Gigliola Frazzoni (1927-2016):”La fanciulla del West” (quarta parte)

IL SUCCESSO
Di ritorno dal Sudafrica, in dicembre andai a Palermo al teatro Massimo Politeama
per Manon Lescaut e qualche settimana dopo inaugurai la stagione lirica al Regio di Parma il 26 /12/ 1951 con Andrea Chénier. Con me c’erano Vasco Campagnano, Enzo Mascherini e dirigeva De Fabritiis. Il critico della Gazzetta di Parma era soddisfatto e definisce lo spettacolo “un buon Chénier”: di me dice che sono una “Maddalena di Coigny passionalmente vibrante nel drammatico e commotivamente effusa nel patetico”.
Altri spettacoli di una certa importanza ricordo nel luglio 1952 la Cavalleria al teatro Nuovo di Milano. A ferragosto feci un concerto a Venezia in un posto insolito: una piattaforma galleggiante nei pressi di Rialto e in ottobre cantai Butterfly al teatro Puccini di Udine. Con me c’era il tenore Ettore Babini, il baritono Giovanni Buttironi, il mezzo soprano Clara Foti, per la direzione del m° Nello Santi.

Venni poi scritturata a Zurigo per una Butterfly che ebbe un buon successo. Lo spettacolo era inserito nell’ambito della “Stagione d’Opera Italiana” molto seguita dagli svizzeri che avevano completamente esaurito la grande sala del teatro Kongresshaus». La stampa resta folgorata dall’arte della giovane bolognese. Così si espresse il Neue Zürcher Nachrichten  del 10 ottobre 1952.  “La parte principale di Cio-Cio-San era sostenuta da un’interprete magnifica tanto nel gioco scenico che nel canto: Gigliola Frazzoni. Per questa grande artista si può affermare quanto già Puccini ebbe a dichiarare una volta per Rosina Storchio: «La sua arte è così vera, così delicata, così convincente, che il pubblico ne rimarrà certamente soggiogato». E bisogna ammettere che è impossibile non entusiasmarsi a questo canto magnifico, estremamente educato, che passa da un sussurro di un pianissimo all’eroico forte, in una incomparabile messa di voce, ed è impossibile rimanere impassibili dinanzi ad una recitazione profondamente sentita, nei giusti limiti, e squisitamente femminile”.
Il giorno seguente il Tages-Anzeiger, dopo aver evidenziato la “voce tenorile veramente sorprendente, anzi travolgente” di un giovane tenore debuttante, Nino Scattolini, così scrive del soprano: “Altrettanto dotata di qualità e ancor più di qualità sceniche, gli stava accanto Gigliola Frazzoni, un’artista di gran classe, che certo non aveva l’ambizione di sembrare una leggiadra e graziosa figurina del lontano Oriente, con il suo tipo appariscente, proprio delle donne del mondo occidentale. Con ciò vogliamo dire che è stata una “Butterfly” perfettamente rispondente alle esigenze di Puccini che cercava un soprano lirico-drammatico dalla grande sensibilità tragica, anche se tali esigenze sono in contrasto con i quindici anni della piccola “farfalla” giapponese. In ogni caso, questa “Butterfly” di Gigliola Frazzoni, per chiarezza e bellezza di canto, per appassionato immedesimarsi nell’azione, per magnifica espressione mimica, può essere annoverata fra le migliori interpretazioni pucciniane”.
Nel 1952 arriva come un ciclone la Companhia Lirica Italiana in Portogallo per una temporada de ópera. Si riversa nel teatro di Porto e di Lisbona che hanno lo stesso nome, Coliseu. Pittoreschi i manifesti che ricordano molto quelli spagnoli per la corrida. Al centro, a caratteri cubitali il titolo dell’opera e sotto, dove ci sono i nomi dei matadores, troviamo i cantanti. Gigliola, definita “grande cantora” – “glória lirica de Italia” – “alma imortal do canto”, fa la parte del leone cantando Butterfly e Pagliacci a Porto, e Butterfly insieme a Bohème in quel di Lisbona. La stampa portoghese nel recensire gli spettacoli si allinea a quanto già dicono da altre parti con termini molto elogiativi come “a sua voz de soprano lirico de rara beleza, de puro timbre”e ancora “a voz é linda, especialmente no registo agudo, perfeita musicalidade e óptimo poder histriónico”.
