“È stato Rossini a cercare me…” Intervista al soprano Lella Cuberli

Il soprano Lella Cuberli nasce a Austin in Texas per poi  studiare a Dallas e perfezionarsi a Milano. Interprete raffinata del repertorio belcantistico italiano, ha legato il suo nome ad autori come Mozart, Bellini, Donizetti e soprattutto Rossini, prendendo parte attiva alla cosiddetta “Belcanto renaissance” degli anni ’80. L’abbiamo incontrata a Milano in una caldissima giornata di luglio, a pochi giorni dall’inizio del Rossini Opera Festival: inevitabilmente abbiamo finito per parlare di Rossini, ma non solo…
Signora Cuberli, partiamo dalla sua attuale occupazione: le piace insegnare canto?
Quando ero in carriera, mi sono detta “mai, e poi mai insegnerò”! Non perché la ritenessi una cosa “brutta” ma non pensavo di avere sufficiente pazienza. Una volta trovatami davanti alla prima richiesta di una master class, verso la fine degli anni ’80, ho però accettato. Confesso, con l’avvicinarsi della master class, di esser stata assalita dai dubbi sul cosa dire a questi ragazzi: io ho sempre cantato usando la tecnica, oltre ai miei mezzi e alla musicalità, ma non mi sentivo preparata a spiegare ciò che io facevo ad un’altra persona. Mi sono detta semplicemente “provo a dare una mano a queste persone in base alla mia esperienza”: bisogna considerare che l’insegnamento è una grandissima responsabilità! Quando ho smesso di cantare e la mia attività di insegnante si è infittita, ho incominciato a prendere la cosa molto seriamente: erano molti, e col tempo moltissimi, i cantanti che mi chiedevano consigli. Io li ascoltavo e dicevo quello che secondo me non andava: se sentivo un suono non corretto, io lo riproducevo correttamente… ma mi rendevo conto che come cosa non fosse molto scientifica (ride). Così, parallelamente, ho anche deciso di approfondire la mia conoscenza della tecnica. Ho incominciato a tirar fuori tutti i trattati che avevo sull’insegnamento del canto: oltre a leggere e studiare, provavo prima di tutto su me stessa quello che dicevano. Ho dapprima letto Juvarra, che mi è da subito sembrato pratico e succinto; poi ho conosciuto gli scritti di Franco Fussi che spiegava anche un punto di vista fisiologico, per avere una maggiore conoscenza dell’apparato fonatorio. Incominciando da questi, posso dire di essere diventata una “piccola specialista” della tecnica. A questi miei approfondimenti, ho unito poi il mio orecchio e il mio istinto… sì, anche l’istinto: ritengo che per capire a fondo un cantante occorra mettersi nei panni dell’altra persona per capire quello che sente e percepisce. Oggi è diventata una grande passione: aiutare, offrire una mano e dare il contribuito derivato dalla mia esperienza. Lo sento come un dovere: è inutile che rimangano a me i miei anni di esperienza, senza che producano nuovi risultati. Mi piace insegnare cosa sia la tecnica, il canto che sono i punti di partenza: e poi, via via, lo stile, la musicalità…
Quali sono le difficoltà maggiori che riscontra nei ragazzi con cui viene a contatto durante le sue master class?
In base alla mia esperienza, la master class ormai consiste nell’insegnare come si respira. Idealmente, la master class dovrebbe essere un incontro in cui un cantante arriva, sa quello che fa e canta: poi io dovrei intervenire in merito allo stile, ai portamenti, al ritmo… ma non è così. Devo quindi incominciare da come si canta, dalle cose che dovrebbero essere basilari. Con quelli più ferrati tecnicamente, provo a far cantare un’aria per introdurre il discorso del fraseggio e dello stile, ma in gran parte dei casi, manca praticamente tutto oggigiorno, mi spiace dirlo: allora diventa un lavoro molto impegnativo per me, ma prima di tutto per loro. In cinque giorni non si riesce ad insegnare a cantare: però quello che puoi insegnare è quanto manca per raggiungere un determinato obbiettivo.
Lei invece come si è avvicinata al canto?
Mio marito dice che sono nata per cantare! Io a undici anni ho cantato al matrimonio di mia sorella: a quei tempi, era una cosa che nessuno doveva spiegarmi, lo facevo e basta. Si può dire che abbia incominciato da lì. Col passare del tempo, oltre alla mia dote naturale, ho aggiunto lo studio, la tecnica… però confesso di aver preso maggior consapevolezza della tecnica solo quando ho iniziato ad insegnare. Ci sono poi persone che sono nate per cantare: certo, hanno bisogno magari di essere indirizzate, consigliate… e mi capita anche oggi di sentire qualche voce, magari ad un concorso, di buona impostazione che ha solo bisogno di qualche consiglio e accorgimento: si sente subito. Come diceva Gigli, tanto per dire un nome poco conosciuto (ride), fino a ventisei anni –credo di ricordare- si può cantare con la natura, poi con la tecnica: se tu non sai assolutamente quello che fai, ti rovini. Ed è una cosa che abbiamo visto purtroppo molte volte.
