Il Quartetto Ysaÿe alla IUC di Roma

Roma, Aula Magna  dell’Università La Sapienza- Stagione concertistica 2012 della IUC
Concerto del Quartetto Ysaÿe
Violino, Guillaume Sutre
Violino Luc-Marie Aguera
Viola Miguel Da Silva
Violoncello Yovan Markovitch
Johannes Brahms: Quartetto in la minore op. 51 n. 2
Gabriel Fauré : Quartetto in mi minore op. 121
Franz Schubert : Quartetto n. 14 in re minore «La Morte e la fanciulla» D810

Il ritorno a Roma del “Quartetto Ysaÿe” è contrassegnato da alcune delle più celebri opere per quartetto, in un percorso evolutivo che lega il Tardo Romanticismo ai primi anni del XX secolo. “A questi quattro angeli musicisti sono debitore di una delle più pure emozioni musicali della mia vita”; sono le parole spese da Yehudi Menuhin all’ascolto dell’ensemble definendo in un’unica frase l’essenza di una formazione che dal 1984, anno della sua fondazione, esprime la peculiare profonda sensibilità per l’equilibrio sonoro. In un programma di tale levatura, le insidie sono sempre dietro l’angolo. Soprattutto se ad aprire il concerto è il Quartetto op. 51 n. 2 di Brahms, dove ogni elemento ha un “vestito su misura” che un musicista può indossare soltanto con un controllo perfetto della sincronizzazione e, contemporaneamente, una visione d’insieme della tessitura armonica. L’attacco del primo movimento tradisce un’iniziale tendenza allo scollamento dei ruoli che provoca un senso di smarrimento recuperato poi dal Quasi minuetto e dall’Allegro assai, che a fronte di un’acquisita sicurezza nell’esecuzione risultano decisamente più ricchi di sfumature raggiungendo quella completezza archittettonica che contraddistingue il più classico dei romantici. Ciò che da onore al Quartetto Ysaÿe è Schubert ed in particolare il magnifico secondo movimento, a partire dall’esposizione del tema di “Der Tod und das Mädchen” in forma di corale, commovente. Peccato la leggerissima nota finale del primo violino che fatica a trovare la giusta intonazione. Bazzecole in confronto alla perfezione del terzo e quarto movimento in cui tutti e quattro gli archi battono il loro cuore all’unisono. Dalla potenza espressiva di Brahms e Schubert alla soavità dell’ultima fatica di Faurè, un testamento musicale segno del profondo senso spirituale del compositore, dove a farla da padrone è l’idea di abbandono alla morte non come destino incombente e soffocante, ma serena visione del raggiungimento del traguardo ultimo dell’uomo, la completezza dell’aldilà. A chiudere il concerto un etereo bis dall’Andantino del Quartetto di Claude Debussy.