Genova, Teatro Carlo Felice: “Turandot”

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione lirica 2012/2013
“TURANDOT”
Dramma lirico in tre atti, libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, da Carlo Gozzi. Finale completato da Franco Alfano
Musica di Giacomo Puccini
La Principessa Turandot DANIELA DESSÌ
L’Imperatore Altoum MASSIMO LA GUARDIA
Timur RAMAZ CHIKVILADZE
Il Principe Ignoto (Calaf) MARIO MALAGNINI
Liù ROBERTA CANZIAN
Ping FRANCESCO VERNA
Pang ENRICO SALSI
Pong MANUEL PIERATTELLI
Un Mandarino FABRIZIO BEGGI
Il principe di Persia PASQUALE GRAZIANO
Prima Ancella ANNARITA CECCHINI
Seconda Ancella SIMONA PASINO
Orchestra Coro e Coro di Voci bianche Teatro Carlo Felice
Direttore Donato Renzetti
Maestro del Coro Marco Berrini
Maestro del Coro di Voci bianche Gino Tanasini
Scene Luciano Ricceri
Costumi Elisabetta Montaldo Bocciardo
Luci Luciano Novelli
Coreografia Giovanni Di Cicco
Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Genova, 27 dicembre 2012
Considerato il momento di crisi del Teatro Carlo Felice di Genova, la scelta di riproporre Turandot di Giacomo Puccini si rivela azzeccata su più fronti: da un lato la fastosa scenografia, ideata da Luciano Ricceri, è di proprietà del teatro stesso; dall’altro, l’estremo capolavoro pucciniano rappresenta un titolo di indubbia attrattiva che riesce finalmente a restituire l’immagine di un teatro quasi esaurito in ogni ordine di posto. Rispetto all’ultima ripresa primaverile, il cast è stato rivoluzionato, così da indurre chi già aveva applaudito la coppia Casolla – Palombi, ad assistere al debutto di Daniela Dessì nel ruolo della “principessa di gelo”. Il soprano genovese sarebbe dovuto essere accompagnato dal compagno di scena e di vita Fabio Armiliato nel ruolo del Principe Ignoto; tuttavia un male di stagione ha costretto Mario Malagnini a sostituire il tenore in extremis. In sala erano inoltre presenti telecamere 3D che hanno registrato la performance per la produzione di un DVD.
La scena di Ricceri presenta una reggia di Pechino, tradizionale e dorata, su due piani che, tenuto conto anche del livello del proscenio, contribuiscono a rendere l’idea di una società gerarchizzata al cui vertice sta l’imperatore, quindi la corte ed i soldati, infine il popolo. Turandot, invece, che nel primo atto appare al livello più alto per decretare la morte del principe di Persia, nel corso del secondo canta per lo più dal piano centrale, mentre la sua metamorfosi avviene a livello del proscenio, quasi a voler simboleggiare il  progressivo divenire sempre più umana della protagonista nel corso dell’opera.
Daniela Dessì ritrae una principessa certamente credibile. La voce corposa e sonora ben si adatta alla tessitura del complesso personaggio, anche se talvolta gli acuti estremi paiono un po’ forzati. Nel complesso il soprano di casa offre un’ottima performance, applauditissima dal pubblico, nonostante qualche piccola sbavatura sui tempi musicali.
Il Calaf di Mario Malagnini è notevole dal punto di vista vocale: la facilità negli acuti ed un timbro squillante, anche se non potentissimo, lo rendono adatto al ruolo del tenore pucciniano. Peccato, però, che a tanta generosità musicale non corrispondano, forse per il poco tempo di prove a disposizione, un’interpretazione scenica e mimica coinvolgente: sul suo viso non vediamo l’amore folle per la principessa, il terrore degli enigmi, la gloria della vittoria. Anzi, spesso Malagnini si pone a braccia conserte ad osservare quel che accade in scena da spettatore aggiunto, per nulla intimidito, per esempio, dal servo del boia che agita una spada lucente verso di lui nel finale del primo atto. Applausi a scena aperta dopo “Non piangere Liù” ed autentica ovazione al termine dei tre celeberrimi “vincerò”.
Nel ruolo di Liù, Roberta Canzian ha offerto una prestazione convincente sotto ogni punto di vista. Dotata di voce generosa e raffinata ha ritratto la schiava innamorata con garbo e delicatezza, sempre attenta a restituire un ritratto dell’ultima eroina pucciniana studiato nel profondo; decisamente toccante l’ultima aria con la quale lei e, metaforicamente, Puccini abbandonano la scena.
Convincenti i tre ministri Ping, Pong e Pang, impersonati rispettivamente da Francesco Verna, Manuel Pierattelli ed Enrico Salsi che riescono a rendere quel misto di simpatia e cinismo che caratterizza le tre maschere.
Ramaz Chikviladze realizza il vecchio Timur con correttezza e convince non solo per potenza vocale ma anche per l’imponenza della figura. Decisamente sonoro il Mandarino di Fabrizio Beggi, al contrario dell’Imperatore (Massimo La Guardia) che molti faticano a sentire dal momento che canta in posizione piuttosto sfavorevole nella zona più profonda della scena. Corrette le ancelle di Turandot, Annarita Cecchini e Simona Pasino. Buona prova del coro, specie nel primo atto, diretto da Marco Berrini ed ottima la prova delle voci bianche di Gino Tanasini.
Nel complesso apprezzabile la direzione di Donato Renzetti, sebbene talvolta l’orchestra sovrasti le voci dei solisti ed il coro di donne fuori scena del terzo atto (su “mio fiore mattutino”) parta una battuta in ritardo.
Meravigliosi i costumi storici di Elisabetta Montaldo Bocciardo ed estremamente efficaci le luci di Luciano Novelli che contribuiscono a rendere le macabre atmosfere del primo atto, la luminosità della corte riunita nel secondo e la notte di “stelle che tremano d’amore” nella terza parte.
La storica regia di Giuliano Montaldo, ripresa da Fausto Cosentino, risulta lineare, non particolarmente complessa ma efficace, fatta eccezione per la sezione in cui Turandot rivela al principe il suo amore, che appare eccessivamente statica e non particolarmente coinvolgente, mentre il finale, con più di centocinquanta elementi sul palcoscenico, è senza dubbio l’immagine migliore per salutare con gioia e sventolio di bandiere il teatro gremito.