto meglio della direzione sfumata ed equilibrata di Patrick Lange.
Prevale invece la visione di Bieito che punta sempre di più a condurre  il pubblico al cuore della tenebra, il Wolfschlucht. Il regista ha fortemente ridotto i dialoghi, pur riuscendo a creare delle interazioni convincenti fra i personaggi, grazie al contatto fisico ravvicinato fra di essi. Perciò Kaspar si piega su Max, ranicchiato e mezzo nudo, e con pochissime parole lo convince a raggiungere il maledetto Wolfschlucht, dove forgerà  le pallottole stregate. L’azione scenica in questo Freischütz è incessante e questo sicuramente crea un ritmo teatrale notevole e impressionante..
In questa famosa scena,  con la sua musica selvaggia ed evocativa, Bieito evita del tutto la presenza di  Samiel (il cacciatore nero, del Diavolo/Oscurità),  che diventa una donna che subisce violenza. Dalla sua vagina,  Kaspar estrae le pallottole. Ovviamente siamo in presenza di una visione che sovverte l’ortodossia, ma che si rifà al famigerato MacBeth di Düsseldorf in cui gli eserciti usciano da una vagina aperta. Un vecchia “nuova” trovata, che in questo caso ci può far pensare che il regista fosse a corto di idee per evocare il cuore della tenebra nel cuore degli uomini? Aveva intenzione di fare una dichiarazione su potere demoniaco e violenza verso la donna? O ha semplicemente deciso di traumatizzare  il pubblico? Siamo più propensi a quest’ultima opzione, visto che questo momento non aveva nessun collegamento al resto dell’opera.
Bieito ambienta tutto ciò in una scenografia essenziale ma efficace: un fondale trasparente che occupa tutto lo spazio scenico, illuminato atmosfericamente da diverse angolazione, delle colonne pendenti mobili che evocano degli ambienti e degli  alberi spogli. I personaggi entrano sulla scena dal fondo della platea, di solito con un riflettore puntato sul pubblico.  Anche questa non è certo una novità, ma comunque un’idea che cerca davvero di “illuminare” il pubblico.  In ogni caso, le lucie create da  Franck Evin sono state un reale ed efficace complemento  alle belle scenografie di Rebecca Ringst, in particolare nella prima scena del terzo atto quando,  la foresta scompare e si svolge una specie di scena onirica fra Agathe e Max, basata su sesso, caccia e conquista. Agathe canta Und ob die Wolken, ai piedi di Max su quella che sembra essere la cima di una montagna di nuvole (Wolken) che fluttuano tutt’attorno. Se l’atmosfera non fosse così evocativa, l’esito sarebbe stato di pessimo gusto. Il regista sa quel che fa ed è dotato di fromidabile maestria nel realizzare le sue idee.
Perciò la fine dell’opera suscita più domande su Bieito che sull’opera stessa.  Agathe e le sue damigelle d’onore e amiche fanno la loro apparizione nella foresta e le loro risate rauche non evocano di certo le “solite” fanciulle leziose con i fiori fra i capelli. Agathe stessa acquista maggiore spessore in questo contesto. Si arriva così al momento in cui  l’ultima pallottola  di Max, controllata dal Diavolo, colpisce Agathe, ma –colpo di scena!– non la uccide! La ghirlanda nuziale che ha sul capo devia la pallottola, proprio come il mistico Eremita dice nel primo atto, e dopo i saggi consigli dell’Eremita, Max promette che si comporterà da bravo ragazzo e tutti vivranno felici e contenti. Questo è quello che indica il libretto, ma non quello che si è visto sulla scena.
Invece Bieito ci presenta un Max  che, seminudo,  grugnisce e  balza sulla scena uccidendo Agathe e altre persone. Il coro deride l’Eremita e, brandendo i loro fucili, uccidono anche Max. Perché no? D’altra parte le opere non sono sempre delle tragedie dove devono morire tutti?
Bieito sceglie di lavorare in contrasto con la musica e spesso in profondissimo contrasto con il contenuto drammaturgico  dell’opera di Weber. Una scelta che però non sempre è controllata anzi, porta all’uso e abuso di  trucchi triti e ritriti in una incoerenza che  indebolisce quelli che sono i profondi e ricchi  contenuti di Der Freischütz che un regista dovrebbe invece fare emergere.  La compagnia di canto hanno mostrato una notevole sensibilità interpretativa,  non così sul piano della vocalità. Qui sono emersi limiti abbastanza evidenti. Eccezion fatta per un Ottokar ben cantato da Günter Papendell e due bei versi delle damigelle, il canto solo raramente era al livello della prestazione dell’orchestra o di ciò che la musica di Weber ha scritto. Il soprano Ina Kringelborg è riuscita a creare la giusta atmosfera nelle battute di apertura di Und ob die Wolken, ma i piani stentati nel registro  acuto hanno vanificato le sue buone intenzioni. Il coro, molto impegnato nell’azione nell’azione scenica, si trovava in evidenti difficoltà a tenere il passo con l’orchestra e ai ritmi incalzanti di Lange. Il celebre  Jägerchor dell’atto terzo è stato piuttosto deludente.
Foto per gentile concessione della Komische Oper Berlin