Bergamo, Teatro Donizetti – Bergamo Musica Festival 2012
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Rodolfo JAVIER TOMÉ FERNÁNDEZ
Mimì YOLANDA AUYANET
Marcello LUCA GRASSI
Musetta GABRIELLA COSTA
Colline GIUSEPPE NICODEMO
Schaunard DONATO DI GIOIA
Benoit/Alcindoro MAX RENÉ COSOTTI
Parpignol GABRIELE COLOMBARI
Un sergente dei doganieri PAOLO BERGO
Un doganiere NICOLÒ DONINI
Un venditore ambulante DAVID ANTONIO SANTOS
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
Coro Lirico Veneto
Piccoli Cantori San Bortolo di Rovigo
Direttore Stefano Romani
Maestro dei cori Giorgio Mazzucato
Regia, scene e costumi Ivan Stefanutti
Produzione Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti, Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Comunale di Padova, Teatro dell’Opera Giocosa di Savona
Bergamo, 21 Ottobre 2012
Una Bohème cinematografica, quella ideata dal regista Ivan Stefanutti per questa coproduzione del Bergamo Musica Festival insieme al Teatro Sociale di Rovigo, al Teatro Comunale di Padova e al Teatro dell’Opera Giocosa di Savona. Stefanutti ambienta la vicenda negli anni trenta del secolo scorso e, curandone sia scene che costumi, riesce nell’intento di donare allo spettacolo quella patina sbiadita, ma affascinante, tipica delle pellicole in bianco e nero del cinema d’essai. L’assenza pressoché totale e certamente programmatica di bianchi accesi e di neri profondi, lascia che ogni sfumatura possibile di grigio tinga il palcoscenico del Teatro Donizetti con effetto sorprendente. L’attenzione ai cromatismi emerge con particolare evidenza negli insoliti palloncini color perla che Parpignol porta in scena, mentre le luci livide e fioche paiono provenire da un cigolante proiettore dell’epoca. Come scenografo, Stefanutti è abile nell’arricchire gli ambienti principali, così come il libretto li descrive, di spazi aggiuntivi, utili allo svolgimento di alcune controscene: il ballatoio che conduce alla soffitta dove vivono i quattro amici, oppure, al terzo quadro, il retro dell’osteria dove giovani marinai si intrattengono con donnine allegre. In sostanza, uno spettacolo che si pone visivamente agli antipodi rispetto alla coloratissima e rutilante Bohème zeffirelliana in scena, proprio in questi giorni, al Teatro alla Scala di Milano.
Una realizzazione scenica di tal fatta avrebbe meritato una resa musicale altrettanto valida, situazione che non si è potuta verificare a causa di una direzione problematica. Stefano Romani non è stato in grado di ottenere dall’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta e dal Coro Lirico Veneto una lettura quantomeno corretta della partitura pucciniana, a giudicare da tutta una serie di attacchi erratici, sfasamenti nelle dinamiche e sbilanciamenti timbrici (calamitosa, al riguardo, tutta la parte del Café Momus).
Yolanda Auyanet ha creato una Mimì dignitosa dal punto di vista musicale (ed in tale contesto, non si trattava di facile impresa), cantando con emissione sicura e con un timbro abbastanza piacevole. Tuttavia, per una voce che la natura vorrebbe confinata al repertorio lirico-leggero, la scrittura vocale del personaggio e la densità dello strumentale portano il soprano spagnolo a forzature nel registro acuto che si traducono in suoni spiacevolmente aperti e poco fermi nelle modulazioni: un peccato, giacché il medium della voce è assai timbrato e molto ben proiettato, mentre le note più gravi risuonano alte e naturali. Garbatamente composta ed un poco matronale negli atteggiamenti, la Mimì della Auyanet ha comunque convinto, seppur con qualche riserva.
Javier Tomé Fernandéz (Rodolfo) non possiede una voce di grande appeal, ma non si può dire che canti male, a parte una certa tendenza a costringere nella gola molte delle note centrali. Il registro acuto, al contrario, produce suoni piuttosto ampi (tutti riusciti, tranne il do della “speranza”, sacrificato più per emozione che per imperizia tecnica), ciononostante il tenore è apparso, più degli altri membri del cast, in seria difficoltà nel mantenere la quadratura ritmica durante la performance, sortendo così un’interpretazione appena sufficiente.
Più riuscite le caratterizzazioni di Luca Grassi nei panni di un Marcello discretamente cantato e simpaticamente dinamico sulla scena, di Donato Di Gioia (Schaunard) che si è dimostrato il più disinvolto in campo, nonostante un canto che, in alcuni momenti, ha pericolosamente sfiorato il parlato e del Colline di Giuseppe Nicodemo, capace di sospendere la “vecchia zimarra” in un momento musicale delizioso, realizzato tramite una linea vocale morbida e controllata. Gabriella Costa ha fatto esprimere Musetta con un timbro alquanto asprigno, ma l’interprete ha saputo rendere il duplice aspetto del personaggio in modo lodevole, risultando coinvolta ed accorata durante il finale. Funzionali le parti di fianco e molto ben preparato il coro dei Piccoli Cantori San Bortolo di Rovigo. Foto per gentile concessione del Bergamo Musica Festival “Gaetano Donizetti”