Ci fu qualche registrazione d’opera che la colpì particolarmente?
A dire il vero, nessuna. Quando ero giovane ero musicalmente molto… snob. Io ero una musicista: ho cominciato come pianista. Il primo disco operistico che ho acquistato è stato un recital mozartiano di Elisabeth Schwarzkopf: avevo forse quattordici o quindici anni. Cantavo sì, ma l’opera… non mi attirava per niente!  Anche oggi, ancora prima che cantante io mi considero musicista: infatti, se chiedi ai miei alunni, io sono severissima dal punto di vista musicale (ride)! La passione per l’opera è maturata gradualmente, conoscendo mio marito: avevo poco più di vent’anni. È un’arte indubbiamente molto complessa la lirica… c’è il testo, la musica, l’orchestra, la regia… e richiede molto approfondimento.
Sempre all’inizio dei suoi studi, c’è stata qualche artista che l’ha particolarmente ispirata?
Certamente, anche se appariranno forse un po’ scontate. Joan Sutherland che mi ha colpito per la sua tecnica (sudavo freddo quando ascoltavo la Sutherland!); Elisabeth Schwarzkopf perché sentivo una grande affinità musicale con lei; e poi naturalmente Maria Callas che era un’artista totale, grandissima musicista e cantante.
Con Rossini è stato “amore a prima vista”?
Sì, posso dire di sì… però è stato Rossini a cercare me (ride)! È stato indubbiamente il compagno della mia vita artistica: non so nemmeno più quante opere ho fatto di Rossini. Io ho cantato soprattutto il “Rossini serio”(ma anche qualche opera come Il turco in Italia) che, per il mio gusto e la mia indole, è il Rossini più bello. Ad un primo approccio, Rossini potrebbe sembrare molto superficiale: ho sentito dire anche da professori d’orchestra che Rossini è banale… per loro, forse! Rossini è un vero e proprio poeta degli affetti e conosceva molto bene la voce umana: lui stesso, del resto, era anche cantante. Dipende, come sempre, dall’esecuzione: una frase di Semiramide o del Barbiere può suonare banale come sublime.
Nel suo recital dedicato a Rossini, Bellini e Donizetti sotto la direzione di Bruno Bartoletti, lei ha inciso la grande scena di Ermione: le sarebbe piaciuto interpretare il ruolo in teatro?
Francamente non ci ho mai pensato a cantare tutto il ruolo. Questo brano di Ermione però mi ha molto intrigato per il recitativo che viene interrotto, poi ripreso ecc. Per me è una grande passione il recitativo belcantistico. Nel recitativo sta tutto il dramma: all’interno di questa struttura, tu puoi realmente trovare il tuo modo di interpretare. Io ho cercato di eseguire in questo album, fra gli altri brani, il Rossini più disparato, una scelta che esulava dalle cose proposte solitamente.
Che idea si è fatta della vocalità di Isabella Colbran?
Senza testimonianze sonore, è un po’ difficile. Credo comunque occorra immaginare una voce molto ampia nella zona centro-grave. Di ruoli Colbran ne ho eseguiti molti, a volte anche con fatica perché, ad esempio, La donna del lago è molto bassa per un soprano. Io penso si possa immaginare una voce simile a quella di Marilyn Horne.
Fra i numerosi ruoli rossiniani di cui è stata interprete quale preferisce?
Senza dubbio Semiramide: per me è stato il personaggio più importante. Mi piaceva tanto cantarlo quanto recitarlo in scena. Se non fossi stata una cantante sarei stata attrice. Dei ruoli che ho affrontato, Semiramide mi è sempre sembrato il più intrigante.

Se invece parliamo di Bellini, lei è stata Adalgisa nell’edizione di Norma a Martina Franca: a Norma non ha mai pensato?
Altroché… era il mio sogno. Sì, è vero: mi fu proposto anche di inciderla… in disco forse sarebbe potuta funzionare come cosa ma per una rappresentazione in teatro non avevo la voce sufficientemente ampia… più semplicemente non avevo la voce giusta! Bisogna sapere anche rinunciare.
Fra i suoi partner chi ricorda in modo particolare?
