Joyce Di Donato: “Drama Queens”

New York, Carnegie Hall
Il Complesso Barocco
Direttore e violino Dmitry Sinkovsky
Mezzosoprano Joyce Di Donato
Antonio  Cesti: “Intorno all’idol mio” ( Orontea);  Domenico Scarlatti: Sinfonie da Tolomeo e Alessandro; Claudio Monteverdi: “Disprezzata regina”   (L’incoronazione di Poppea); Geminiano Giacomelli: “Sposa son disprezzata” (Merope); Antonio Vivaldi: Concerto in re minore per violino, archi e b.c. RV 242 Giuseppe Maria Orlandini: “Da torbida procella” (Berenice); Johann Adolph Hasse:”Morte, col fiero aspetto” (Antonio e Cleopatra); George Frideric Handel: “Piangerò la sorté mia” (Giulio Cesare), Passacaglia, Act II  (Radamisto); Giovanni Porta: “Madre diletta” (Ifigenia in Aulide); Domenico Scarlatti: Sinfonia in do maggiore; George Frideric Handel:  “Brilla nell’alma un non inteso ancor” (Alessandro). Bis: Reinhald Kaiser: “Lasciami piangere” (Fredegunda);  Giuseppe Maria Orlandini: “Col versar barbaro il sangue” (Berenice); George Frideric Handel: “Brilla nell’alma un non inteso ancor” (Alessandro).
New York, 18 November 2012
Avendo seguito la carriera del mezzosoprano Joyce DiDonato quasi dal momento in cui ha lasciato il young artist programme della Houston Grand Opera, ed avendola sentita sui palcoscenici di San Francisco, Barcellona, New York, Parigi, in un repertorio che abbraccia fermamente sia il barocco che il bel canto, Richard Strauss e Jake Heggie, non ho mai dubitato che le mancasse nulla quanto a sicurezza di se’. Eppure l’artista che camminava sul palco della Carnegie Hall il 18 novembre emanava una sorta di autorità regale nuova per lei, accentuata dai capelli acconciati in su (qualcosa di simile a una corona) ed un abito affascinante, quasi “da favola” di Vivienne Westwood.
Il suo programma si è incentrato sul “Drama Queens” (anche il titolo del suo nuovo album, altamente consigliato), un titolo ammiccante per una seria e ponderata disamina della “regalità” in situazioni estreme, che vanno dall’Ottavia di Monteverdi de L’Incoronazione di Poppea a Cleopatra, come creata sia da Händel che da Hasse. Più di quanto non sia già stata una caratteristica dell’artista in passato, la Di Donato sul palco ha “recitato” ogni aria, delineando gesti di eccezionale grazia e potenza, immedesimandosi pienamente in ogni personaggio – in maniera perfettamente adeguata ad un programma che sottolinea il dramma delle regine.
La Di Donato ha sviluppato questo programma da concerto per due anni, lavorando a stretto contatto con Il Complesso Barocco, con il quale ha goduto di una lunga e proficua collaborazione. A partire da “Intorno all’idol mio” dall’Orontea di Cesti, ha presentato un’ampia gamma di stati d’animo contrastanti ed altrettanti colori vocali, facendo largo uso del suo registro acuto, che sconfina nel territorio del soprano. Questa varietà d’espressione la distingue da alcune delle sue attuali colleghe, che preferiscono concentrarsi quasi esclusivamente sul virtuosismo o su una certa “lamentosità”: la Di Donato ci hanno offerto entrambe le cose, mantenendo vivo il nostro interesse e l’entusiasmo, in parte perché non si era mai certi di quello che sarebbe arrivato con il brano seguente. La sua abilità tecnica le consente di affrontare ogni genere di coloratura, trilli e melismi, nonché una sicura messa di voce, che ha utilizzato con effetto un paio di volte, ed ha pure saggiamente utilizzato un colore più “bianco” per trasmettere debolezza e disperazione. Oltre a questo, ha scavato profondamente nel testo senza mai perdere il valore delle parole e di consegna offrendo intuizioni psicologiche di inaspettata profondità. Possiede la straordinaria capacità di far rivaleggiare un’aria di Händel con un monologo di Shakespeare, e quando le viene affidato un brano con l’intrinseca gamma emozionale del lamento di Ottavia “Disprezzata regina,” lei è al suo apice espressivo, languida in un momento e subito dopo infuriata di rabbia.
Anche se alcune arie in programma sono ben note al pubblico di New York, poche sono davvero associate al nome della DiDonato. Le eccezioni sono “Sposa son disprezzata”, che ci è tramandata nel Bajazet di Vivaldi, ma qui accreditata al suo vero autore, Geminiano Giacomelli, che l’ha scritta per la sua opera Merope, e l’altra era il suo bis conclusivo, la sezione del da capo dell’aria di Alcina “Ma quando tornerai” (dall’omonima opera di Haendel, che lei ha inciso con Il Complesso Barocco). Gli altri brani in programma erano davvero sconosciuti a quasi tutti. Tra questi ricordiamo “Madre diletta, abbracciami,” dall’Ifigenia in Aulide di Giovanni Porta, e due arie dalla Berenice di Giuseppe Maria Orlandini, scoperta solo di recente, non catalogata, in un archivio in California. Entrambi sono dei sensazionali numeri che consento all’esecutore di fare sfoggio di virtuosismo e passione, e sembrano destinati ad entrare nel repertorio concertistico anche di altri cantanti – ammesso che se ne trovino in grado di rendere adeguatamente il virtuosismo richiesto.
Guidato da Dmitry Sinkovsky al violino, Il Complesso Barocco ha offerto diversi interludi strumentali – durante alcuni dei quali la DiDonato è rimasta seduta sul palco come una Regina attorniata da musicisti di corte. (Gli uomini dell’ensemble indossavano calzini rossi in tinta con il suo abito.) Sinkovsky si è rivelato particolarmente abbagliante nel Concerto in re minore per violino, archi e Continuo (RV 242) di Vivaldi. Si è mosso con eccitante velocità e precisione durante i passaggi più difficili.
L’abito della Westwood, ingegnosamente creato con un’ampia gonna abbinata, maniche staccabili, uno scialle, e diversi altri elementi combinabili, ha aggiunto enorme fascino all’effetto scenico creato dalla DiDonato. Ha però anche quasi rischiato di cadere, ulteriore incentivo a rimanere sul palco durante l’ultimo brano strumentale, la Sinfonia in do maggiore di Domenico Scarlatti. Con tipica modestia, ha detto dal palco che, per i suoi bis, avrebbe fatto a meno delle solite uscite ed entrate: “Abbiamo capito che posso indossare l’abito”, ha detto. “Camminarci dentro è un’altra storia.”
Col proseguire della serata, l’entusiasmo del pubblico cresceva sempre di più. Le singole arie hanno avuto delle isolate standing ovation, ed alla fine, tutta la Carnegie Hall si è alzata in piedi ad applaudire con grida incessanti di “Brava”. Si è avuta l’impressione generale che un’importante artista stava operando ad un nuovo livello, e che qualcosa di storico stava accadendo. Come ha osservato un mio amico, è solo questione di tempo prima che gli appassionati di musica cominceranno a mentire affermando di essere stati presenti anche loro, a questa indimenticabile serata. Foto © Steve J.Sherman