Brescia, Teatro Grande: “Ernani”

Brescia, Teatro Grande – Stagione d’Opera e Balletto 2012
“ERNANI”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma “Hernani” di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Ernani RUDY PARK
Don Carlo ALESSANDRO LUONGO
Don Ruy Gomez de Silva ENRICO GIUSEPPE IORI
Elvira MARIA BILLERI
Giovanna NADIYA PETRENKO
Don Riccardo SAVERIO PUGLIESE
Jago GIANLUCA MARGHERI
Orchestra de “I Pomeriggi Musicali”
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Direttore Antonio Pirolli
Maestro del coro Antonio Greco
Regia Andrea Cigni
Scene Dario Gessati
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Fiammetta Baldiserri
Nuovo allestimento
Coproduzione dei Teatri del Circuito Lirico Lombardo:
Ponchielli di Cremona, Grande di Brescia, Sociale di Como, Fraschini di Pavia
Brescia, 16 dicembre 2012

La stagione lirica 2012 del Teatro Grande di Brescia non avrebbe potuto concludersi più felicemente: la messa in scena dell’“Ernani” di Giuseppe Verdi, firmata da Andrea Cigni e supportata dalla direzione di Antonio Pirolli ha dato vita ad uno spettacolo nel complesso memorabile, premiato da numerose ovazioni da parte di un pubblico in visibilio.
L’opera che fa parte della produzione verdiana risalente ai cosiddetti “anni di galera” è caratterizzata da una vicenda contorta ed improbabile; la musica, tuttavia, contiene pagine di grande fascino e segna uno dei primi accostamenti del compositore ad una tipologia di scrittura (qui invero acerba) che tende a valorizzare il singolo personaggio, evidenziandone i moti dell’anima.
Il regista livornese Andrea Cigni realizza un allestimento magnifico, in cui l’estrema eleganza delle forme si sposa ad una minuziosa ricerca del dettaglio, sia nelle scene di Dario Gessati che nei costumi di Valeria Donata Bettella. L’impianto scenico si compone di alcune pareti concave, suddivise in sezioni o pannelli che, scorrendo morbidamente su di un binario circolare, vanno a formare un habitat capace di evocare l’immagine di uno scrigno prezioso. Tali pareti sono interamente scolpite in bassorilievo di stile rinascimentale (che poi è l’epoca del dramma) secondo la tecnica del retablo spagnolo e mostrano ogni sfumatura possibile del colore oro, il tutto sapientemente illuminato dal light design di Fiammetta Baldiserri. Ma c’è di più: le pale che compongono questa struttura rivelano, posteriormente, l’incisione di alcuni passi dell'”Hernani” di Victor Hugo, frammenti di testo che divengono interattivi rispetto alla narrazione, grazie ai ritagli di luce che, di volta in volta, evidenziano singole parole o frasi. I meravigliosi costumi di foggia cinquecentesca sono realizzati con stoffe pregiate: il frusciante taffetà arancione che riveste il coro, ad esempio, emana riflessi baluginanti in grado di catturare lo sguardo dello spettatore, affascinandolo come se si trovasse davanti ad una tela del Tiziano. I movimenti scenici, poi, sono ben amministrati, con punte di dinamismo nella figura di Silva, che il regista immagina perennemente mosso da un’ansia febbrile. Elvira, al contrario, vittima impotente di un destino che la opprime, trascorre la maggior parte del suo tempo all’interno della piattaforma circolare, i cui confini delimitano il raggio d’azione della protagonista in una sorta di dorata detenzione. Particolarmente efficaci sono le disposizioni con cui Cigni gestisce il coro, in particolar modo all’apertura del quarto atto, dove il tableau vivant escogitato dal regista sortisce un effetto strepitoso. Altro pregio di questa direzione è il suo snodarsi attraverso la storia, rimanendo fedele alle indicazioni del libretto, salvo optare, nel finale, per una risoluzione della vicenda che getta nuova luce sul personaggio di Elvira: spirato Ernani, la donna, anziché accasciarsi moribonda sul corpo dell’amato, si dirige determinata e minacciosa verso Silva, brandendo il pugnale con cui, presumibilmente, otterrà la sua vendetta. Uno spettacolo non solo degno, ma, in definitiva, persino entusiasmante nell’equilibrio raggiunto dalla somma dei diversi elementi.
Parallelamente all’aspetto scenico, la direzione di Antonio Pirolli trae il massimo possibile dalla partitura e lo fa con una maestria encomiabile. Al di là della musicalità ineccepibile che governa il suo gesto, Pirolli infonde teatralità e passione all’opera, “rifacendo il look” anche alle pagine meno ispirate; va da sé che le dinamiche scelte risultano pertinenti ed in perfetta coesione con i tempi teatrali.
