“Pimpinone” alla galleria Pianetti di Jesi

Jesi, Palazzo Pianetti
“PIMPINONE”
Intermezzi comici musicali, libretto di Pietro Pariati
Musica di Tomaso Albinoni
Vespetta BEATRICE MEZZANOTTE
Pimpinone DAVIDE BARTOLUCCI
Orchestra “Accademia I Filarmonici”
Direttore Nicola Procaccini
Regia Gianni Gualdoni
Costumi Giuliana Gualdoni
Jesi, 12 maggio 2013
Non solo Pergolesi trova il suo luogo naturale a Jesi dove il 12 maggio scorso è stata eseguita la celebre operina di Tommaso Albinoni, Pimpinone a Palazzo Pianetti nella serie pomeridiana di concerti e di intermezzi opere dal titolo Musica a palazzo. Il piccolo festival di musica da camera aveva già presentato negli anni scorsi gustose esecuzioni in forma scenica di Serva padrona (G. B. Pergolesi)  e Dirindina (D. Scarlatti) utilizzando lo spazio scenico delle sale di alcuni storici palazzi jesini secondo una sagace iniziativa della Fondazione Lanari che realizza operazioni culturali ad ampio raggio inserendosi bene nella offerta musicale jesina.  La regia di Gianni Gualdoni, che firma la messa in scena anche del Segreto di Susanna di Wolf-Ferrari in programma per settembre, ha dato vita ai personaggi di Vespetta e Pimpinone, i prototipi di Uberto e Serpina dell’operina pergolesiana. Il Pimpinone risale al 1708 ed è antecedente alla Serva padrona (1733) con una situazione affatto simile ma più avanzata diacronicamente e quindi piena di particolari, sapidi ammiccamenti e biechi risvolti: il padrone sposa la serva che, inizialmente accomodante e docile, si rivela poi avida, riottosa ed egoista; la somiglianza con l’intermezzo pergolesiano è in questo speculare, anche se l’esigua vicenda di quello termina con l’unione in matrimonio di padrone e serva, mentre quello di Albinoni si inoltra nelle beghe matrimoniali dei due: una situazione analoga a quella di Norina e Don Pasquale che d’un tratto scopre le voglie trasgressive della moglie e la propria disperata impotenza a rintuzzarle. Elegante e funzionale la regia di Gualdoni ha utilizzato al meglio lo spazio scenico ricavato nella splendida galleria settecentesca di palazzo Pianetti realizzando uno spaccato di vita del 700 che ha del bozzetto e della farsa di carattere. L’idea di far sfilare spesso i due cantanti tra il pubblico, quella di creare uno stacco cronologico tra gli intermezzi dell’azione inserendo brani strumentali dello stesso Albinoni e la capacità di cogliere ogni occasione offerta dal libretto e dalla musica per tradurlo in trovata scenica hanno caratterizzato questa magistrale edizione dell’operina che storicamente ha pochissime riprese sia in teatro che in disco. I due giovanissimi interpreti, il mezzosoprano Beatrice Mezzanotte e il basse-baritone Davide Bartolucci hanno dato ai personaggi freschezza e vitalità vocale e scenica: forniti entrambi di una vocalità definita e ben timbrata, sono andati oltre l’espressione meramente accademica del canto per privilegiare la resa scenica e teatrale: così Bartolucci ha affrontato l’acutissima tessitura dell’aria “ So quel che si dice e quel che si fa” non sfoggiando il suo registro acuto, ma utilizzando il falsetto con diversi effetti. Ottimi nella pronuncia sia nei recitati che nelle arie, hanno dimostrato notevole affiatamento timbrico nei duetti. La Mezzanotte ha avuto l’estro di fiorire e variare  il da capo di arie come “ Io non sono una di quelle ” evidenziando la sottile perfidia di Vespetta che non è mai uguale a se stessa. Il colore brunito e la bella capacità di attacchi sensibili su registro medio-grave rivelano nella sua voce un’autentica vena di mezzosoprano. La parte strumentale era affidata all’ensemble Accademia I Filarmonici che ha eseguito anche due concerti  di Albinoni durante gli stacchi tra il primo e il secondo intermezzo e tra questo e il terzo: una sinfonia in sol maggiore (allegro- adagio- allegro) e il balletto n. 1 in do maggiore (Prelude largo- Allemande  allegro- Corrente allegro- Gavotte presto). L’abilissimo quanto giovane maestro al cembalo era Nicola Procaccini che ha realizzato con gusto ed estro  il basso continuo  e i recitativi. I costumi di Giuliana Gualdoni, accuratamente filologici e ben esemplati su modelli iconografici, erano contestualizzati con l’intenso cromatismo degli affreschi e degli stucchi della galleria Pianetti di Jesi che ospita, tra l’altro, anche la pinacoteca con dei dipinti di Lorenzo Lotto.

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