“L’Amico Fritz” a Trieste

Trieste, Teatro “Verdi”, Stagione Lirica 2012
“L’AMICO FRITZ”
Commedia lirica in tre atti su libretto di P. Suardon [Nicola Daspuro], dal romanzo omonimo di Émile Erckmann e Pierre-Alexandre Chatrian. Musica di Pietro Mascagni
Editore Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
Suxel  ALEXIA VOULGARIDOU
Fritz LUCIANO GANCI
Beppe IRINI KARAIANNI
David PAOLO RUMETZ
Federico MAX RENE’ COSOTTI
Hanezò ANDREA VINCENZO BONSIGNORE
Caterina  LETIZIA DEL MAGRO

Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste
Direttore  Fabrizio Maria Carminati
Maestro del Coro Paolo Vero
Regia Daniele Salvo
Scene e costumi Lorenzo Fonda
Luci Nino Napoletano
Nuovo allestimento
Trieste, 23 maggio 2012

Se programmando “La Traviata” si ha certezza di riempire il teatro e proponendo “L’amico Fritz” invece no
, una ragione c’è. Come per tante altre arti dello spettacolo, ci sono titoli famosi e altri meno. Per carità, in alcuni casi, sarà anche dovuto a qualche sfortunato debutto che ne ha inficiato  il resto dell’esistenza ma, spesso e volentieri, certi titoli sono sconosciuti o poco amati perchè sono FRANCAMENTE brutti. “L’amico Fritz” di Pietro Mascagni è uno di questi.
I cultori dell’opera, e di questa in particolare, non me ne vorranno se confesso che, a parte un paio di pagine del secondo e nel terzo atto, ho trovato questa lavoro di una banalità e di una pochezza disarmante. Non sono nessuno, non ho certo una profonda cultura musicale e penso da sempre che ci sia un pubblico per tutto ma, in questo caso, io non sono proprio lo spettatore adatto per questo titolo. La trama è talmente esile da sembrare farsesca, musicalmente ci sono momenti alti ma tanti sembrano riempitivi e inutili lungaggini. Il libretto è così datato da rischiare di creare crisi diabetiche negli spettatori, insistendo troppo su “cuor e amor” e simili leziosità.
Per fortuna, siamo di fronte ad una produzione nuova e di tutto rispetto ad opera della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi di Trieste.  In primis per la bellissima cornice spazio temporale nella quale lo scenografo e costumista Lorenzo Fonda ci trasporta: con un impianto fisso fatto di praticabili per movimentare i piani registici, una balaustra e due pannelli inclinati bianchi, speculari, all’altezza delle prime quinte, crea spazi di fantasia che noi pubblico possiamo riempire a piacimento. Molte suggestioni ci vengono dai fondali dipinti (deliziosa l’idea di citare e riprodurre spazi che sono al di fuori della sala del Teatro Verdi: la Sacchetta con la tipica lanterna, qualche gruppo scultoreo, oppure un ciliegio in fiore). Tutto è estremamente elegante e raffinato. Lo stesso per i costumi che sembrano provenire da un normalissimo negozio d’abbigliamento ma che assumono tutta l’importanza e il significato di un costume di scena. Complimenti! Bellissimo allestimento aiutato, incrementato, sottolineato, esaltato dalle magistrali luci di Nino Napoletano, libero di non dover rispondere a particolari situazioni temporali e di poter “giocare” con le luci come si dovrebbe, ideando e suggerendo. La regia di Daniele Salvo è molto misurata, riempie i vuoti musicali e del libretto, regalando agli interpreti gesti e situazioni curate e adeguate.
Anche la parte musicale è di ottima fattura: a iniziare dalla direzione preziosa del Maestro Fabrizio Maria Carminati che fa vivere l’Orchestra della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi assieme al suo respiro, al suo gesto ed al suo travolgente modo di condurre. Attento a non sovrastare le voci, regala colori e volumi alla sua orchestra appena è libero di farlo ma lo fa con grande cura e pienamente conscio dell’effetto travolgente, ad esempio dell’Intermezzo, sul pubblico.
Nel ruolo del titolo abbiamo potuto sentire un tenore virile che ci piacerebbe ascoltare in qulche opera verdiana dove possa dare sfogo al volume del suo canto e alla potenza della sua voce. Dotato di buona presenza scenica siamo sicuri che Luciano Ganci è un nome che speriamo di sentire su palcoscenici più importanti per la bella linea di canto e la carismatica presenza. Abbiamo trovato Alexia Volgaridou molto più a suo agio nel ruolo di Suzel che come Mimì nella “Boheme” precedentemente presentata dal Verdi: vocalmente molto sicura in questo ruolo, ci regala un registro acuto più proiettato e pieno e sa essere convincente senza esasperare troppo il carattere “sempliciotto” del suo personaggio. Bene il David di Paolo Rumetz, vocalmente a posto ma interpretativamente un po’ troppo statico, forse per volontà del regista di crearne una figura seria e di riferimento. Adeguati il Federico di Max René Cosotti, la Caterina di Letizia Del Magro. Una nota in più per l’Hanezò di Andrea Vincenzo Bonsignore e una in meno per il Beppe di Irini Karaianni  che vocalmente non ci convnce del tutto (e poi che bisogno c’era di mettere en travestì questo personaggio e, in questo allestimento, di bardarlo come Alvaro, mezzo Corsaro?!?).  Sala mezza piena (o mezza vuota) pubblico non proprio entusiasta ma neanche scontento…insomma meglio in palco che la sala!
Foto Fabio Parenzan – Trieste