Nei panni di Elvira, Maria Billeri compone un ritratto del personaggio assolutamente stupefacente. La parte risulta assai ingrata dal punto di vista prettamente vocale: dopo l’aria di sortita, irta di difficoltà varie (intervalli scomodissimi in primis) e seguita da una delle cabalette meno “cantabili” che il cigno di Busseto abbia scritto, al soprano si richiede una vocalità spesso grave, poco sfogata in alto, se non fosse per i numerosi do acuti che Verdi piazza qua e là durante i concertati. A ciò si aggiunga che, come personaggio, Elvira non può vantare particolare appeal, rimanendo per lo più ascritta al topos della fanciulla inerme ed incapace di mutare il proprio fato. Nonostante premesse di questo genere, il soprano pisano riesce a dominare il ruolo grazie ad una preparazione da manuale, sostenuta da un’emissione solida che le consente pregevoli dinamiche di ogni tipo: assottigliamenti, rinforzi, piani, tutto passa con lodevole sicurezza, già a partire dalla splendida “Ernani involami” ottimamente resa mediante una cavata sontuosa ed il cui recitativo evidenzia una brunita scolpitura del fraseggio che rende l’entrata elettrizzante. La voce della Billeri è ampia, vibrante, di bella qualità e si mantiene omogenea nel colore in tutta la gamma. Le discese alle note gravi, nell’aria come nel resto dell’opera, risultano sempre a fuoco e, anzi, costituiscono forse l’aspetto più seducente del suo strumento, assieme ad un registro centrale sonoro e vellutato. Durante la cabaletta “Tutto sprezzo che d’Ernani”, variata con garbo nella ripresa, la cantante si produce in una serie di picchiettati intonatissimi che, pur strizzando l’occhio a certo virtuosismo, vengono affrontati con assennata cautela. Emozionante, poi, il terzetto finale, nel quale il soprano s’inserisce con un la acuto che sprizza faville e cui fa seguito un imperioso intervento (la frase “quale d’Averno demone ha tali trame ordite”, cesellata con dizione adamantina ed accentata con piglio furioso, fa letteralmente sobbalzare sulla sedia!), nonché alcuni si bemolle di notevole efficacia. In aggiunta, la recitazione scevra da manierismi, unitamente ad un incedere autorevole sulla scena, concorre a completare una performance totalmente convincente.
Il baritono Alessandro Luongo non possiede in natura una voce che abbia tutta la caratura necessaria per affrontare il repertorio verdiano, chiaro com’è il timbro; tuttavia la linea di canto, nobile e rifinita, calza alla perfezione rispetto alla scrittura di Don Carlo e l’emissione si mantiene piacevolmente uniforme per tutta la durata dello spettacolo. L’aria “Oh, de’ verd’anni miei” rappresenta un momento di sospensione quasi elegiaca all’interno dell’opera e Luongo ne accarezza la cullante melodia con la classe tipica di chi ha ben compreso lo stile del compositore.
Il basso Enrico Giuseppe Iori impersona un Silva scenicamente credibile (l’apparato trucco/parrucco del suo personaggio è senz’altro uno dei migliori); ciononostante l’emissione tende a scompattarsi di tanto in tanto, mostrando qualche tremolìo poco gradevole. In ogni caso, sebbene priva dell’allure vocale che tale ruolo richiederebbe, la prova del cantante si risolve più che discretamente.
Il tenore coreano Rudy Park (Ernani) ha gran voce, non c’è che dire. E voce, per giunta, caratterizzata da un timbro scuro, quasi fosco, di innegabile valore. Dell’intera performance, solo l’aria “Come rugiada al cespite” pare miniata con una certa cura, mentre, già dalla successiva cabaletta, la musicalità grossolana, nonché l’impostazione generale del canto, tutto volto all’esibizione di un registro acuto squillante e voluminoso, ampliano la distanza che separa la concezione che il tenore ha di Verdi da Verdi stesso. In questo senso, l’interazione con gli altri membri del cast, più impegnati a sfumare e a declinare la propria interpretazione in virtù delle ragioni sia musicali che teatrali, sembra piuttosto sbilanciata. Sufficiente l’apporto dei comprimari e molto buona sia la prova dell’orchestra che quella del coro.

2 Comments

  1. Tito Baldan

    Condivido totalmente la recensione!
    Recita splendida ed emozionante come non ne vedevo da tempo!
    Meravigliosi tutti e soprattutto Maria Billeri con una voce che veramente emoziona!
    Unica pecca il tenore troppo “sopra le righe”ma non si puo’ pretendere di avere tutti al top! Grazie al Teatro Grande per questo splendido spettacolo!

  2. anita Benedini

    anche io sono in accordo con ciò che scrive il sig. Dellabianca, sempre preciso nei suoi commenti. Ho ascoltato numerose rappresentazioni dell'”Ernani involami” di varie artiste e devo dire che la Sig.ra Maria ne esce a testa alta proprio perchè unisce tecnica, vocalità, ritmo e anche teatralità. Tutti bravi. Mi sento di essere un po’ più clemente col tenore se non altro per la sua volontà di entrare nella parte e perchè son convinta che l’esperienza e il tempo daranno la competenza necessaria alla sua importante voce.Comunque grazie al teatro per uno spettacolo finalmente emozionante.

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