«Mi chiamarono anche in Italia, a Pisa, dove insieme a Carlo Bergonzi cantai Andrea Chénier, che avevo già fatto al Manzoni di Bologna prima della trasferta africana, poi fui scritturata a Palermo per Cavalleria, quindi al Nuovo di Milano e in tante altre città. Sempre nel ’52 andai a Ravenna, al teatro Alighieri, a fare uno Chénier che fu a corrente alternata, infatti nel primi due atti il pubblico era un po’ freddino, allora io e il baritono parmigiano Bersellini, abbiamo pigiato sull’acceleratore e nel terzo e quarto è venuto giù il teatro: abbiamo bissato tutti e due le romanze. Nel 1953 feci un importante debutto a Foggia con Siberia per commemorare Umberto Giordano a cinque anni dalla morte e nel cinquantesimo della prima dell’opera. Poi arrivò l’invito di ritornare in Sudafrica per altri sei mesi. Non esitai. Ero felice di tornare in quel paese, dove ormai mi conoscevano e dove avrei incontrato dei cari amici. Nel contratto venivo scritturata per Bohème, Butterfly, Cavalleria, Pagliacci, in caso di necessità Tosca,Trovatore,Traviata. Il nostro arrivo a Durban fu salutato dalla banda che ci attendeva insieme ad una grande folla. Accoglienza calorosa e grandi successi, come la prima volta in tutte le grandi città. Al nostro ritorno avevamo raccolto fama e onori forse più grandi della trasferta precedente.
Al mio ritorno dalla seconda tournée in Sudafrica fui scritturata ancora in Africa, al Cairo e ad Alessandria, per Aida, Chénier e Pagliacci. Era il febbraio 1954. I costumi per Aida, la prima della mia carriera, li feci io. Andai al museo a copiare i modelli e acquistai i tessuti egiziani che confezionai in albergo. Mi sono divertita molto in questa opera di sartoria: vennero fuori dei bellissimi costumi egiziani molto ammirati da tutti». Aida, lì nella terra dei Faraoni, ebbe la maggior risonanza. Questa la compagnia: Enzo Achilli (Faraone), Laura Didier (Amneris), Umberto Borsò (Radames), Guerrando Rigiri (Ramfis), Ugo Savarese (Amonasro), Emilio Renzi (Un Messaggero), direttore il m° Vincenzo Bellezza, direttore del coro m° Gianni Lazzari.
Così scrissero alcuni giornali degli spettacoli, rispettivamente Aida, Chénier e Pagliacci, al Théâtre National de l’Opéra: “Gigliola Frazzoni, Aida innamorata, tormentata, è una cantante di rilievo di cui avevamo già avuto prova delle sua capacità. Il suo timbro di soprano drammatico non potrà che migliorare nei prossimi due o tre anni e la sua voce ai bellissimi acuti e bassi rinforzerà certamente il centro. E’ un’Aida che non sarà facile dimenticare”. “Gigliola Frazzoni è un soprano drammatico di gran classe. La sua Aidafu una vera rivelazione. E la cosa ancora più interessante è che possiede dei doni innegabili di attrice. Il pubblico le tributò una vera ovazione”. “La rappresentazione di martedì sera può essere classificata tra le più importanti di questa opera. Il merito va principalmente alla Signora Gigliola Frazzoni per essersi incarnata una schiava etiope impressionante per il suo splendore scultoreo, per la crescente emozione esteriorizzata attraverso un canto di straordinaria bellezza. Pochi soprani possono cantare “Aida” come la Signora Frazzoni, con questo fraseggio fluente come di una sorgente inesauribile, questo timbro di un metallo che si fa di volta in volta più rarefatto, quella dizione impeccabile che conferisce ad ogni sillaba come una nuova vita […] La Frazzoni sembra illuminata dalla melodia che evoca per noi da un capo all’altro dell’opera. […] Tutta la partitura di “Aida” trova nella Frazzoni un’interprete come se ne vedono molto raramente”.
