Il primo e l’ultimo Mozart al Teatro Malibran

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2012-2013
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Rinaldo Alessandrini
Pianoforte Giulia Rossini
Wolfgang Amadeus Mozart: Divertimento per archi n. 1 in re maggiore KV 136; Concerto per pianoforte e orchestra n. 9 in mi bemolle maggiore KV 271; Sinfonia n. 41 in do maggiore KV 551 Jupiter
Venezia, 24 maggio 2013

Mentre al Teatro La Fenice si compiva il ciclo della trilogia dapontiana, il Teatro Malibran ospitava il concerto conclusivo dei quattro dedicati agli ultimi capolavori sinfonici di Mozart, sotto la direzione, come il precedente, di Rinaldo Alessandrini, specialista di musica antica, clavicembalista, organista e fortepianista, oltre che fondatore e direttore dell’ensemble Concerto Italiano. La serata, interamente dedicata a musiche del Grande Salisburghese, si è aperta con due lavori giovanili, composti rispettivamente a sedici e ventun anni nella città natale: il Divertimento per archi n. 1 in re maggiore KV 136 (1772) e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 9 in mi bemolle maggiore KV 271 (1777). Ad un primo brano, appartenente alla produzione strumentale di un Mozart adolescente, che assimila e mette in pratica, col valore aggiunto del suo genio, i moduli compositivi caratterizzanti la musica barocca e  la sinfonia d’opera italiana, veniva, dunque, accostato l’esito già assolutamente originale di uno spirito precocissimo, nel quale il virtuosismo dello strumento solista si stempera in un dialogo equilibrato con l’orchestra, che sarà poi tipico delle composizioni più mature nell’ambito di questo genere e rimarrà d’esempio per le generazioni successive. Ma il Concerto n. 9 KV 271 rivela altri elementi di novità: le dimensioni insolitamente ampie (che ne fanno il primo grande concerto pianistico di Mozart), l’impegno a livello formale, il patetismo intenso che informa il secondo movimento, il primo in quest’ambito ad essere concepito in modo minore. La lettura di entrambe le partiture da parte di Arnaldo Alessandrini, è stata, come al solito, precisa ed essenziale, concentrata sul suono e tesa ad evidenziare la struttura formale senza perdere (troppo) di vista (dati i tempi decisamente serrati) le esigenze espressive.
Nel Divertimento, scritto a Salisburgo prima della nomina del musicista a Konzertmeister alla corte dell’arcivescovo Colloredo –   una musica d’intrattenimento senza troppe pretese, semplice e lineare, fatta per essere eseguita all’aperto o in una sala da concerto –  è emersa la limpidezza e la trasparenza cameristica del suono come l’omogeneità e la fusione dell’insieme strumentale, che ha assecondato con disinvolta precisione l’icastico gesto direttoriale. Ne è risultata un’esecuzione piena di brio e leggerezza, forse mettendo in secondo piano – per eccesso di stringatezza –  qualche spunto di carattere più espressivo, in particolare la grazia e la dolcezza da cui è permeato l’Andante all’italiana. Lavoro più ampio e complesso, il Concerto KV 271, conosciuto con l’erroneo appellativo di Jeunehomme, è stato composto a Salisburgo nel 1777 per Victoire Jenamy, ottima pianista e figlia del coreografo Jean-Georges Noverre. Nel nostro caso la parte solistica era sostenuta dalla ventenne milanese Giulia Rossini, vincitrice lo scorso novembre della XIX edizione del Premio Venezia, il concorso pianistico nazionale promosso dalla Fondazione Teatro La Fenice in collaborazione con la Fondazione Amici della Fenice. Lunghi capelli biondi inanellati, trattenuti da un cerchio rosso, abito semplice dello stesso colore, la giovanissima interprete è apparsa –  in base ai commenti che potevamo percepire – come una sorta di incarnazione della disneyana Biancaneve. Ma appena si è seduta sul seggiolino e ha messo le mani sulla tastiera, ha comunicato sicurezza e autorevolezza a dispetto della sua età e della sua mise, affrontando con decisione le battute d’esordio del pianoforte nell’Allegro iniziale e, in genere, la densità e la complessità della scrittura pianistica, anche per quanto riguarda il gioco contrappuntistico al suo interno e nel dialogo con l’orchestra. Ancora una volta, tuttavia, un’agogica alquanto serrata è andata a scapito – oltre che, a tratti, della nitidezza nell’articolazione delle sequenze veloci – della cantabilità come è emerso soprattutto nell’Andantino, un movimento eccezionalmente esteso, dal pathos intenso e dall’affettuosa vena melodica, che anticipa il  protagonismo espressivo del pianoforte nel concerto romantico, o addirittura in certa  musica per il cinema dei nostri tempi. Brillantissima l’interpretazione del Rondò conclusivo, il cui tema ricorrente ricorda l’aria di Monostato nel Flauto magico, e dove tra gli episodi che vi si alternano si inserisce verso la fine  a sorpresa un Minuetto Cantabile. L’orchestra, guidata con sicurezza da Alessandrini, si è segnalata per brillantezza e sfumature di suono, chiarezza nella conduzione dell’impianto contrappuntistico, affiatamento con il pianoforte. Festeggiatissima dal pubblico dopo la sua performance, la nostra agguerrita Biancaneve della tastiera ha concesso un bis, abbastanza incredibile per lunghezza e difficoltà (beata improntitudine dei giovani!): lo Scherzo n. 3 di Chopin, che ha eseguito con sicurezza e passione, offrendone un’interpretazione tecnicamente ragguardevole.
Nella seconda parte del concerto, è stato eseguito l’ultimo capolavoro sinfonico di Mozart: la Sinfonia n. 41 in do maggiore KV 551, composta, insieme alle due precedenti a Vienna nell’estate del 1788, due anni dopo le Nozze di Figaro, dieci mesi dopo il Don Giovanni, tre anni prima della precoce scomparsa dell’autore, in uno straordinario impeto creativo, pur rattristato da ristrettezze economiche e dalla morte della piccolissima figlia Theresia.  Dopo il vigore e il sereno lirismo della Sinfonia in mi bemolle maggiore KV 543, dopo l’intima, tormentata mestizia della Sinfonia in sol minore KV 550, la Sinfonia in do maggiore KV 551 è un monumento al magistero musicale mozartiano, una summa del suo percorso creativo nella quale il grande Salisburghese concilia mirabilmente presente e passato, il classicismo viennese (Haydn e la forma-sonata) con l’insegnamento derivante dal contrappunto di tradizione bachiana e händeliana. Un monumento, che per l’imponenza, la natura sublime della musica, fondata, tra l’altro, su un’olimpica conciliazione degli opposti, si è meritato l’appellativo di Jupiter, dovuto con ogni probabilità all’impresario Johann Peter Salomon. La lettura di Alessandrini è stata coerente con la sua concezione musicale fin qui emersa: ci ha consegnato un Mozart nitido e razionale, dinamico e contrastato più che ieratico dominatore delle passioni, mettendo in evidenza con serrata concitazione e purezza di suono le geometriche architetture formali e la tensione dialettica tra le varie sezioni dell’orchestra, archi, legni, fiati; questi ultimi in particolare rilievo, assieme al timpano,  in certe pagine, che venivano ad assumere un carattere  possente e marziale. Entusiastici applausi hanno concluso questa intrigante soirée mozartiana.