Roma, Teatro Villa Pamphilj: “Serata Spellbound”

Roma, Teatro Villa Pamphilj, Invito alla danza 2012, 22° edizione della rassegna internazionale di danza e balletto
Serata Spellbound
Coregrafia di  Mauro Astolfi  su musiche di  Autori vari
Interpreti: Maria Cossu, Marianna Ombrosi, Sofia Barbiero, Giuliana Mele, Gaia Mattioli, Alessandra Chirulli, Michelangelo Puglisi, Giacomo Todeschi, Mario Laterza.
Luci: Marco Policastro
Roma, 31 luglio 2012
Avete mai visto una compagnia che sa danzare a memoria? Che potrebbe esibirsi ad occhi chiusi? È proprio il caso della Spellbound Contemporary Ballet. Nove magnifici danzatori. Così raro da vedere. Belli, armoniosi, sinuosi e tecnicamente impeccabili. Uomini e donne allo stesso livello. Puliti, rigorosi, un po’ freddi ma sensibili, strumenti perfetti nelle mani del loro coreografo. Eseguono le complicatissime evoluzioni senza sforzo alcuno con tale facilità. Mai una sbavatura, un indecisione, un traballamento. È questo che impressiona di questa compagnia. Mauro Astolfi usa i loro corpi, li piega in ogni dove, sperimenta all’eccesso creando movimento su movimento, anzi sequenze infinite di movimenti: loro generosamente rispondono. Tutto è articolato, tutte le parti del corpo partecipano come se vi fosse una eco continua; i danzatori da successioni di passi in forma di Solo arrivano ad intricarsi ed incastrarsi come per magia e a liberarsi come se non si fossero mai sfiorati. Meccanismi oliati a dovere, perfetti È il primo pezzo, Lost for Words, discorso sull’incomunicabilità, sull’inutilità della parola, sulla fatica di produrre parole, e discorsi ed energie per comprendersi. In effetti la frenesia che il movimento produce richiama questo sforzo. I danzatori si incontrano, a volte scontrano, quasi sempre con approcci decisi e un po’ violenti. Forse manca un evoluzione. Dopo 20 minuti di movimento spasmodico ti chiedi se accadrà qualcosa di nuovo. Lo schema è scontato, i danzatori entrano camminando, danzano ed escono camminando. Non sembra voluto visto che si ripete per tutta la serata. Peccato che non vi siano mai pezzi di danza corale. Quando ci sono l’occhio si rilassa e può godere, si calma il respiro. Solo sul finale in preda ad una frenesia, come automi mimano un discorso parlato a due a due, gesticolando, guardandosi, non capendosi, la chiave di volta del brano. L’accompagnamento musicale non aiuta, suoni, rumori, parole, solo per attimo una melodia che non sembra variare l’approccio al movimento. Mauro Astolfi ha un suo stile, frutto di una storia, un passato da insegnante hip hop prima a coreografo contemporaneo poi. Ha inventato questa compagnia, l’ha tirata su, è una sua creatura, l’ha fatta danzare molto e si vede. Creare passi e sequenze non sembra essere un problema. Di materiale ve ne sarebbe, la scrittura è ricca. Quel che sembra mancare in questa serata è un idea, una concezione più ampia, un sostegno anche più puramente coreografico, che vada oltre il movimento e i passi. La seconda parte, Bachiana, potrebbe rappresentare lo spunto giusto, una musica che ha una costruzione precisa, Bach, un ingegnere delle note che sa essere toccante, che permette di giocare non solo col movimento ma anche sugli schemi, sull’aspetto corale, sulla coreografia vera è propria. Qualcosa in effetti cambia ma non è abbastanza. Il movimento è solo leggermente più respirato ma gli schemi sono i medesimi. Astolfi non sembra avere bisogno di Bach. Il finale arriva improvviso, inaspettato, da un passo a due. Sembra più esaurito il discorso che terminato. Poi una strana sequenza di ringraziamenti, un po’ sciatta, che rende gli interpreti più umani ma è un peccato dopo tanto rigore. C’è comunque un grande potenziale in questi corpi, in questi artisti del movimento, ed anche in Mauro Astolfi. Energie da incanalare. I prossimi passi li attendono. Foto © Marco Bravi