Dello Chénier scrissero “Gigliola Frazzoni nel ruolo di Maddalena, è stata la grande trionfatrice della serata. Voce superba di soprano drammatico senza pecche, di una omogeneità perfetta in tutta l’estensione, voce pregnante e calda; bel temperamento drammatico”. “Gigliola Frazzoni (Maddalena) è un soprano drammatico di prima forza. La sua recitazione eguaglia il suo canto, cioè la perfezione”. “Soprano potente dal gioco scenico incomparabile”.Gigliola Frazzoni ci ha semplicemente sorpresi per le molteplici doti ch’ella riunisce nella sua personalità doviziosa di temperamento, d’intelligenza, e di doti vocali. Ella supera tutte le difficoltà con disinvoltura e, per di più, aggiunge al suo cantare un colorito schietto e vario derivante da un’educata sensibilità. Ha culminato nella commovente pagina “La mamma morta”, detta e cantata con uno stile e con una passione che ricordavano le più grandi interpreti dello Chénier”.
Dei Pagliacci si legge: “Brava la Frazzoni in Nedda; voce bellissima e tenuta scenica molto indovinata, che ne valsero l’apprezzamento del pubblico[…] Fu una Colombina appassionata. Voce generosa e forte. Avremo ancora da riparlarne incessantemente perché giovedì la Frazzoni si calerà nei panni dell’innamorata e tenera Aida”. E ancora : “Ha interpretato il personaggio di Nedda con una convinzione che le fa onore. La sua bella voce di soprano drammatico ha sempre l’accento giusto ed è stata eccellente in un ruolo riservato ai soprani lirici”. Un successo altrettanto caloroso si verificò per le prestazioni al teatro Mohamed Aly in Alessandria che, per la Saison Lyrique Italienne, aveva un cartellone ricchissimo confezionato da Italo Milani, direttore artistico: Andrea Chénier, I Pagliacci e Amelia al ballo, Il Barbiere di Siviglia, La Sonnambula, La Traviata, I Pescatori di perle, Carmen, Aida, L’amico Fritz, Rigoletto, Bolero (ballet). La nostra artista continuava ad inanellare una catena di successi conquistando il pubblico che l’amava. Questa egiziana fu una trasferta importante. Facevano parte della compagnia artisti di grande rilievo. Gino Bechi era nel pieno delle sue capacità vocali: aveva 41 anni. Si distinse in una bella edizione del Barbiere e nei Pescatori di perle.  Due soprani liguri: la genovese Margherita Carosio che aveva 46 anni e la giovanissima savonese Renata Scotto, appena ventenne, che fu una rivelazione nell’Amico Fritz.
Ritorniamo al racconto di Gigliola. «In quel periodo c’erano dei movimenti politici piuttosto turbolenti e una mattina trovammo la città del Cairo occupata, non ho mai capito da chi. Telefonarono in albergo dicendo di andare tutti in teatro e di stare tranquilli perché, per noi artisti, non c’era nessun pericolo. Presi armi e bagagli ci trasferimmo in teatro. La rivolta durò poco, non ci fu uno sparo, ma credo un rimpasto di governo: Nasser prese il comando. Ritornata in Italia continuai a studiare altre opere per ampliare il mio repertorio che ne aveva già otto. Fui scritturata in Olanda per un concerto e per un Trovatore da eseguire in forma di concerto con Giacomo Lauri Volpi e Rolando Panerai.