Ma con Rossini eravamo noi donne ad avere eravamo noi donne ad avere la meglio! (ride)
Be’, Rockwell Blake, Samuel Ramey, Chris Merritt… 
Certo, tutti! E tutti bravissimi! Ricordo che con Chris Merritt cantai per la prima volta Tancredi a New York. E Chris, come me del resto, era sconosciuto: a quelle recite venne acclamato come il “giovane Melchior” perché, oltre alla voce amplissima al centro, riusciva ad arrivare al mi bemolle. A noi sembrava veramente una cosa incredibile, eppure lo faceva. Tutti artisti eccezionali… Io adesso ti svelo un mio parere: gli interpreti del repertorio belcantistico sono persone diverse da chi affronta un repertorio verista. So che verrò criticata per questo, ma credo siano persone più raffinate, gentili… be’, basti questo… perché il nostro repertorio non richiede una persona “sanguigna”, richiede un determinato tipo di sensibilità, per cui esclude un certo tipo di persone. E così io ricordo la maggior parte dei colleghi con cui ho lavorato.
E le partner?
Senz’altro Marilyn Horne che è stata come una grande sorella per me; mi ha consigliato e aiutato moltissimo… ma non solo me, anche Chirs Merritt. Poi Martine Dupuy: eravamo veramente amiche per la pelle. È stata la compagna dei miei più grandi successi, da Capuleti, Semiramide, Donna del lago e tanto ancora… E poi Lucia Valentini Terrani con cui ho comunque lavorato poco: ricordo SemiramideLa donna del lago a Trieste… Credo siano sufficienti questi nomi.
Le càpita mai di ascoltare le sue registrazioni?
No, nel modo più assoluto: non mi piace. Anche se qualche volta sono costretta. Ricordo che quando a Torino venne presentato il DVD di Elisabetta regina d’Inghilterra fui invitata: la proiezione venne fatta su uno schermo gigante e la cosa mi mise un po’ a disagio. Però, durante la visione del DVD, dicevo fra me e me “Sai che non ero niente male?”. Comunque, in genere, non mi ascolto perché io so già cosa sentivo dentro: sono emozioni irripetibili.

A chi non conoscesse la sua voce cosa farebbe ascoltare?
La Contessa ne Le nozze di Figaro che incisi con Daniel Barenboim: quella è la mia voce, quella sono io.
C’è stato un ruolo di cui non era particolarmente convinta ma che poi si è decisa a cantare?
È difficile che io abbia accettato un ruolo di cui non fossi pienamente convinta. Guardavo lo spartito e decidevo subito, magari anche istintivamente, se cantarla o meno. C’è però una cosa che non dovevo fare e però ho fatto: Donna Anna…
Perché?
Per l’ambiente in cui mi sono trovata a dover lavorare. Non era un ruolo proibitivo per me, ma lo era la situazione che si è venuta a creare. Una scelta sbagliata ma a posteriori, quindi.
Che musica ascolta solitamente?
Jazz… in particolare John Coltrane e Mahalia Jackson.
Niente opera?
No, quella ormai fa parte del mio lavoro: se ascolto opera lo faccio per studio.
Ha qualche hobby?
Mi piace molto leggere se può essere considerato un hobby: non leggo però romanzi, amo leggere per tenermi informata.
Che rapporto ha con la tecnologia?
Diciamo che me la cavo: vorrei essere più brava però ho amici giovani che mi aiutano e mi insegnano. Sono convinta che occorra stare al passo coi tempi. In internet c’è di tutto e di più: se voglio ascoltare un cantante o un mio alunno vado e ascolto. (Estrae un cellulare di ultima generazione) Con questo non ho ancora fatto amicizia: è come regalare la Ferrari ad uno che non sa guidare! Ammetto di essere un po’ pigra con la tecnologia… potrei studiare di più…
Il suo stato d’animo attuale?
Mah… io sono fondamentalmente ottimista: però è innegabile che il mondo, ora come ora, non vada molto bene. Io cerco di andare avanti, aiutare i miei alunni e dare il mio contributo all’evoluzione di queste persone: non c’è niente come il canto che possa fare questo. Se tu sai cantare, ti evolvi: questo è il mio parere.
Un consiglio ad un giovane che sta per intraprendere lo studio del canto lirico?
Se tu hai tutto quello che occorre per fare il cantante –ed è parecchio!- la voce, la tecnica, la costanza nello studio ecc., allora va’ e canta; se, pur possedendo tutte queste qualità, oltre al canto, hai un altro interesse, allora segui quest’altro interesse. Il mondo dell’opera è troppo difficile, da tutti i punti di vista.