Verona, rassegna l’altro teatro 2012: The best of Parsons Dance

Verona, Teatro Camploy, L’altro teatro 2012
THE BEST OF PARSONS DANCE
In programma: Round my world, Swing shift, Caught
Coreografie David Parsons
Musiche e arrangiamenti: Zoe Keating, Kenji Bunch, Robert Fripp, Dave Matthews Band.
David Parsons Dance Company:
Eric Bourn, Sarah Braverman, Mellissa Ullm, Christina Ilisige, Jason Macdonald, Ian Spring, Elena D’Amario
Luci Howell Binkley
Verona, 28 febbraio 2012
Al teatro Camploy di Verona la famosa compagnia americana Parsons Dance ha regalato al pubblico una bellissima festa di danza. Nelle quattro composizione coreografiche di Parsons la danza è stata davvero tutto: il concetto, il tema, il soggetto e la protagonista dello spettacolo. Nel primo brano “Round my world”, su musica di Zoe Keating (2012), il coreografo, partendo da un’idea di globalizzazione, gioca con il cerchio inventando per questo tema infinite variazione. Qui davvero la fantasia di Parsons non ha limiti. In questa coreografia si parte e si finisce con il cerchio formato dagli artisti di tutta la compagnia. Il cerchio globale dell’inizio si divide in mini elementi, assoli, che si sostituiscono continuamente uno con l’altro. Nella seconda parte del brano, il cerchio viene disegnato e moltiplicato dalla gestualità dei vari duo. All’interno di ogni coppia, ogni danzatore porta nelle braccia sfere che alla fine si riuniranno. La conclusione dell’incredibile varietà dei cerchi separati è l’apoteosi di un cerchio integro.
Il secondo brano era “Swing Shift”  su arrangiamento musicale di Kenji Bunch (2002). Nel programma di “Swing Shift” era riportato: “è basato su tango e danze popolari”. In realtà, non c’era niente di popolare, né tantomeno di tango. Protagonista era il flusso continuo di danza in stile post-modern negli ensemble, nei duo e negli assoli espressi con gioia e felicità. Otto danzatori, quattro donne e quattro uomini, non erano, nel vero senso del termine, gli interpreti, ma il loro integrarsi, veri innamorati della danza e della vita.
È stato eseguito anche il famoso “Caught” (musiche di R. Fripp) (1982), che mi sembrava meno interessante degli altri per la sua realizzazione più ardua. Però, l’idea di questo pezzo si è dimostrata valida: liberarsi di qualsiasi limite, anche se ostacoli come la forza di gravità sono per definizione insuperabile. Questa illusione di libertà totale, possibile soltanto nello spazio scenico, è stata raggiunta grazie all’utilizzo di una luce stroboscopica che catturava il danzatore Steven Vaughn nei momenti culminanti dei propri salti, strumento indispensabile per l’illusione scenica. Alla fine, la stessa  luce stroboscopica spenta faceva sembrare Vaughn come atterrato nello stesso cerchio di luci da cui partito. Questo è stato l’unico pezzo di tipo “illusionistico”.
Nelle coreografie di Parsons la danza si presenta come una forma di vita completa e intensa. La sua coreografia nonostante  l’intensivo riempimento dei movimenti, degli infiniti giri e salti, dà l’impressione di una naturalezza eccezionale. A trasmettere questa impressione al pubblico è stato merito degli artisti della compagnia. Sono pochi, soltanto otto, ma riescono a creare l’illusione di una compagnia numerosissima. Non sono perfetti nei movimenti ma con la loro spontaneità, la loro gioia e leggerezza nel superare gli ostacoli tecnici, con la loro energia di vivere, conquistano letteralmente il pubblico, che li ha richiamati più volte sulla scena.