Nel 1954 cantai Isabeau di Mascagni nella sua città, Livorno. E’ un’opera poco rappresentata, ma il personaggio della protagonista è interessante ed è quello che smuove tutte le situazioni che si svolgono in questa leggenda molto drammatica e spettacolare: la cavalcata di Isabeau nuda per tutta la città, l’amore osteggiato per Folco e la tragica morte dei due innamorati. Il mio repertorio si arricchiva e appena tornavo a casa andavo dal maestro a studiare. Non ho mai abbandonato la mia Bologna, non so se sia stato un bene, tutti l’hanno fatto, ma anche mio marito era contrario a lasciare la nostra città, infatti, appena finite le recite si faceva ritorno subito a casa. Io continuavo a fare “la zingara” da una parte all’altra della penisola: Torino con Cavalleria, Pistoia all’aperto nella piazza principale Andrea Chénier, a Salsomaggiore con Butterfly, al Castello di San Giusto di Trieste con Cavalleria che cantai poco dopo al Comunale di Bologna. Ritornai poi a Trieste per Nozze istriane e Il vascello fantasma. Due opere molto belle che vengono poco rappresentate. Nozze istriane, di Antonio Smareglia, è un’opera che ricorda la Cavalleria rusticana. Anche qui c’è amore, gelosia e duello finale, ma forse è più raffinata e ha delle parti di grande effetto, come il temporale all’inizio dell’opera.
Il vascello fantasma, che è poi L’Olandese volante di Wagner, è un’opera di grande soddisfazione per il soprano che ha quella bellissima aria “la ballata di Senta” da interpretare con molto temperamento: è il punto centrale dell’opera, quando Senta dichiara il suo amore all’Olandese.
Il sovrintendente, m° Antonicelli, mi fece molti elogi e mi disse che avrei fatto una grande Fanciulla e che lui sarebbe stato il primo a propormela: fu così nel ’55, con Franco Corelli. Quello fu il mio incontro con Minnie in un anno molto importante per la mia carriera, un anno particolarmente ricco di eventi. Alcuni gli ho già ricordati, ma guardando questa specie di catalogo delle mie recite mi sembra quasi impossibile di aver fatto tutto questo in un anno, e non è stato il solo.
Dunque all’inizio dell’anno ero al Verdi di Trieste a fare Chénier con Filippeschi, poi sostituisco la Callas, alla Scala il 6 febbraio – e dopo ci ritorno – sempre nello Chénier con Mario Ortica, Giuseppe Taddei, diretti da Antonino Votto. Siccome andai bene, la Scala mi scritturò subito, in marzo, per Cavalleria con Ferrando Ferrari, Ugo Savarese, sempre con la direzione del maestro Votto. Poi faccio due recite di Trovatore al Grand Théâtre Municipal di Bordeaux. A fine marzo, primi aprile sono a Catania, al teatro Bellini, sempre con Chénier. In luglio, all’aperto, nel Castello di Lombardia a Enna debutto Tosca con Tagliavini, che successivamente incidemmo. In settembreancora Tosca con Corelli al teatro Duse di Bologna. Feci alcuni spettacoli di Faust e Butterfly al teatro Colon della Coruña, poi ritorno in Italia per cantare al teatro Carignano di Torino Amica di Mascagni con Salvatore Puma, Gian Giacomo Guelfi, diretti da Oliviero De Fabritiis. In dicembre, a Trieste, ci fu l’incontro più importante della mia vita artistica, come ho detto prima: conobbi Minnie.
Ma l’evento più importante di quell’anno fu il mio ingresso alla Scala. Capitò così: durante una recita di Chénier con Mario Filippeschi, il sovrintendente, alla fine dello spettacolo, si precipita in camerino per dirmi che dovevo andare subito alla Scala per sostituire la Callas indisposta, proprio nello Chénier. Sul momento non riuscivo a credere che la Scala avesse scelto me per sostituire Maria Callas». ( fine quarta parte)